Him

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Rimasi ad osservarla, e lo stesso fece lei.
La prima cosa che notai furono i capelli, insomma, sarebbe stato impossibile non notarli.
Erano di un rosso talmente acceso che accecava.
Probabilmente anche lei stava guardando i miei, non era cosa da tutti i giorni trovare una ragazza dai capelli viola.
«Alex.»
Mi porse la sua mano.
La strinsi e borbottai un «Clara, piacere.»
Sorrise, «Ah, ho capito. Sei una di quelle timidine che non parlano con nessuno.»
Ritrassi la mano, indignata, non mi piaceva essere etichettata. Ma effettivamente aveva ragione, e lo sapevo.
«Tranquilla, non rimarrai così ancora a lungo.»
Mi fece l'occhiolino e scomparve dietro una porta che notai solo in quel momento.
Sentii dell'acqua scorrere, si starà facendo una doccia, pensai.
Durante il discorso non mi accorsi di aver fatto cadere il telefono per terra, lo presi e notai che la chiamata era ancora aperta.
«Giselle, so che stai ancora ascoltando.»
Dall'altro capo del telefono sentii un tonfo ed un "ahia".
Mi venne da ridere, non era tra le sue doti migliori il non farsi sgamare.
«Clara, okay, scusa.»
«Ci sentiamo dopo, ciao.»
Riattaccai, non era proprio il momento per una riconciliazione che durava ore.
La porta del bagno, dopo un po' di minuti, si aprì, ed Alex uscì con un asciugamano legato in torno al suo corpo, era molto più robusta di me.
«Allora, passerotto, ci sono un paio di regole che devi imparare se vuoi sopravvivere qui.»
Annuii, in segno di ascolto, non facendo caso al modo in cui mi aveva appena chiamato.
«Regola numero 1: qui l'obiettivo non è vivere, ma sopravvivere.
Regola numero 2: non far arrabbiare Tay.»
La fermai, con un colpo di tosse.
«Aspetta, chi è Tay?»
Lei mi guardò, non sorrideva più, con mia sorpresa prese i lembi dell'asciugamano, lasciando che esso cadesse per terra.
Sentii le mie guance andare in fiamme, non riuscii a capire cosa stesse facendo, non mi diede il tempo di aprire bocca, lo fece prima lei.
«Tay è una ragazza davvero, davvero pericolosa, se vuoi continuare a respirare ti consiglio di non stuzzicarla. Io lo feci, una volta, non fu bello.»
Si girò di spalle, e finalmente capii.
La sua schiena era oltrepassata da una grande cicatrice, partiva dalla spalla sinistra, andando a finire sull'inizio del fondoschiena.
Prese il telo e si coprì nuovamente.
«Passerotto, non fraintendermi, non mi importa minimamente se uscirai da qui con le tue gambe, o portata su un carro funebre, io ti ho voluta avvisare.»
Annuii, impercettibilmente.
«Terza ed ultima regola: non permettere che il direttore ti tocchi.»
Aggrottai le sopracciglia, non capii.
«Cosa? Che vuol dire?»
«Vuol dire, che se fai qualcosa che non dovresti fare, e ti mandano dal direttore, dovrai saper correre più veloce di lui.»
Ancora stentavo a capire, ma annuii comunque.
«Ed ora, passerotto, ti porto a conoscere il mio ragazzo.»
Andò a vestirsi e tornò, praticamente indossava gli stessi abiti di qualche minuto prima, ma non glielo feci notare, dovetti ricordare mentalmente le regole, alla fine erano solo tre. Una più strana dell'altra.
«Ah, dimenticavo, ti confischeranno il telefono, devi portarlo in segreteria.»
Guardai l'oggetto che avevo tra le mani, era l'ultimo legame che avevo con la mia vecchia vita.
«Il tuo lo hanno preso?»
Lei mi guardò, ed un secondo dopo sorrise, andò verso il letto che non era occupato dalla mia valigia e lo alzò con un solo scatto del braccio.
Prese un aggeggio nero tra le mani.
Riconobbi un telefono vecchio modello.
«Ovvio che no.»
Rispose, riponendo la scatoletta al suo posto.
Uscimmo dalla stanza, dando due giri alla serratura, poi Alex mi porse le chiavi, affermando «Sembri una tipa affidabile.»
Le afferrai e le misi in tasca.
Percorremmo di nuovo il corridoio e poi la rampa di scale, arrivando all'entrata principale.
«Quella è la sua stanza.»
Disse la ragazza avvicinandosi ad una porta con un "4" attaccato sopra.
Mi fermai di scatto, riconoscendo quel posto.
Era la stanza da cui provenivano le voci maschili.
«Forse è meglio se rimango qui.»
Affermai allontanandomi, con scarsi risultati; la ragazza, che era almeno il doppio più forte di me, mi afferrò per un braccio e mi riportò al suo fianco.
Una volta essersi assicurata che non avrei tentato di scappare, aprì la porta, senza bussare, senza chiedere il permesso, la aprì e basta.
L'odore era differente da quello che c'era nella nostra stanza, si sentiva che ci erano appena stati dei ragazzi.
La rossa si gettò al collo di un ragazzo che era seduto sulla poltrona accanto al letto, urlando un "Ethan!"
Io rimasi sulla soglia della porta, in attesa di essere presentata.
Quando Alex notò il mio imbarazzo, smise di baciare il moro e disse: «Ragazzi, questa è la mia nuova coinquilina, carina vero? Passerotto, questo è Ethan, il mio ragazzo. E quel bel maschione disteso sul letto è Crawford.»
Il ragazzo che era appena stato nominato, finalmente si girò verso la mia direzione, per lanciarmi uno sguardo annoiato.
«Non credo tu ti chiami davvero "Passerotto", giusto?»
Chiese il ragazzo della mia coinquilina.
Io sorrisi, evidentemente in imbarazzo.
«Certo che no. Mi chiamo Clara.»
«Nome da santarellina.»
Commentò soltanto Crawford, credo si chiamasse così, si.
Lo guardai male, e lui mi sorrise, in modo irritante.
Non sarei andata d'accordo con quel troglodita.
"Clara Smith è pregata di andare nell'ufficio del direttore, subito."
La voce metallica proveniva da un altoparlante collocato in un angolo del soffitto, nel corridoio.
Mi girai verso Alex, «Non so dove sia l'ufficio del direttore.» ammisi.
Lei si alzò dalle gambe di Ethan e venne verso di me, aprì la porta «Vai sempre dritto, si, da quella parte, giri a destra e trovi una porta con su scritto "Ufficio del direttore", non è difficile.»
Le rivolsi un ultimo "Grazie" prima di incamminarmi, ma non feci neanche un passo che sentii la rossa urlare «Ricordati della terza regola!»
Scossi la testa, divertita, e girai a destra, trovai la porta e bussai.
Sentii la voce rauca del signor Ray dire «Avanti.», ed entrai.
L'ufficio era completamente dipinto di bianco, al centro c'era una scrivania, su cui erano disposte diverse fotografie, girate in modo da non farmele vedere, un computer e tanti, tantissimi fogli disposti in pile.
«Voleva vedermi, signore?»
Chiesi sedendomi sulla sedia difronte la scrivania, il direttore stava scrivendo qualcosa al computer, quando finì, si girò verso di me.
«Signorina Smith, come ben sa, questo è un riformatorio, e ci sono delle regole.»
Stavo per replicare che già ne ero a conoscenza, ma non lo feci, probabilmente le regole di cui stava parlando erano totalmente differenti da quelle che conoscevo già io.
«La prima regola è che qui dentro, a voi "studenti", non è permesso avere un cellulare, perciò, è pregata di darmi il suo.»
Presi il telefono dalla tasca dei pantaloni, lo spensi, e glielo porsi, non senza qualche esitazione.
«Bene. La seconda regola è che, come avrà notato, questa è una scuola mista, e rapporti che non siano prettamente colloquiali o amichevoli con l'altro sesso, sono assolutamente proibiti.»
Mi venne da ridere, ma mi trattenni, cercando di mostrarmi il più seria e attenta possibile.
«La terza regola è che qui ci si porta rispetto a vicenda, come lei deve rispettare me e gli altri suoi professori, noi dobbiamo rispettare lei e i suoi compagni. Spero di essere stato chiaro.»
Mi guardò, aspettando una mia risposta.
«Limpido come l'acqua, signore.»
«Benissimo, può andare.»
Mi alzai dalla sedia ed uscii dall'ufficio.
Decisi di andare da Alex, non conoscevo ancora nessuno li, e lei mi sembrava la figura che si avvicinasse di più ad un'amica.
Camminai per il corridoio, quando qualcuno mi urtò violentemente, facendomi quasi perdere l'equilibrio.

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