10. Smell like teen spirits

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A Bedford, quella mattina, splendeva un caldo sole, nonostante la pioggia incessante dei giorni precedenti e l'inverno sempre più vicino.

Marlene, stretta a Julian in sella alla sua moto, respirò l'aria fresca e l'odore di rose che le veniva incontro dal giardino di casa Keller e sorrise. Nonostante il tormento interiore, quel senso di colpa che, seppure a volte sembrasse più flebile, non l'abbandonava mai, si sentiva bene, rilassata e, soprattutto, era sempre più curiosa di scoprire il motivo per cui si trovava di nuovo lì, in quella dimora che tanto le piaceva e che un tempo era stata di fondamentale importanza sia per Andrew che per Julian.

Il ragazzo fermò la sua Honda lungo il vialetto, poi entrambi scesero dal mezzo e raggiunsero adagio l'ingresso della villa.

A Julian mancò il fiato per un istante, quando ebbe varcato la soglia. Intorno c'era silenzio e penombra, ma anche un profumo famigliare, quello di rum, sigari e ricordi che non lo avrebbero abbandonato mai. Provò una stretta al cuore al pensiero che, di lì a poco, suo cugino si sarebbe adoperato per spazzare via a colpi di pennello e pittura antimuffa ogni traccia di quel passato tragico e, al tempo stesso, colmo di affetto che lo legava a quel posto; ma Andy era fatto così: il mondo gli girava intorno, faceva e disfaceva a suo piacimento e di ciò che pensavano gli altri, della sofferenza che quel gesto apparentemente innocuo avrebbe arrecato, non gliene fregava nulla, lui veniva sempre prima di tutto.

«Adesso vuoi dirmi cosa devi fare di così importante? Sto morendo dalla curiosità!»

La voce squillante di Marlene lo distolse in modo brusco da quel pensiero, quindi mollò il casco su una poltrona del soggiorno e tolse l'altro dalle mani della ragazza.

«La curiosità uccise il gatto» sentenziò increspando le labbra e lanciando il casco sul divano, sotto lo sguardo sottile di lei che, nel frattempo, gli sostava di fronte, con le mani dentro le tasche del cappotto corto a doppiopetto che indossava.

Julian notò lo sguardo accigliato che gli stava rivolgendo, quindi pensò che si fosse offesa e ridacchiò. «Ma tu non sei un gatto, sei una pantera, specialmente quando indossi la lingerie, perciò non morirai!» esclamò, ironico, prima di farle cenno di seguirlo, portarsi in corridoio e raggiungere le scale.

Marlene non disse nulla, si limitò a scuotere la testa per poi andargli dietro e salire ogni gradino fino al piano superiore. Non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che Julian le stesse nascondendo qualcosa, oltre al motivo per cui erano lì, ed era certa che il suo silenzio e la tristezza che aveva negli occhi non fossero del tutto frutto della grave perdita subita. C'era dell'altro e avrebbe voluto saperlo, ma... la curiosità l'avrebbe uccisa, prima o poi! Il ragazzo non aveva tutti i torti.

Tenne gli occhi sulla schiena di lui fino a che non lo vide fermarsi dietro una delle porte chiuse, quella su cui c'era un cartello rosso con la scritta bianca "non disturbare" quasi del tutto sbiadita. Julian cinse con le dita la maniglia d'ottone, aprì la porta ed entrò nella stanza completamente buia. Poi raggiunse la finestra, sollevò la persiana e la luce illuminò tutto ciò che aveva intorno, compreso Marlene.

«Ecco svelato il mistero» disse sorridendo obliquo e dandole le spalle per avvicinarsi alla scrivania.

Marlene fece vagare lo sguardo per la stanza, mentre sulle sue labbra prendeva forma un sorriso spontaneo, il primo da quando aveva messo piede in casa.

C'era un letto a una piazza e mezza al centro di una grande parete color crema; l'armadio e la scrivania, invece, erano posizionati su quella di fronte e l'intero mobilio era di legno naturale. Lo spazio sopra la testiera era occupato quasi interamente da poster e fotografie varie. Riconobbe Val Kilmer nel manifesto del film di Oliver Stone in cui aveva interpretato Jim Morrison, l'intera squadra dei Giants e altre foto che ne ritraevano il logo e i singoli giocatori, cartoline di ogni parte del mondo e perfino uno di quei calendari per soli uomini che mostrava la scritta "settembre duemilaquattro" sopra l'immagine di una prosperosa mora discinta.

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