CAPITOLO 35

321 19 0
                                    



CAPITOLO TRENTACINQUE

Natale era ormai alle porte, e con sé portava anche altre cose. Per prima cosa, il compleanno di Marco. Non avevo la più pallida idea di cosa fargli. Cosa si poteva regalare a qualcuno che aveva già tutto? Un altro problema era la mia paura che il mio non sarebbe stato all'altezza di quello che mi avrebbe fatto lui. Avevamo anche litigato per questo. Dato che anche il mio compleanno è molto vicino a Natale, lui insisteva di volermene fare comunque due diversi, mentre io dovevo fargliene uno solo. A me non stava bene. Alla fine lui aveva ceduto e lo avevo convinto a farmene uno solo.

"Allora te ne farò uno grandissimo" e questa frase mi aveva mandato nel panico. Avevo chiesto anche aiuto a Marta, ma anche lei non aveva saputo consigliarmi. Ogni anno si era ritrovata nella mia stessa condizione, anche se io stavo peggio. Vabbè, avrei trovato una soluzione.

Dall'altro lato non vedevo invece l'ora che arrivasse. Dopo l'incombenza di conoscere i genitori di Marco, mi aspettavano dieci giorni a casa sua a Milano. I miei non ne erano felicissimi, ma avevano acconsentito ugualmente, anche dopo aver saputo, bhè, quello che dovevano sapere. Mi stupivo ogni giorno di più. Si rendevano conto di quanto Marco mi facesse felice, e quindi erano disposti ad accettare dei compromessi. Anche alla storia di Amsterdam avevano reagito bene, preoccupandosi solamente che fossimo stati attenti.

Avemmo vissuto per dieci giorni come una vera coppia, avremmo abitato insieme, dormito insieme, trascorso la vita di tutti i giorni. Ero veramente eccitata per questo. Nel frattempo però avevamo fatto due mesi. E stavolta, ancora per farsi perdonare per il primo, aveva deciso di portarmi a cena fuori. Quando mi venne a prendere i miei lo fecero salire a casa. Ormai lo trattavano come uno di famiglia, ogni volta che veniva a Roma lo invitavano a pranzo o a cena. Io ero in bagno a finire di prepararmi. Mi aveva chiesto di vestirmi abbastanza elegante, perché mi avrebbe portata in un bel posto. Quindi mi ero messa un vestito blu notte lungo fino al ginocchio a maniche lunghe, che però lasciava le spalle e la schiena nude. Quando lo sentii entrare in casa, addirittura in anticipo, cercai di fare il più velocemente possibile. Uscii e lo trovai seduto sul divano accanto a mia madre. Non appena mi vide, mi fece uno dei suoi sconvolgenti sorrisi. E ancora una volta mi chiesi come potesse essere così perfetto e bellissimo, soprattutto vestito cosi, con la giacca e la cravatta appoggiata al collo, col nodo ancora da fare. Si alzò e mi venne incontro. Mi baciò leggerissimo a stampo, davanti ai miei preferivamo evitare manifestazioni troppo "vivaci".

"Sei bellissima, come al solito"

"E tu esageri, come al solito.... A te manca solo una cosa per essere perfetto" e gli annodai la cravatta.

Mia madre chiese sbalordita: "Da quando sai annodare una cravatta?"

"Eh, ma, sono tante le cose che ho imparato...." Senza pensarci.

"Alessia!"

"Scusa mami"

"Andiamo amore?" mi salvò Marco.

"Si... Notte mamma"

"A mezzanotte e mezza massimo l'una gliela riporto" disse salutandola Marco.

In macchina Marco mi chiese come erano andati gli ultimi giorni di scuola.

"Di merda.... Io di questo passo gli esami non li faccio"

"Dai dai tranquilla, che sei bravissima, amore mio. Stasera ci penso io a farti distrarre"

Mi aveva portato in un ristorante carinissimo, elegante e intimo, i tavoli erano molto lontani tra loro, lasciandoci la nostra privacy. E si mangiava anche bene. Per tutta la sera fu un continuo di sguardi, occhiate dolci, lasciava la mia mano solo mangiare, mi spostò la sedia, mi versava sempre da bere quando avevo il bicchiere vuoto. Si comportò insomma da vero gentiluomo. Io lo amavo ogni giorno di più. Sapevo che se fosse finita ne sarei uscita distrutta, perché non avevo la maturità di affrontare la situazione. Ma quando lo guardavo negli occhi, capivo che quel momento era lontanissimo, e quindi non dovevo neanche pensarci. Quella sera fece di tutto per farmi sentire al centro del suo mondo. Al ristorante finimmo presto.

"E ora? Andiamo a casa tua?"

"Prima voglio portarti in un posto"

"Dove?"

"Sorpresa.... Mettiti questa" disse passandomi una benda.

"Spero scherzi"

"Sono serissimo"

Così bendata non riuscii a capire il percorso che fece con la macchina. Quando si fermò, io feci per togliermi la benda.

"No aspetta, non ancora"

Mi aiutò a scendere, poi mi guidò tenendomi per mano. Ad un certo punto si fermò.

"Aspetta che ti prendo in braccio, qui con i tacchi ti ammazzi"

Sentivo i suoi passi affondare nei sassolini. Proprio non riuscivo a immaginare dove fossimo. Ad un certo punto i suoi piedi poggiarono su qualcosa di più solido, e mi mise giù.

"Ora puoi toglierla"

La vista il mozzò il fiato. Lui mi abbracciò da dietro mentre se la godeva insieme a me. Conoscevo già quel posto. Era una terrazza dentro un giardino sul colle Aventino, e d lì si vedeva tutta la parte storica di Roma. Non c'ero mai stata di notte, e la mia città così nuova mi stregò ancora di più.

"È bellissimo..."

"Mai quanto te"

Mi girai e ci baciammo. Quella era la cornice perfetta per lui. Rimanemmo ancora un po' li, fino all'ora in cui aveva promesso di riportarmi a casa.

Davanti al portone mi baciò di nuovo, per poi salutarmi: "Ci vediamo a Natale"

Quando il buio si avvicina pensa a me. - Marco Mengoni -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora