In viaggio per FortHall

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La diligenza mi stava portando a Fort Hall.
Mio padre era stato trasferito già da due mesi, le mie sorelle Kaylynn e Rebecca di otto anni erano già lì con la mamma.
Non volevo lasciare Mobytown, una piccola città dove non mancava niente, dove abitava la mia amica Sarah , dove viveva il dolce Henry che finalmente si era deciso a corteggiarmi.
Mi piaceva abitare con la zia Mary, lei aveca molti corteggiatori, era un tipetto tutto pepe, una brillante insegnante. Avrei voluto continuare i miei studi con la zia per poter un giorno fare anch'io l'insegnante, ma la mamma e il papà avevano insistito che li raggiungessi.
Ero seduta accanto al finestrino, cercando di sistemare le tendine per ripararmi dal sole e dalla polvere, la carrozza continuava a sobbalzare sulla strada piene di solchi.
Non vedevo l'ora che ci fermassimo per sostituire i cavalli così avrei potuto sgranchirmi le gambe , il mio stomaco iniziava a brontolare, si stava avvicinando l'ora di pranzo.
I pasti non erano un granché , carne salata, fagioli bolliti, una brodaglia che chiamavano caffè , dovevo pure mangiare velocemente perché la diligenza aveva fretta di ripartire.
All'improvviso mi era sembrato di sentire uno strano rumore, mi affacciai al finestrino per cercare di capire cosa fosse stato, vidi un'ondata di pellerossa che ci stavano inseguendo.
Il mio cuore iniziò a trotterellare come gli zoccoli dei cavalli, cercai di arretrare, di non farmi vedere, tutto il mio corpo rimase immobile.
Attraverso uno spiraglio della tenda, vidi degli uomini con il corpo dipinto che urlavano, in groppa a dei magnifici cavalli , stavano circondando la diligenza.
Uno sparo, era stato il cocchiere, un tonfo, all'improvviso un indiano affiancò la diligenza, con un balzo salì in cassetta e fermò i cavalli.
Un altro pellerossa dal viso sfregiato, aprì con forza la portiera, mi strattonó giù in malomodo, vidi il cocchiere ed il postiglione stesi a terra morti, accanto a loro un'indiano gravemente ferito da un proiettile.
Lo sfregiato mi strinse con forza, tremavo, avevo paura, ero cosciente di cosa facevano alle donne questi selvaggi, stavo pensando come poter fuggire, erano troppi, rischiavo che una freccia colpisse anche me.
Dei pellerossa scesero da cavallo, alcuni accudirono il ferito , altri con dei bastoni ed una coperta costruirono una barella.
Osservai attentamente, con una borraccia lavarono il sangue, da una borsa che portavano a tracolla, tolsero delle erbe, con un pò di acqua fecero un impiastro e lo misero sulla ferita,
con la fascia che aveva in testa uno di loro fecero una fasciatura d'emergenza , poi lentamente lo adagiarono sulla barella.
Si aprì un varco tra i cavalli, venne verso di me su un maestoso stallone nero un indiano che sembrava essere il capo, aveva un'espressione arrogante, un'aurea maestosa, fiero e sicuro di sé, bello, di una bellezza rude e mascolina.
Aveva i capelli neri, leggermente ondulati, naso sottile e dritto, fronte alta, portava un orecchino pendente ornato di pietre verdi.
Era la prima volta che vedevo un uomo con un orecchino, non per questo perdeva la sua mascolinità.
《Come ti chiami?》mi chiese con un perfetto accento inglese
《Elisabeth》risposi con un filo di voce
《Dove eri diretta?》
《Fort Hall》
《Sei molto giovane, quanti anni hai?》
《Diciassette 》
Mentre parlavamo alcuni di loro, presero i cavalli, saccheggiarono la diligenza e i due poveretti a terra.
Il capo fece un cenno con la mano, intuii che era il momento di partire,
sentii le mani dello sfregiato allentarsi per prendere le redini del suo cavallo, in quel'istante cercai di divincolarmi, tirai calci, una mano si liberò , cercai di lottare, ma nella lotta lo graffiai con violenza, mi riprese saldamente le mani e alzó una mano per schiaffeggiarmi
《Fermo Tuono Giallo!》disse il capo,
controvoglia lo sfregiato mi lasciò andare, il capo si avvicinó con il cavallo, si chinò, mi issò alle sue spalle, con uno schiocco di lingua diede il via al purosangue
《Che non ti venga più in mente di fuggire, in quel caso sarò io a punirti seriamente》
Attraversammo la prateria, le lacrime mi bagnavano il viso, mi sentii la gola arsa dal sole, ero stanca, mi feci cullare dall'andatura del cavallo
《Ma che diavolo stai facendo, vuoi cadere?》si voltò leggermente e vide che stavo dormendo, mi prese la mano, la intrecciò alla sua e l'appoggiò sulla sua pancia, non poté fare a meno di notare il contrasto tra la sua mano grande , scura, segnata dalle battaglie e la mia piccola, bianca e delicata.

Gocce di Luna è  il mio nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora