CAPITOLO 40

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CAPITOLO QUARANTA

Aveva ragione, convincere i genitori non fu facile, per niente. Ci avevo litigato, non volevano farla trasferire, pensavano che fosse tutto troppo affrettato, che in quel momento aveva altre priorità. Quindi a questo punto pensavo che Alessia avrebbe cambiato idea, che avrebbe voluto aspettare. E invece fece le valigie quella sera stessa per venire da me. Con i genitori non si parlarono per due settimane. Poi la situazione era tornata quasi come prima. Perché si resero conto che questa nuova sistemazione non aveva cambiato il resto, non aveva inciso sulla scuola, che era la preoccupazione principale dei suoi.
Era tutto ogni giorno più bello. Mi sorpresi di vedere che eravamo pronti alla convivenza. Lo ammetto, pensavo che sarebbe durata poco. Invece filava tutto liscio. Aveva accettato tutte le mie abitudini, i miei vizi, e io avevo fatto lo stesso con le sue. Il suo essere una maniaca dell'ordine stranamente non si scontrò con mio essere il disordine in persona. Avevamo raggiunto un certo equilibrio in questo. Si vedeva che ora c'era una donna in casa. E anche per le cose da fare in casa ci eravamo divisi i compiti, anche se spesso per non farla stancare troppo oltre lo studio facevo io le sue cose. Cercavo di prendermi cura di lei in ogni modo, lasciandole il suo tempo, ma costringendola a riposarsi ogni tanto. Poco dopo il suo arrivo a casa, avevamo organizzato delle cene con gli amici, un po' per inaugurare la casa, che sì, era sempre quella, ma ora non era più solo mia. Era nostra. Marta si incazzò con me.
"Certo che potevi dirmelo che sareste andati a vivere insieme!"
"Come facevo a dirti una cosa che non sapevo neanche io? L'ho deciso sul momento.."
"Vabbè..."
"Dai Marta, non ti puoi arrabbiare pe sta cosa!"
"No dai, mi fa piacere.... State molto bene, vi ha fatto bene"
"Ora che abbiamo la tua benedizione, non ci ferma più nessuno!"
I mesi passavano, arrivò giugno, e con lui gli esami di Alessia. Nell'ultimo mese era sempre più stressata, non faceva che studiare, spesso si addormentava sul tavolo con la testa sui libri. Allora io la prendevo in braccio, attento a non svegliarla, e la portavo a letto. Quando faceva così voleva dire che era proprio stanca. E poi la notte dormiva male, si agitava nel sonno. Io cercavo di farle sentire la mia presenza accanto. A volte non bastava, si svegliava e non riusciva più a prendere sonno.
La cosa che più la spaventava non erano gli scritti, ma l'orale. Ripeteva a memoria la traduzione di centinaia di versi di latino e greco, così tante volte che ormai li sapevo anche io, il che era tutto dire. Il giorno prima la costrinsi a non studiare.
"Ormai li sai a memoria quei cazzo di libri, oggi riposo forzato"
Sapevo che sarebbe andata benissimo. E non mi sbagliavo. Andai a vedere il suo esame, Greta seduta accanto a me, che nel frattempo si era fidanzata con Davide. Avevano trovato tutti e due la persona con cui mettere almeno un po' la testa a posto
La tempestarono di domande, e lei rispose con precisione a tutte. Alla fine si complimentarono anche con lei. Si alzò, strinse la mano ai professori e feci per andare verso di lei quando accadde. Prima vacillò, poi cadde a terra priva di sensi.


Come avevano fatto generazioni di studenti prima di me? Quegli esami mi sembravano un ostacolo insuperabile. Per fortuna c'era il mio angelo, Marco. Si prendeva cura di me in ogni modo. Non so cosa avrei fatto senza di lui. Lo stress aveva raggiunto un livello insopportabile. La notte dormivo male, e quando dormivo facevo incubi, mi girava spesso la testa, vomitavo tutte le mattine, il ritmo del mio cuore era sempre un po' più veloce di quello che avrebbe dovuto essere. Ogni volta che Marco mi ordinava di smettere di studiare io protestavo, credevo di aver bisogno di ripetere per la centesima volta il programma di filosofia o la tesina o qualsiasi altra cosa.
E poi il giorno tanto temuto arrivò. Me li ritrovai tutti schierati davanti, ma sentivo dietro di me lo sguardo rassicurante e fiducioso di Marco e Greta. Cominciai ad esporre la tesina, mi interruppero quasi subito, cominciarono a farmi un sacco di domande e con sorpresa mi accorsi di saper rispondere a tutto. Alla fine i professori addirittura mi fecero i complimenti. Io strinsi la mano a ognuno di loro, e la professoressa di latino e greco mi fece capire che avevo raggiunto quel cento per cui studiavo da cinque anni. La tensione finalmente si sciolse un po'.
Mi alzai in piedi, forse un po' troppo velocemente. Il cuore andava ancora a mille. Ebbi un capogiro più forte di tutti quelli avuti in quei giorni. Poi un crampo fortissimo al basso ventre, che mi fece portare istintivamente le mani sulla pancia. Fu così forte da farmi perdere i sensi. L'ultima cosa che vidi lo sguardo terrorizzato di Marco, poi il buio.

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Quando il buio si avvicina pensa a me. - Marco Mengoni -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora