Capitolo 47

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Nonostante ci sia il sole alto nel cielo a risplendere, fuori c'è abbastanza freddo da dover indossare la giacca della divisa. Forse sedersi in cortile a ricreazione non è stata proprio un'idea geniale, visto che ogni tanto qualche lieve refolo di vento mi fa rabbrividire, ma non saprei dove altro andare per starmene da solo.

Devo leggere, e si tratta di una cosa abbastanza difficile se hai qualche pensiero per la testa che non ti dà tregua, specialmente quando la tua prof di letteratura vuole una recensione del dannato libro che ti ha consegnato e tu non riesci a non rileggere per almeno cinque volte la stessa frase cercando di capirla.

Figuriamoci poi quando per la testa c'è Ginger.

Ieri l'ho salutata con un "Ci vediamo domani", e in realtà ho passato l'intera mattinata ad evitarla.

So che sto sbagliando, in fondo le voglio bene, ma non mi piace il modo in cui stanno andando le cose – non tra noi due, ma con gli altri. Mi sento costantemente sorvegliato da degli occhi vigili e fin troppo curiosi, e non so se ciò sia dovuto al fatto che 1984 di Orwell mi stia suggestionando, forse un po' più del dovuto, o se perché effettivamente è così.

Sbuffo, perché come se non bastasse ho fame ma ho dimenticato la merenda a casa e il mio stomaco è da un po' che brontola.

«Ehi!» una voce familiare mi distrae. Alzo gli occhi dal libro e vedo avvicinarmisi Ginger, con le braccia conserte, strette all'altezza del petto. I lunghi capelli castani sono sciolti e scompigliati – non riesco a non sentire un leggero fastidio, ma do la colpa al vento e mi sento leggermente meglio.

Mi fa piacere che Ginger sia venuta da me, ma allo stesso tempo non vorrei che si trovasse qui in questo momento. Rispondo in modo schietto, pentendomene subito dopo. «Ciao.»

«Come stai? È tutta la mattina che ti cerco.» Al contrario, la sua voce è amichevole, il che mi fa sentire ancora più in colpa.

«Sto bene...»

Per qualche istante, tutto ciò che sento è il vociare degli altri studenti nel cortile e l'odore di resina nell'aria, proveniente dalla conifera alle nostre spalle. Ginger non dice niente, ma la vedo con la coda dell'occhio che mi sta guardando. Nel mentre, io continuo a leggere. «Che cos'hai?»

«Niente. Non ho niente.»

Sospira, accomodandosi sulla panchina. Appoggia la testa sulla mia spalla, non permettendomi di vederle il viso. «Com'è andata la mattinata?»

«Bene» rispondo quasi impassibile, gli occhi incollati al libro mentre volto pagina. «La tua?»

Ginger sospira e si rimette seduta composta, incrociando di nuovo le braccia al petto. «Credevo sarebbe potuta andata meglio se fossi stata in tua compagnia. Si può sapere che ti prende?» sbotta, voltandosi verso di me e guardandomi con occhi perentori. In questo momento vorrei essere una tartaruga e ritirarmi nel mio guscio. Com'è possibile che riesca ad intimidirmi solo guardandomi?

Sento la sua spalla fremere contro la mia e immagino che sia per il freddo – dopotutto, indossa la camicia a maniche corte. Appoggio il libro aperto sulle gambe e mi sfilo la giacchetta, appoggiandola sulle sue spalle. Sento subito un brivido percorrermi le braccia e la schiena, ma cerco di non farci caso. Lei, intanto, prende i lembi della giacca e ci si stringe dentro.

Forse è il caso di spiegarle cosa sta succedendo: è meglio dirle che quando me ne sono andato ieri ho trovato Luke a pochi metri che mi stava guardando e sono quasi sicuro che ci abbia visti e la possibilità che sia così mi terrorizza. Mi terrorizza perché è un'esperienza nuova per me, mi sto muovendo in un territorio tutto da esplorare e non ho nemmeno la possibilità di compiere dei giri di ricognizione, e l'idea che la gente lo sappia mi fa salire l'ansia. Specialmente quando si tratta di persone come Michael, Calum e Luke.

O.C.D. || Ashton Irwin #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora