Arriverà la fine ma non sarà la fine.

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Lele
Apro lentamente la porta del mio appartamento. Del nostro appartamento. Cerco di essere il più silenzioso possibile, consapevole del fatto che sono le due di notte e la mia fidanzata potrebbe dormire già da un po'. Ma la mia è solo una speranza. La speranza di poter continuare a rimandare ancora. La speranza che non sia davvero arrivata la fine di tutto. Continuo ad aprire la porta con lentezza studiata. La casa è immersa nell'oscurità. L'unica eccezione è la flebile luce proveniente da un cellulare. Dal suo cellulare. Elodie è seduta sul divano, lo sguardo fisso sul telefono, il viso stanco, gli occhi tristi. Una stretta al cuore e un pugno allo stomaco mi fanno mancare il respiro.
"Ciao", mi dice con aria stanca e delusa.
"Ciao", rispondo semplicemente, abbozzando un sorriso forzato.
"Ti ho aspettato due giorni, Lele. Credevo che dopo il concerto saresti tornato a casa."
"Lo so, mi dispiace." Rispondo semplicemente. Poi però mi sento invadere da una rabbia improvvisa.
"Elodie, anche io ti ho aspettato per giorni. Credi di essere la sola ad avere un lavoro qui? Credi che per me sia facile? Non sei la sola ad essere sommersa dagli impegni."
Ciò che mi aspetto adesso è che lei urli, che si arrabbi, che si sfoghi tirandomi pugni sul petto e piangendo, per poi dirmi che le dispiace, che troveremo una soluzione, che le sono mancato e che mi ama. Ma ciò che accade mi paralizza. Le parole pronunciate da Elodie in un sussurro sono più dolorose di qualsiasi discussione, dei pianti, delle urla.
"Hai ragione Lele. Non sono arrabbiata con te infatti, sono solo stanca. Credo sia meglio chiuderla qui."
"Stai scherzando spero!" Le mie parole suonano come una supplica e me ne vergogno quasi.
"No. Io credo che dovremmo smetterla di prenderci in giro. Ormai non stiamo più insieme. E quando ci vediamo non facciamo altro che litigare. È finita Lele." Mi dice queste parole con un sorriso stanco e triste. Ed io non voglio supplicarla, non voglio essere debole, non più. Così mi avvio verso la porta, consapevole che pronunciando un'altra parola potrei scoppiare a piangere, la apro e la sbatto violentemente, uscendo da quella casa che sa di noi e lasciando dentro l'amore della mia vita. Scendo le scale piano, con una lentezza innaturale, sperando che quella porta si apra, che lei esca dicendo che ha cambiato idea, che mi dica di tornare dentro, che si butti tra le mie braccia. Ma la porta resta chiusa.

Elodie
Se ne è andato. Stavolta è finita davvero. Piango, comincio a piangere e a sfogarmi come non ho fatto in questi giorni, tiro pugni al divano, mentre gli occhi mi bruciano e il petto sembra sul punto di scoppiare. Giro lo sguardo verso il tavolo e un oggetto cattura la mia attenzione. Il mio disco. Lo apro e leggo la dedica al suo interno. La dedica per Lele. "A Lele che mi ha insegnato ad amare". Piango ancora di più mentre i ricordi affiorano nella mia memoria.

Un anno prima...
Esco fuori dal residence per fumare una sigaretta. Sono distrutta. È passata solo una settimana dall'inizio delle lezioni nella scuola e mi sembra già di non reggere il peso di tutto ciò che mi sta capitando. Credo di aver fatto una cazzata. Questo non è un posto adatto a una come me. Ho paura, paura che la gente veda come sono e mi odi come io odio me stessa. Paura di non essere all'altezza, di deludere la mia famiglia, di uscire da questo posto ancora più spezzata di quanto già non sia. I miei pensieri vengono interrotti dalla voce di qualcuno.
"Ciao Elodie."
"Ciao Lele", dico scocciata. Odio quel ragazzo. È tutto ciò che un ragazzo di diciannove anni non dovrebbe essere. Cerca di fare il maturo, in realtà risulta solo spocchioso e indisponente.
"È tutto ok?" Mi dice, preoccupato dal mio tono di voce.
"Lasciami in pace Lele", rispondo insofferente e lo ammetto, anche con un po' di maleducazione.
Lui allora mi sorride, è il sorriso di uno che sa bene quanto io poco lo sopporti ma che se ne frega altamente e ha voglia di dimostrarmi tutta la sua superiorità. Sono furiosa.
"Che cazzo ridi?", dico con un tono di voce forse un po' troppo alto.
Lui scoppia a ridere forte e si avvia alla porta. Prima di entrare si volta con la stessa faccia da schiaffi di poco prima.
"Sai, per tua sfortuna siamo entrambi in questa scuola e spero ci resteremo il più a lungo possibile. Ti consiglio di abituarti alla mia presenza. Ciao Elodie, ci vediamo in giro!"
Mi volto scocciata, torturandomi le mani, mentre sento ancora la sua risata in lontananza. Quanto lo odio!

Buonasera :) questa è la mia prima storia su Lele ed Elodie. Ringrazio in anticipo chi perderà un po' del suo tempo a leggere questo primo capitolo. Fatemi sapere cosa ne pensate se vi va.

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