25 -La scomparsa di Bell - Rotterdam 12/2008

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Passò l'intera giornata ma di Bell e della sua nuova fidanzata neanche l'ombra. Cosa sarà successo? Continuavo a chiedermi. Il telefonino risultava perennemente staccato, altri modi per rintracciarlo non ne avevo.

Era la prima volta che capitava una cosa del genere con lui. Era sempre di una puntualità estrema. Normalmente in largo anticipo, visto che arrivava ancora prima di darti un appuntamento.

La sera di quello che per me era il terzo giorno di permanenza lì, non avendo altro da fare senza la presenza di Bell, andai a cena con la ragazza dell'agenzia che aveva seguito la compravendita dell'immobile e poi, assieme, andammo in un coffe shop dove si esibiva sempre qualche ottimo gruppo musicale.

Assaggiammo qualcosa che ci portò all'inferno e poi ci fece volare in paradiso. Quello ce lo gustammo meglio, dopo qualche minuto, nella splendida suite che, a partire da quella sera, aveva una prenotazione a mio nome, fatta da Bell già quindici giorni prima.

Passò anche il giorno dopo e di Bell nessuna notizia. Avendo la suite prenotata per la solita settimana, decisi di rimanerci e godermela fino a quando non avrei avuto notizie del mio amico. Però, con il passare delle ore, una strana preoccupazione si impossessava sempre più di me.

Presi un taxi e mi recai di corsa in aeroporto. Andai nell'ufficio in cui ero stato assieme a lui per richiedere permessi di volo e di atterraggio nei diversi aeroporti. Lì trovai Mark, un giovane ingegnere aeronautico con cui ero entrato in confidenza in quelle due ore passate lì giorni prima. Gli raccontai per grosse linee cosa mi affliggeva e gli chiesi se poteva aiutarmi in qualche modo. Si collegò con tutto il mondo per cercare indizi sui movimenti del jet privato di Bell. Riuscì, in meno di mezz'ora, tramite un suo fraterno amico e collega che lavorava negli Stati Uniti d'America, a sapere che il suo aereo, posto sotto sequestro, era fermo nell'aeroporto "La Guardia" di New York.

Sbirciai in quella che era la richiesta che avevamo presentato assieme, visto che Mark l'aveva tirata fuori per rintracciare i dati del velivolo e, senza molta sorpresa, notai che il cognome di cui ero a conoscenza non era quello corretto. Quello che compariva sul modulo era "B. Feruixon". Mi precipitai fuori, alla ricerca di una sgualcita copia del New York Times, che avevo visto appena prima di entrare in quell'ufficio, poggiata su un bidone dei rifiuti. Ricordavo benissimo di aver letto, su di un titolo di testata, il "Feruixon". In quell'istante il mio cervello aveva carpito la similitudine tra i due cognomi e mi aveva acceso una lampadina per qualcosa che, ovviamente, non avevo considerato. Non avendo trovato il quotidiano, tornai dentro l'ufficio e chiesi a Robby di farmi usare un computer connesso alla rete. Digitai Feruixon e mi cascò il mondo addosso.

Ben Feruixon era stato arrestato sei giorni prima, nella sua residenza di New York, dove ero stato anch'io, per problemi legati a frode finanziaria. Tutto il patrimonio personale, suo e dei suoi due fratelli - soci, era stato posto sotto sequestro. Le società del suo gruppo erano state affidate alla tutela di una commissione governativa. La foto che compariva sotto il titolo non lasciava spazio ad equivoci. Lo ritraeva in manette, sulla scalinata che serviva l'ingresso principale di casa sua, con due poliziotti al suo fianco ed Helen disperata sullo sfondo.

Mentre, ancora davanti al monitor, cercavo di capacitarmi sull'accaduto, Claudia, la ragazza dello studio notarile con cui ero uscito la sera prima, mi chiamò per propormi di passare qualche altra ora assieme, visto che era Venerdì ed il giorno dopo non avrebbe lavorato.

Le risposi subito di no e le chiusi il telefono bruscamente.

Tornando in città riconsiderai le cose. La mia idea era quella di prendere il primo aereo per New York ed andare a cercare di capirci qualcosa in più. Poi realizzai che non avrei comunque potuto farci nulla e, se fosse passato il fine settimana, non sarebbe cambiato molto.

Richiamai Claudia e le chiesi di scusarmi per poco prima. Le dissi che l'avrei aspettata nel locale sotto il suo studio alle cinque in punto. Fu molto contenta e non vedeva l'ora di rivedermi, mi disse.

Mangiammo qualcosa alla svelta ed andammo nel mio alloggio. Aveva iniziato a piovere che eravamo ancora nel Pub e smise Lunedì alle prime ore di luce. Noi rimanemmo lì a combinarne di cotte e di crude per tutto il tempo. Dopo tutto la suite era pagata!

Alle nove, Lunedì mattina, ero in aeroporto ad Amsterdam. Il mio volo partiva alle dieci e cinquanta. Telefonai a casa dicendo che un contrattempo mi spingeva ancora a New York e che sarei tornato al più presto. Mangiai qualcosa con un appetito riconducibile più a natura chimica che a fame vera e, quando mancavano venti minuti all'orario di decollo, salii sull'aereo.


105 - La Roulette Russa di una VitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora