28. Epilogue

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Marlene strinse il brick della cioccolata calda un po' più forte, mentre Jennifer le si avvicinava svelta.

Dopo il disastroso party al Chrysler Building e il drammatico confronto con Julian avuto quella stessa sera, aveva deciso di allontanarsi da tutto e da tutti per un po', evitando perfino di andare a lavorare e decidendo di tenere il cellulare sempre spento.

Non voleva parlare con lui, non ancora, ed era certa che Julian l'avrebbe cercata, prima o poi. Probabilmente le aveva già lasciato dei messaggi in segreteria, forse era perfino stato al Johnny's per avere sue notizie, ma lei si era nascosta piuttosto bene. Quando voleva - o era costretta a farlo - sapeva far perdere le sue tracce meglio di chiunque altro, perfino dei ricercati dalla polizia.

Però le mancava, terribilmente. E non aveva smesso di amarlo nemmeno per un secondo.

Era certa che stesse soffrendo, aveva ancora impressi negli occhi quelli di lui, arrossati e tristi, prima che si chiudesse la porta di casa alle spalle, ma, sebbene sotto sotto la colpa di quella lite furibonda fosse imputabile soltanto al ragazzo e agli errori in cui perseverava, non le faceva piacere saperlo disperato o arrabbiato con il mondo intero.

Jennifer glielo aveva accennato al telefono: non si faceva avvicinare neanche da lei e che avesse ripreso a bere fino a spaccarsi in due e a cercare donne diverse ogni sera - trascurando il lavoro e smettendo addirittura di andare a correre - glielo avevano riferito alcuni clienti fissi dell'Ardesia che conoscevano bene entrambi. Marlene, nell'apprenderlo, aveva dato di stomaco.

«Ciao!» esclamò la bionda, col sorriso sulle labbra, prendendo posto accanto a lei, sulla panchina di Central Park su cui si era seduta ad aspettare. Era la prima volta che vedeva Jennifer in jeans, stivali e giubbotto sportivo, con un filo di trucco e con i capelli legati in una coda di cavallo. Quasi non sembrava la stessa ed era perfino più simpatica.

«Ciao. Grazie per essere venuta» le rispose, guardandola attraverso le lenti scure degli occhiali che aveva messo su per coprire lo sguardo spento e segnato. Si sentiva uno straccio e il suo pessimo umore, unito al malessere fisico, aveva finito per ripercuotersi anche sull'aspetto estetico.

Provò a sorriderle, ma non ci riuscì. Aveva dimenticato come si faceva.

Jennifer sospirò. «Al telefono eri davvero disperata, Marlene, non avrei mai potuto ignorare la tua richiesta di vederci. E non avrei mai voluto darti quelle spiacevoli informazioni, ma...»

Marlene fece no con la testa. «Figurati. Sono stata io a cercarti e a chiederti di lui. E poi... è da Julian reagire in questo modo, fa male ma è qualcosa a cui sono preparata» mentì, dato che non si era mai abituata all'idea che frequentasse altre donne, anche soltanto per il sesso.

Jennifer annuì con poca convinzione. «E se tornassi da lui? Sono certa che non aspetti altro!»

Marlene respirò a fondo, poi puntò lo sguardo sul brick. «No, non sono ancora pronta.»

La bionda parve delusa nell'udire quelle parole. «Vuoi che impari la lezione, vero? Una volta per tutte?» incalzò. «Perché, se così fosse, ti capisco, sul serio, ma lui... ecco, Julian... non lo so. Non vorrei che, così facendo, tu finisca per perderlo. Se lo ami ancora, torna subito da lui!»

Gli occhi di Jennifer erano sinceri così come le sue parole, Marlene lo percepiva, e il timore di poter perdere Julian definitivamente lo aveva messo in conto nel momento stesso in cui si era chiusa la porta di Gramercy Park alle spalle, ma no, non voleva che accadesse, voleva soltanto riflettere, guardarsi dentro ancora una volta, ed era proprio ciò che aveva fatto in quelle lunghe e dolorose settimane lontana da lui.

«Di cosa hai paura?» chiese ancora Jennifer.

Lei sospirò. «Che mi riempia il cuore di gioia per poi spezzarlo in due, come ha già fatto» ammise, sincera. «Se accadesse di nuovo, non potrei sopportarlo, non riuscirei più a perdonarlo!»

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