Capitolo 15

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Subito viene inquadrata la camera del rosso che, seduto a terra, è intento a osservare il suo braccio destro. Su quest'ultimo dominano evidenti graffi rossi, procurati servendosi delle sue stesse unghie. Queste ultime sono leggermente rigate di rosso, segno evidente che tali lesioni siano prevalentemente recenti.

Lentamente il giovane si appresta a sfiorare le ferite con l'indice sinistro, procurando lievi percosse lungo l'intero arto. In prossimità dell'avambraccio, tre evidenti tagli profanano la sua candida e morbida pelle, rendendola soggetto di molteplici dolori. Il ragazzo afferra quindi una scatola contenente numerose garze. Una di queste viene infatti posata sul suo polso, in modo tale da fasciare i graffi. Pian piano termina dunque il suo operato, per poi alzarsi e indossare la felpa poggiata sul lavandino. Si volta allora in direzione della porta che, subito dopo, viene aperta: a due centimetri dal suo volto, in piedi, vi è sua madre.

- Mamma! - esclamo sorpreso.
- Tesoro, avevi detto che saresti andato in bagno ... -
- Ci sono andato infatti, avevo solo dimenticato una cosa - cerco di convincerla nascondendo il braccio destro dietro la schiena e sfoggiando un enorme, quanto falso sorriso.
- Meno male! Stavo iniziando a preoccuparmi! Dai, vieni. Torniamo a tavola -
- Mhmh - mi limito ad annuire.

Hinata decide così di raggiungere suo padre in salone e unirsi nuovamente alla consumazione delle due restanti portate. Dopo aver terminato il pasto si dirige dunque in camera e, una volta sdraiatosi sul letto, afferra il cellulare poggiato sul comodino. Premendo pertanto il pulsante laterale, illumina la schermata e, inserita la combinazione di blocco, accede alla rubrica. Scorre allora i contatti, ma essendo giunto alla lettera "K", ferma di colpo i muscoli delle dita.

- Sono due settimane che non lo vedo ... Non volevo! - sussurro a me stesso.

Mi sento strano: impassibile, privo si emozioni, svuotato di ogni singola forma di sentimento ... Non è da me trovarmi in questo stato, in particolar modo per il fattore amoroso. Ho la percezione di trovarmi in un'eterna e dolorosa situazione di trance, dalla quale è impossibile svegliarsi.

Senza alcun preavviso si fa però vivo dentro di me un unico sentimento: la paura!

Se fosse arrabbiato con me? Se mi odiasse? Un momento, sono stato io a dirgli di non volerlo più vedere: è colpa mia, sono mia! Devo rimediare al mio errore. Pensavo di non poterlo fare, invece è proprio l'opposto. Devo farmi coraggio, chiamarlo e scusarmi per averlo accusato di non avere colpe.

Senza pensarci due volte, faccio coincidere la superficie del mio telefono con quella della falange relativa al mio dito indice, in corrispondenza del contatto del corvino.
Il dispositivo prende poi a vibrare ed emette alcuni squilli. Questi ultimi però, vengono presto sostituiti dalla voce del maggiore.

- Kageyama! - esclamo improvvisamente con le goti velate di rosso.
- Che vuoi? -
- Che fai? - tento di iniziare la conversazione.
- Sono cazzi che non ti riguardano! - risponde brusco.
- ... -
- ... -
- Scusami! -
- Di cosa? -
- Per l'altra sera, non volevo accusarti e darti la colpa -
- Ciao -
- Aspetta. So di esser stato egoista, ma fidati quando ti dico che mi dispiace -
- E' troppo ta... -

Quella frase, destinata a essere completata, riecheggia nella mente del minore che, inconsciamente, inizia a piangere.

- No! - urlo bloccandolo - Ti prego, non dirmi che è troppo tardi! Ho sbagliato, e voglio rimediare - continuo tutto d'un fiato - Dammi solo un'ultima possibilità -
- E se dicessi di no? -
- Non mi perdonerei mai per quello che ho fatto e soprattutto ... lotterei per riacquistare la tua fiducia, la tua amicizia! -

Un attimo di silenzio invade la scena, fin quando Kageyama riprende a parlare.

- Moccioso -
- Sì?! - rispondo speranzoso.
- Solo questa volta, in futuro mai più -
- Grazie! - sospiro sollevato.
- Un'ultima chance -
- Non me la farò scappare -
- Vedi di tenertela stretta - dice facendomi sorridere, con il volto ancora rigato dalle lacrime.
- Ehm ... senti ... che ne dici di vederci stasera? Giusto per farmi perdonare -
- Accetto. Alle 20:00PM davanti casa tua, vengo a prenderti -
- Grazie ancora! -
- A dopo moccioso -
- A dopo -

***

Punto di vista di Kageyama

- Che stupido ... Per un istante ho addirittura pensato di negargli una seconda occasione - sussurro tra me e me.

Così, una volta svuotata la mente dei suoi innumerevoli interrogativi, mi appresto a raggiungere il garage di casa. Faccio quindi per sollevare la serranda, ma sento una morsa stringermi il polso.

- Dove vai? -
- Non ti interessa - rispondo capendo chi fosse il mio interlocutore.
- Senti - urla mio zio facendo aderire le mie spalle con il freddo alluminio della saracinesca - Già l'averti adottato mi ha arrecato gravi problematiche, non ho la minima intenzione di aggiungerne altre -
- Mi fa piacere sentirtelo dire! Adesso lasciami subito - dico serrando i denti e rivolgendogli uno sguardo di fuoco.
- Sei solo un errore! Uno stupido, stramaledetto errore! - grida per una seconda volta, dandomi un forte pugno in prossimità dello stomaco.

Le mie gambe, cedendo, crollano al suolo, seguite dal mio stesso corpo. Il mio respiro diviene irregolare tanto che, improvvisamente, sento mancarmi il fiato. Tento però di rialzarmi, ma sul punto di farlo, fa combaciare la punta del suo piede con l'incavo del mio ginocchio sinistro. Un dolore lancinante pervade l'intero arto al che, avvicinandolo al petto, lo afferro tra i palmi.

- Fa male? -
- No! - esclamo cercando di farmi forza.
- Davvero? -
- Sì, brutto stronzo! -
- Egoista e bugiardo ... complimenti -

Nel sentire le tue parole sgrano gli occhi, consapevole della verità celata al loro interno. Poso quindi le mani al suono e, lentamente, riesco ad alzarmi, aiutato dalla superficie della serranda.

- Togliti -
- Non mi fai paura Tobio - dice scandendo bene il mio nome.
- Pensi che la cosa non sia reciproca , Kyoji? - domando riprendendo il mio intento originario.
- Mi piace parlare con te sai? -
- A me per niente. Quindi ... sei pregato di spostarti - continuo sarcastico volgendo le mie iridi sulla sua figura.
- Come scusa? - chiede avvicinandosi repentinamente - Non ho sentito bene - termina sbattendo i pugni sulla saracinesca e facendomi tremare.
- Ho-ho detto di toglierti - ripeto balbettando.
- Ne hai di fegato per essere uno stupidissimo moccioso - grida afferrandomi per i capelli - E va bene! Questa volta hai vinto tu! Vattene, veloce - dice alzando sempre più il tono di voce e scaraventandomi al suolo.

Alzando allora lo sguardo, lo vedo allontanarsi, nel mentre forti dolori non cessano di percuotermi il ginocchio. Incapace allora di trattenere le lacrime, mi abbandono a terra e sbatto i pugni al suolo, nascondendo il volto nella zona anteriore del gomito.

Rialzati, rialzati! Sii forte ... Rial ... Rial ... No! Non ci riuscirai. Tutto perché sei debole, fragile e insignificante ... un errore! Aveva ragione lui, mio zio aveva ragione.
- Perché? Perché non posso essere forte? Perché sono così, così ...? -

Continuo dunque a singhiozzare quando, improvvisamente, i miei pensieri si spostano su di un moccioso dai capelli rossi e gli occhi dorati.

Hinata! Lui mi starà aspettando. Devo resistere, devo farlo per lui.

Così, con il pensiero di doverlo raggiungere, mi alzo nuovamente, asciugo le lacrime rimanenti e salgo in sella alla mia moto ... consapevole del fatto che, per lui, avrei combattuto ogni singola battaglia, al solo scopo di vincere la guerra finale.

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