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Jack era un ragazzo semplicissimo, il classico individuo invisibile al mondo. Occhi marrone scuro, un ammasso di riccioli castani e un goffo paio di occhiali che tanto desiderava cambiare. Sarebbe stato davvero invisibile, se non fosse stato per la sua sedia a rotelle. Dai fianchi in giù era completamente paralizzato, sin da quando aveva solamente sei anni. Era successo durante il viaggio di ritorno da casa dei suoi nonni, dai quali erano andati per festeggiare il Ringraziamento. Sulla via del ritorno, suo padre si era addormentato alla guida, lasciando che la macchina sbandasse contro il guardrail. Dopo quell'incidente, il piccolo Jack non era più riuscito a camminare, né a vivere normalmente. Sua sorella si era solamente rotta un braccio, mentre i suoi erano rimasti lievemente feriti. Si sentiva la pecora nera della famiglia.

Non era certo facile vivere con una condizione del genere, alla sua età. Non poteva fare quasi nulla di divertente, senza che ci fosse qualcuno disposto ad accompagnarlo ed aiutarlo a muoversi tra la gente. Non poteva fare sport, non poteva correre, non poteva sentire la sabbia sotto i piedi. Era una tortura svegliarsi la mattina e realizzare di dover chiamare qualcuno per potersi vestire e mettere sulla sedia a rotelle. A scuola , poi, nessuno lo aiutava davvero, se n9on costretto. Anzi, si divertivano tutti a prendere in giro la sua condizione. Scherzi, battutacce... Tutto ciò era all'ordine del giorno.

Quel giorno si trovava in classe, piazzatosi con la sedia a rotelle nel suo angolino, mentre alcuni ragazzi lo riempivano di palline fatte con pezzetti di carta e sputo. Non doveva piangere, non doveva proprio farlo. Doveva essere forte e sperare in un'azione da parte del professore che però, come si aspettava, non arrivava mai.

Cole era uno dei ragazzi più popolari di tutta la scuola, ma in senso tutt'altro che positivo. La sua cattiva fama derivava da una faccenda accaduta qualche anno prima, quando ancora faceva parte della squadra di basket della scuola. Giocava da titolare, all'epoca, ed era anche abbastanza bravo, tanto che i novellini gli ronzavano sempre attorno per fargli i complimenti o assillarlo con le loro stupide domande, delle quali non gli importava un granché, a dire il vero. Ricordava perfettamente il giorno di quella maledetta partita. Era il 26 aprile, la loro squadra era in vantaggio schiacciante su quella avversaria e il tempo stava per scadere. Nulla poteva andare storto, pensavano tutti. O almeno, lo avevano pensato finché Cole non fece quel fatidico errore che gli era costato la carriera e la fama. L'arbitro gli aveva attribuito un fallo che lui non aveva affatto commesso, e questo lo aveva fatto imbestialire non poco. Tutti sapevano che Cole non era il massimo nel controllo della rabbia, come dimostrato dalle urla e dagli insulti che continuava a sputare contro il povero malcapitato che, chiaramente, lo costrinse a lasciare il campo. Lui, per tutta risposta, lo colpì con talmente tanta violenza da farla cadere a terra, per poi andarsene nella più totale indifferenza. Ogni singola persona, all'interno di quella palestra, taceva e guardava la scena con gli occhi sgranati.

Il giorno dopo, fu l'allenatore stesso a cercarlo e a buttarlo fuori dalla squadra. "Non metterai più piede in quel campo finché non ti darai una calmata, Cole" gli aveva detto, per poi andarsene danza nemmeno avergli dato il tempo di replicare.

Da quel momento in avanti si era dato alla lotta libera, che era decisamente uno sport più adatto a lui. Almeno poteva sfogare tutta l'aggressività repressa, il che lo aiutava parecchio.

Quel giorno arrivò, come sempre, leggermente più in ritardo degli altri. Teneva stretto a sé un grande borsone, contenente tutto ciò che gli occorreva per gli allenamenti. Si guardò attorno, puntando i suoi occhi di ghiaccio su ognuno dei suoi compagni, per poi passarsi una mano fra i capelli, neri come la pece. Aveva le nocche spaccate, come al suo solito. Diciamo che il ring non era l'unico luogo in cui usava le mani, ecco.

-Che cazzo state facendo?-

Chiese, a voce alta, con la sua solita finezza, per poi alzare un sopracciglio.

Wheelchair - Boy x BoyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora