CAPITOLO 7

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Ancora una volta mi aveva salvata. Aveva capito delle cose di me, era riuscito a dirle nel modo più giusto. Quando mi sciolsi dall'abbraccio, lo guardai negli occhi, con la vista ancora un po' appannata, e vidi che pensava davvero quello che aveva detto. Anche se nella mia insicurezza non riuscivo a credergli fino in fondo. Non capivo come potesse trovare in me tutto quello che aveva detto. Si sdraiò e io feci lo stesso appoggiandomi con la testa sul suo petto. Mi indicava una nuvola che secondo lui assomigliava a un pesce e la accompagnò con l'imitazione. Io non riuscivo a notare la somiglianza, ma mi venne da ridere ugualmente. Ne indicò anche altre, ma io proprio non vedevo nulla.
"Non c'è nulla!"
Cominciò a canticchiare "... E non c'è niente di speciale su nel cielo..."
Stavolta risi forte. Senza saperlo stava cantando la mia canzone preferita. Mi misi su un fianco per guardarlo meglio. Mamma mia se era bello! Teneva gli occhi chiusi per via del sole. Le labbra, che a vederle sembravano morbidissime, scoprivano un sorriso bianchissimo che mozzava il fiato. I lineamenti erano così perfetti che veniva voglia di seguirli con le dita. Forse si sentì osservato, perché si girò anche lui sul fianco e piantò i suoi occhi nei miei. Sorrideva ancora, il pensiero si annebbiava, eravamo troppo vicini... A peggiorare la situazione, appoggiò la mano sul mio fianco. Il contatto fisico non mi turbava più, ma sentivo la pelle bruciare sotto la maglia, nel puntoni cui era poggiata la sua mano...


Eravamo sdraiati di fianco, l'uno negli occhi dell'altra. I nostri visi erano molto vicini, sentivo il suo fiato sulla mia pelle. Senza neanche pensarci, misi la mano sul suo fianco, nel punto più stretto della vita. Non era arrossita stavolta, ma la sua pelle emanava calore anche da sotto la maglia.
"Ma quanto sei morbidosa qui" dissi con una vocina acuta, dando anche un pizzicotto. Si divincolò, ma ero sicuro di non averle fatto male.
"Lascia stare la mia pancia" facendo la finta offesa.
"Ma mica soffrirai il solletico?"
"Io? Noooo..." Aveva un'espressione vaga.
"T'ho beccato! Lo soffri! All'attacco!!" Mi avventai su di lei è cominciai a farle il solletico senza pietà. Cercava di scappare ma senza riuscirci.
"Ti prego Marco basta, basta, non ce la faccio più smettila" rideva talmente forte che non riusciva quasi a riprendere fiato.
"Ale su alzati, prendi le tue cose, saluta e andiamo, dobbiamo tornare a casa"
La madre era sulla porta e ci guardava con aria un po' contrariata. Forse le dava fastidio quella vicinanza tra me e la figlia. Però non volevo salutarla di già, eravamo stati insieme così poco. Senza rifletterci troppo, chiesi: "Se per lei va bene, la riporto a casa io, tanto devo tornare anche io a Roma stasera, così può stare qui un po' di più"

Quando il buio si avvicina pensa a me. - Marco Mengoni -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora