7. Don't let me go

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Il suono incessante e ripetitivo della sveglia indusse Marlene a riaprire gli occhi e a sollevare, controvoglia, la faccia dal cuscino. Sbuffando, allungò un braccio verso il comodino e mise a tacere l'infernale aggeggio a forma di scoiattolo che si era portata dietro dall'Oregon, poi si tirò su lentamente e si mise a sedere, stringendo al petto le ginocchia e osservando il posto vuoto accanto a sé. Per la prima volta da quando ci dormiva, quel letto le era sembrato troppo grande, ma non sapeva dire se fosse per la mancanza di Andrew o per quella di Julian. Il cugino del suo ragazzo, in quel letto, non c'era mai stato e, forse, non ci sarebbe entrato mai, eppure, mentre chiudeva gli occhi e ripensava fugacemente agli avvenimenti della sera prima, il desiderio di poterlo ritrovare accanto a sé, di perdersi ancora una volta nella dolce forza del suo abbraccio, le fece sfarfallare lo stomaco.

Ho solo bisogno di mangiare qualcosa, si disse, puntando i piedi a terra in cerca delle sue pantofole. Le trovò e, dopo essersi alzata e stirata un po', scese adagio al piano di sotto.

I suoi occhi finirono subito sul tavolino accanto al divano, dove c'era il cellulare che, persa in mille pensieri, aveva dimenticato di portarsi dietro prima di andare a dormire. Lo prese tra le mani e controllò se vi fossero messaggi o chiamate perse, ma nulla.

Andrew non l'aveva cercata nemmeno per augurarle la buonanotte - come faceva sempre quando non dormiva da lei – quindi immaginò che non avesse affatto gradito la parte che lei gli aveva fatto dopo il confronto avuto in macchina: Andy era orgoglioso, molto, e lei lo aveva mollato dentro la sua macchina, imbottigliata nel traffico serale, dopo averlo indirettamente – ma nemmeno troppo – accusato di non possedere un cuore. Per lui doveva essere stato un boccone piuttosto amaro da mandare giù, ma Marlene, per quanto fosse dispiaciuta per come si erano messe le cose tra loro, non era pentita di avere avuto quella reazione.

Se c'era qualcuno in grado di comprendere come si fosse sentito Julian ai tempi in cui frequentava assiduamente la casa del nonno, quella era proprio lei. I suoi genitori non si erano traditi, il loro era stato davvero un bel matrimonio distrutto solo da una brutale malattia, ma il dolore provato con la morte di sua madre era diventato sempre più intenso, invece di affievolirsi, grazie alla donna che l'aveva sostituita, una strega che non perdeva occasione per farla sentire inadeguata, fuori posto, sbagliata. E Julian doveva aver provato quella stessa sensazione, almeno fino a che la verità sui dubbi che assillavano il padre non era venuta a galla.

Andrew, almeno per come la vedeva lei, avrebbe dovuto sostenere il cugino, essergli solidale, stargli accanto in quel momento così delicato, ma, sebbene non sapesse di preciso come fossero andate le cose, non trovava difficile credere che non lo avesse fatto. Odiava Julian da sempre e poi, se davvero gliene fosse importato, non ne avrebbe parlato adoperando termini offensivi e, soprattutto, col sorriso sulle labbra.

Mollò il telefono dove lo aveva trovato e si fiondò in cucina per prepararsi un caffè. Le tornò in mente quello che aveva fatto per Julian, a casa di lui, mentre il ragazzo riempiva l'aria intorno a lei di quel profumo sensuale e irresistibile che, ormai, era il suo biglietto da visita e sospirò, prima di addentare una brioche scaldata nel microonde. Lo sfarfallio nel suo stomaco non intendeva lasciarla in pace ed era evidente, ormai, che la causa fosse una fame diversa: era di Julian Keller che desiderava saziarsi, dei suoi baci, del suo odore e, magari, succhiargli via un po' di sofferenza, quella che, ne era certa, ancora si portava dentro.

Lui, però, era stato perentorio: non stasera, le aveva detto e, in quegli occhi scuri e un po' arrossati, per la prima volta da quando lo conosceva, non aveva scorto alcun riflesso di irriverenza, nessuna malizia, solo l'accorata richiesta di essere lasciato solo, e lei, benché desiderasse l'esatto contrario, lo aveva accontentato.

Con quel pensiero nella testa, si chiuse in bagno e, dopo essersi fatta una doccia, legata i capelli in una coda alta e avere indossato jeans, maglietta e scarpe da ginnastica, raggiunse la caffetteria.

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