21.

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Quando scrutai l'immagine riflessa davanti a me, un improvviso moto di rabbia mi travolse e mi venne voglia di colpire lo specchio con un pugno, riducendolo in mille pezzi.

Non lo feci.

Presto la rabbia si tramutò in disgusto, in disprezzo, in dispiacere e il rimorso che mi aveva accompagnato durante tutte quelle giornate tornò a farsi sentire più forte di prima.

Mi concentrai sul ritmo dei miei respiri e lanciai un'occhiata ai vari lividi che avevo sulla parte superiore del mio corpo scoperta. A sinistra, all'altezza delle costole, avevo un bel livido nero, un promemoria che mi avrebbe ricordato per sempre che le ginocchiate di Thomas facevano abbastanza male. Altri piccoli lividi erano sparsi su tutto il mio petto, ma niente di così grave che potesse farmi dimenticare per un momento la tempesta emotiva che infuriava dentro di me. Alzai lo sguardo sul mio viso, la ferita all'angolo della bocca non era ancora scomparsa, il mio naso sembrava un unico gigantesco livido nerastro, un ulteriore promemoria che avrei dovuto tenere a mente. Lo tastai con la mano destra e provai solo una piccola fitta, un'unica insignificante fitta di dolore che non poteva nemmeno essere paragonata a quel dolore che mi stava spezzando dentro.

Emisi un sonoro sospiro carico di chissà quante emozioni contrastanti, mi infilai la maglia nera e uscii dal bagno, sbattendo la porta dietro di me con quanta più forza avevo. Me ne andai in camera mia, mi sedetti sul bordo del letto e mi accesi una sigaretta. La nicotina sembrò calmare i miei nervi, sentii i muscoli delle braccia rilassarsi e per un singolo momento mi sentii rilassato. Le emozioni però tornarono a travolgermi prima del previsto, così fui costretto a sostenerle ancora e a soffrire mentre il loro peso mi schiacciava. Nemmeno mi accorsi di aver chiuso gli occhi e quando li riaprii, pensai per l'ennesima volta che non potevo farcela, che non sarei riuscito a sostenere quella situazione ancora per molto.

Erano passate quasi due settimane da quel maledetto giorno. Mia madre era ancora in ospedale e si stava rimettendo, Thomas non si era ancora fatto vivo a scuola e, da quel poco che sapevo, stava studiando come un matto da casa per cercare di recuperare più materie possibili. Se fosse stato bocciato un'altra volta, sarebbe stata tutta colpa mia e non me lo sarei mai perdonato. In quel caso, avrei dovuto aggiungere la sua bocciatura alla lunga lista di dolori e dispiaceri che gli avevo procurato durante tutti quei mesi e allora mi sarei convinto ancora di più che io ero capace solo a fare del male alle persone che tengono a me.

Nonostante questo, nonostante sapessi benissimo di non aver mai giovato a Thomas durante tutto quel tempo, il desiderio di rivederlo era ancora forte e vivo dentro di me. Volevo rivederlo non solo per spiegargli ciò che era successo. Volevo rivederlo soprattutto per accertarmi di persona che lui stesse bene, per incontrare di nuovo quei due occhi scuri, per guardarlo sorridere e per sentire ancora la sua risata.

Ripensai alle parole di mia madre che pronunciò la prima volta che andai a trovarla all'ospedale dopo l'operazione e a quelle dure di Minho.

Lui ti amava davvero aveva detto l'asiatico e io sperai con tutto il cuore di non aver rovinato proprio tutto, che ci fosse ancora qualcosa da salvare e da riportare indietro.

Una canzone familiare iniziò a risuonare nella mia camera, così presi il telefono dalla tasca dei pantaloni e me lo portai all'orecchio senza alcuna voglia di parlare con qualcuno.

- Chi cacchio è ora? - sbraitai rispondendo al telefono.

- Newt.

Spalancai la bocca e sgranai gli occhi. Sentire quella voce, la sua voce, mi diede un sollievo enorme, ma mi sentii allo stesso tempo malissimo. Mi parve che fosse passata un'eternità dall'ultima volta che l'avevo sentita. Drizzai in piedi e mi tolsi la sigaretta dalla bocca, tenendola in mano.

Distraction || Newtmas [In revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora