CAPITOLO 11

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CAPITOLO UNDICI
Quando suonò la sveglia non dormivo già da un pezzo. Avrò chiuso occhio si e no tre ore quella notte. Cominciai a prepararmi e non potei non notare che sulla maglia che portavo il giorno prima era rimasto il profumo di Marco. Quasi quasi me la rimetto, pensai. Mi vergognai quasi subito e la portai a lavare. Alle sette spaccate ero già pronta e scesi. Non mi aspettavo che fosse in orario, sapevo che era un ritardatario cronico per natura. Invece quando arrivai giù era già li ad aspettarsi in macchina, mi fece segno con le luci e andai da lui.
"Buongiorno!! Dormito bene?"
"In realtà non ho dormito tantissimo...." Le occhiaie che avevo lo confermavano.
"E come mai piccoletta?" Chiese prendendomi palesemente in giro.
"Colpa tua"
"Mia?!"
"Ti pare un messaggio da mandare quello?" Scherzai
"Era per fare una cosa carina ma tranquilla non accadrà più"
"No dai mi ha fatto piacere comunque..."
"Ormai mi sono offeso" ma rideva sotto i baffi. Portava degli occhialoni da sole, anche se a quell'ora non ce ne era bisogno.
"E te? Levate un po' quegli occhiali!"
"Non so quanto ti convenga..." Aveva delle occhiaie quasi come le mie, ma era comunque fantastico, anche con quelle e gli occhi ancora assonnati. Veniva voglia di strapazzarlo.
"E quelle?"
"Anche io non ho dormito perché ho pensato a te tutta la notte..." facendo l'occhiolino.
"Se se come no..."
Il resto del tragitto fino a scuola passò tra risate e prese in giro. Stavolta la radio non serviva, non c'erano silenzi imbarazzanti da farle riempire. Ero sempre più sciolta, davanti a me c'era solo un ragazzo dolcissimo (e, cosa da non sotto valutare, bellissimo) che mi faceva stare bene anche se erano le sette della mattina. Poi il fatto che fosse il mio cantante preferito era un dettaglio che quando ero con lui passava in secondo piano. Ordinammo la colazione e la portammo ad un tavolo in un punto in po' appartato del bar... Comunque lui era un personaggio pubblico e volevamo stare tranquilli. Ci fu un po' di silenzio mentre mangiavamo, che fu rotto da lui.
"Lo sai che hai un po' di schiuma del cappuccino sulla bocca?"


La notte veramente non avevo dormito per lei. È vero, ero andato a dormire tardissimo perché avevo delle cose da sistemare prima. Ma avevo anche ripensato a tutto quello che ci eravamo detti, le confidenze, le risate e anche le sue lacrime. E poi mi tornavano in mente sempre quegli occhi, dannazione. Quando finalmente avevo preso sonno, era suonata la sveglia, che avevo messo con abbondante anticipo. Mi conoscevo, e stavolta non volevo fare tardi. È ora eravamo li, al tavolo di quel bar. Le era rimasta un po' di schiuma. Non sapevo che fare, ero quasi tentato di avvicinarmi e vedere come reagiva. Però non me le sentii, non volevo prenderà in giro, e glielo dissi. Subito imbarazzatissima si pulì un po' con la lingua un po' col fazzoletto. Seguii tutto il movimento con molta attenzione, fu innocente e sensuale allo stesso tempo. Lo aveva fatto senza malizia. Quasi mi ero pentito di averglielo detto. Mormorò un grazie.
"E se avessi voluto pulirti io?"
"Potevi sbrigarti..." stavolta l'occhiolino lo fece lei. Era più a suo agio del giorno prima, si vedeva. E la cosa mi fece molto piacere, voleva dire che non mi considerava più solo come il cantante. Mi ricordai una cosa.
"Ma ieri alla fine la foto non ce la siamo più fatta! Vieni qui" la feci sedere in braccio a me. "Però buffa!" La scattammo con la fotocamera interna del mio telefono. Due idioti.
"Questa si che è bella" le dissi guardando in faccia. Ancora una volta eravamo vicinissimi, il mio braccio intorno ai suoi fianchi e il suo intorno alle mie spalle. Però quella volta sosteneva il mio sguardo. Rimanemmo così per un bel po', senza dirci nulla, non ce ne era bisogno. Me lo diceva con quegli occhi che stava bene stavolta. Ci stavano guardando tutti, ma me ne fregavo. Le squillò il telefono. Era una sua compagna di classe che le chiedeva dove fosse.
"Cavolo è già ora"


Non volevo lasciarlo, non volevo entrare, non volevo fare due ore di greco. Si fermò con la macchina vicino al cancello. Sganciai la cinta e lo abbraccia fortissimo. Vengo con te, volevo dirgli. "Non mi va di partire ora..."
"Non farlo allora"
"Devo... Ma tra un paio di giorni torno a Roma... Ti va..."
"Si, certo" non gli lasciai neanche il tempo di finire la frase.
"Allora ciao, ci sentiamo stasera, ok?"
"Va bene, chiama quando vuoi"
Gli diedi un bacio sula guancia, rimanendo molto con le labbra attaccate alla sua pelle, anche se la barba mi pungeva. Ricambiò anche lui. Mentre scendevo dalla macchina mi urlò dietro:"Buon greco!"
Mi girai e gli feci una linguaccia. Lo vidi allontanarsi sempre troppo velocemente. In classe non riuscii a seguire nulla. Non riuscivo a pensare che a lui. La mia compagna di banco mi chiese cosa avessi.
"Ti racconto dopo"
Sentii un messaggio arrivare. "Immaginavo che la volessi anche tu" Era la foto che ci eravamo fatti. Rendeva tutto un po' più reale. Già facevo il conto delle ore che mancavano al suo ritorno a Roma.

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Quando il buio si avvicina pensa a me. - Marco Mengoni -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora