12. Since I laid my eyes on you (part 1)

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«Salve, Rose, Julian Keller è qui?»

La bionda segretaria ricambiò il saluto e rivolse a Marlene un sorriso cordiale. «L'avvocato non è ancora arrivato» le rispose un secondo dopo, mentre la ragazza non riusciva a impedire alle sue unghie, fresche di manicure, di tamburellare sul ripiano di vetro della reception.

«Se non le dispiace, lo aspetto qui.»

«Si figuri» replicò Rose con un nuovo sorriso sulle labbra, tornando al suo lavoro senza più degnarla di attenzione. Marlene, facendo un lungo respiro, si allontanò dalla donna e cominciò a camminare avanti e indietro nei pressi dell'ascensore, ansiosa di vedere le porte aprirsi e lui comparire.

Nonostante la serata romantica trascorsa con Andrew, il proposito di non pensare a Julian e a ciò che lui aveva fatto al suo ragazzo in passato, alla delusione nell'apprendere che quello di portarsi a letto le fidanzate di suo cugino fosse un vizio, era miseramente fallito come, d'altra parte, qualsiasi altro tentativo di tenere quell'uomo lontano dalla sua testa e dal suo corpo. Difatti era nella tana del lupo ancora una volta; attendeva di poterlo vedere e, nel frattempo, ripensava al discorso che gli avrebbe fatto di lì a poco, che si era scrupolosamente preparata restando sveglia per quasi tutta la notte e che, secondo le sue previsioni, sarebbe dovuto servire a sancire la fine di qualsiasi cosa ci fosse stato tra loro sino a quel momento. Attrazione, passione, sesso, tutto doveva essere archiviato, chiuso dentro un cassetto ben sigillato da non aprire mai più, perché mai e poi mai avrebbe permesso a Julian di tentarla ancora; mai e poi mai avrebbe concesso a se stessa di cedere a quella tentazione, di farsi trasportare da quell'insano desiderio che sentiva crescere dentro di sé ogni volta che se lo ritrovava di fronte.

Julian è il male, Julian è il male, Julian è...

Il suo cervello non finì di formulare quella frase che si ripeteva, ormai, da ore – e che, sempre secondo le sue congetture, avrebbe dovuto avere il compito di rafforzare la sensazione di disgusto che le stava attanagliando le viscere – poiché il campanello di avviso dell'ascensore al piano, le porte che si aprivano celeri e due occhi neri e colti alla sprovvista piantati nei suoi, bastarono a resettarle completamente i pensieri.

Julian era intento a parlare al telefono, anzi, a ridacchiare e anche piuttosto energicamente, quando se la ritrovò davanti, fasciata da un tubino bianco doppiato in pizzo e lungo fino a metà coscia che la faceva somigliare a una... sposa. Una un po' diversa dal solito, informale, alternativa, ma dannatamente sexy. Marlene lo sarebbe stata anche con addosso una tuta da ginnastica di due taglie più grande, era innegabile. Come lo era il fatto che fosse riuscita a sorprenderlo, dato che, dopo il discorso affrontato a Bedford e la proposta di matrimonio di suo cugino in programma per la sera prima, l'ultima cosa che si aspettava era di vederla lì.

Congedò in fretta il suo interlocutore e ripose il cellulare nella tasca interna della giacca elegante. Il sorriso, invece, era sparito dalle sue labbra già da un pezzo. Ne rivolse un surrogato alla ragazza, prima di aggirare quelle forme sinuose intento a raggiungere il suo studio, ma Marlene, riacquistate le facoltà mentali, gli fu dietro con un balzo.

«Julian, aspetta! Ho bisogno di parlare con te!» esclamò afferrandolo per una manica e inducendolo a fermarsi e a voltarsi verso di lei.

Lui aggrottò le sopracciglia e schiuse appena le labbra. Non solo la ragazza era lì, ma lo era per lui, quindi, oltre a essere sorpreso, era anche confuso. «Okay, ma posso concederti solo cinque minuti. Sto preparando una nuova tesi difensiva, ho bisogno di concentrazione» disse in tono incolore, riprendendo a camminare per raggiungere lo studio e, una volta aperta la porta, attendere l'ingresso di Marlene.

La ragazza varcò la soglia e lui si chiuse la porta alle spalle, mentre lo sguardo si soffermava sul sedere che aveva davanti e che, ancheggiando appena, andò ad accomodarsi su una delle sedie dall'altro lato della scrivania. La sua concentrazione era andata a farsi fottere, ne era certo, dato che – ed era certo anche di questo - avrebbe pensato al culo di Marlene per il resto della giornata.

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