CAPITOLO 41

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CAPITOLO QUARANTUNO

Cercai di prenderla al volo per non farle sbattere la testa. Poi l'appoggiai per terra e la scossi per cercare di svegliarla. Ma non riprendeva conoscenza, l'unico sollievo era che respirava e il battito era normale tutto sommato. Ero nel panico, non sapevo che fare. Il solo pensiero di perderla mi toglieva il fiato. Fortuna che c'era qualcuno di lucido. Chiamarono l'ambulanza e la portarono in ospedale. Io la seguii in macchina perché non mi fecero salire con lei. Non sapere cosa le stessero facendo era insopportabile. Non riuscivo neanche a concentrarmi sulla strada. Dalla sala d'aspetto del pronto soccorso chiamai i genitori e poi mi buttai su una sedia, con la testa tra le mani.
Dopo un po' arrivò un dottore.
"La stiamo portando in sala operatoria" e null'altro.
La madre era agitata come non avevo mai visto nessuno. Mi chiese cosa fosse successo e io non riuscivo a spiegarglielo. Era stato tutto così veloce. Scoppiai a piangere come un bambino. La madre mi abbracciò forte. Era assurdo che dovesse essere lei a consolare me.
I dottori passavano senza dirci nulla. L'attesa era snervante. Cominciai a passeggiare avanti e dietro.
Finalmente vennero a chiamarci.
"Siamo i genitori della ragazza, come sta? Possiamo vederla, cosa ha avuto?"
"Signora si calmi. Sta bene, tra poco di sveglierà. Lei è il compagno?" Disse rivolgendosi verso di me.
"Si..."
"Venga con me, dobbiamo parlare anche con lei"
Ci capivo sempre di meno.
Vederla li su quel letto fu un colpo al cuore. Era così fragile in quel momento. Dormiva ancora, ma avevano detto che stava per finire l'effetto dell'anestesia. Mi sedetti accanto a lei e portai la sua mano alla bocca, tenendo gli occhi chiusi.
Sentii stringermi la mano.
"Amore..."
"Amore mio mi hai fatto preoccupare, non farmi mai più uno scherzo del genere..."

Piano piano riaprii gli occhi. E la prima cosa che vidi fu Marco. Aveva gli occhi rossi, aveva pianto, e mi dispiaceva. Cercai di ricordare, ma le immagini non andavano oltre la fitta alla pancia.
"Cosa è successo?"
"Hai perso i sensi... Non ci hanno ancora detto nulla..."
"Tu come stai?"
"Non è di me che dobbiamo preoccuparci..."
"Io mi sento bene"
"Non so cosa avrei fatto se..."
"Ma non è successo nulla"
Entrò un dottore.
"Signorina si è svegliata finalmente..."
Marco chiese :"Ora può spiegarci?"
"Signorina, lei ha avuto un aborto spontaneo, ci dispiace, non abbiamo potuto fare nulla, e abbiamo dovuto procedere con il raschiamento. Ha avuto un forte stress ultimamente?"
Rispose Marco :"Si è stato un periodo..."
"Ma non si preoccupi, in futuro potrà assolutamente averne altri figli"
"Può lasciarci da soli un attimo?" Chiese Marco.
"Certo, torno tra poco per visitarla"
Rimanemmo soli nella stanza. Marco aveva continuato a parlare col dottore. La mia mente però si era fermata a quella parola. Aborto. Portavo una piccola vita dentro di me. E non avevo saputo proteggerla. Avevo lasciato che morisse. Non avevo saputo prendermi cura di lei. Non sapevo neanche che ci fosse. Istintivamente portai le mani sulla pancia e scoppiai a piangere. Ero scossa dai singhiozzi.
Tutta presa dagli esami non mi ero neanche accorta di avere un ritardo, sempre per lo stesso motivo evidentemente avevo dimenticato di prendere la pillola. Non sapevo che il frutto del mio amore per Marco stava crescendo dentro di me. Non era ovviamente programmato o cercato. Ma nel momento stesso in cui avevo saputo di averlo perso, un amore per quella cosina e un dolore forte come una marea mi travolse.
"Amore no non piangere"
"Il nostro bambino, ho perso il nostro bambino, non ho saputo prendermene cura, il nostro bambino..."
Lo ripetevo di continuo, fissando un punto sulla parete.
"Amore non hai colpa, non è colpa tua, non lo sapevamo..."
"Dovevo accorgermene"
"Avevi altro da pensare..."
"Questo era più importante di tutto"
Stavo sprofondando. Come potevo stare così male. Una piccola vita già stroncata. Non ero degna di essere una donna, non ero riuscita a proteggere la nostra creatura... I pensieri ripetevano queste frasi di continua, senza trovare soluzioni, annegando nel dolore.
Marco mi strinse forte.
"Amore calma... Evidentemente non eravamo pronti"
"Tu lo sei, sono io quella inadeguata a fare la madre"
"Non è vero e lo sai... Con i bambini ci sai fare, hai un forte istinto materno..."
"Ma l'ho perso..."
"Non importa, non lo sapevi..."
Mi abbandonai tra le sue braccia. Cercavo consolazione. Volevo solo piangere.
"Dai... Piccola... Hai sentito il dottore, possiamo riprovarci, e magari in modo consapevole..."
"Ora non riesco a pensare ad averne un altro..."
Mi baciò sulla fronte.
"Lo so che ora stai mai, sto male anche io... E non riesco ad immaginare come tu possa stare... Anche a me sarebbe piaciuto tantissimo avere un bimbo con te... Ma ci riprenderemo insieme, ok?"
"Oook..."
Poi iniziò la processione dei parenti e mi beccai anche la sgridata dei miei.
"Lo sapevamo che non dovevamo lasciarti andare a vivere li! Come hai potuto rimanere incinta?"
Aggiungeva altro dolore ancora. Sapevo di essere stata irresponsabile. Marco mi era vicino e cercava di giustificarmi. Dopo due giorni tornai a casa. Marco cercava di distrarmi in tutti i modi. Ma il mio pensiero tornava sempre a quella cosina che avevo portato dentro di me. E mi immaginavo a come sarebbe stato, speravo uguale a Marco.
Avevo bisogno di dare una svolta alla mia vita per riuscire a lasciarmi alle spalle quel dolore immenso.

Quando il buio si avvicina pensa a me. - Marco Mengoni -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora