Nightmares

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«Devo punirti, dolcezza» la sua voce rauca era impastata per colpa del troppo alcool che trangugiava ogni sera.
«Io non ho fatto nulla...» sibilai, allontanandomi da quell'uomo così ripugnante.
«Stavi per dirlo a tua madre, hai fatto qualcosa eccome» ribattè, la bottiglia di whisky in mano.
Bevve altri due sorsi, poi la gettò per terra, frantumandola in tanti, piccoli pezzettini.
«Non ho detto niente a mia madre, te lo giuro!» urlai, le lacrime minacciavano di uscire, ma dovevo continuare a mostrarmi forte, altrimenti sarebbe stata la fine.
«Non allontanarti, non ti farà tanto male» affermò, con un ghigno sulle labbra contornate dall'ispida barba.
«Ti prego Frank...» supplicai, allontanandomi ancora di più, andai a sbattere contro il ripiano della cucina, e lì capii che non avrei potuto fare nulla per fermarlo.

Mi svegliai ansimante e grondante di sudore nel mio letto.
Quell'incubo era ormai una parte fondamentale delle mie notti.
Rivivendo quel momento  ancora e ancora, non riuscendo a svegliarmi mai nel momento giusto, percependo le sue mani toccarmi e sbattermi violentemente contro il muro della cucina, sentendo la voce di mia madre che mi urlava che era tutta colpa mia.
Mi alzai e corsi in bagno, mi asciugai le poche lacrime che ogni sera solcavano il mio volto e mi sciacquai la faccia.
Le occhiaie, i capelli arruffati, le guance arrossate, tutto di me faceva capire che qualcosa si era rotto, all'interno.
Decisi di agire d'impulso.
Mi infilai velocemente una giacca e uscii in silenzio dalla stanza, non volevo svegliare la rossa che dormiva beatamente nel suo letto.
Camminai per il corridoio, percorsi la rampa di scale e mi ritrovai davanti la porta numero 17.
Avevo bisogno di parlare con qualcuno, non aveva importanza che fossero le due di notte, sapevo che la ragazza era sveglia.
Aprii lentamente la sua porta, non riuscivo a vedere nulla, perciò cominciai a sussurrare «Nina, sono Clara» dopo tre volte che ripetevo la stessa frase, una figura mi si piazzò davanti.
La ragazza dai capelli scuri si stropicciò gli occhi e poi chiuse la porta alle sue spalle.
«Cosa c'è Clara? Ti rendi conto di che razza di ore sono?!» la su voce impastata dal sonno rendeva il suo tono meno minaccioso di quanto volesse farlo intendere lei.
«Lo so, mi dispiace, avevo bisogno di parlare con qualcuno.» dissi semplicemente.
Lei sbuffò «E non potevi andare dal tuo amichetto Hunter, o dal tuo ragazzo?!»
Stava alzando la voce, ed io le feci segno di seguirmi.
Uscimmo dalla porta principale, la guardia notturna stava appisolata comodamente su una sedia poggiata al muro del corridoio principale.
Ci dirigemmo, come al solito, verso il campo da calcio, e ci stendemmo al centro di esso, sull'erba fresca.
Il lieve venticello di ottobre che tirava rendeva l'atmosfera perfetta.
«Allora, parla, su» mi incitò Nina.
Io presi un respiro profondo.
«Non riesco mai a dormire la notte, ho degli incubi, e non so perché sento di poterne parlare con te.» sputai fuori.
Ovviamente non le avrei parlato di ciò che mi era successo, non ero ancora pronta a tirare in ballo l'argomento, le avrei solo raccontato di ciò che mi aveva fatto il direttore.
«Che genere di incubi?» chiese lei, totalmente presa dal discorso.
Io ci pensai qualche secondo, «Rivedo il signor Ray con il frustino in mano, immagini frammentate che mi ricordano la sera in cui mi ha picchiata» mentii, in parte, perché era vero che a volte sognavo anche quella notte.
Lei non rispose.
Girò il volto verso di me.
«Ti ha fatto male?» mi chiese dopo un po', io annuii.
«Ti capisco» disse solo, la curiosità si fece spazio dentro di me «Cosa ha fatto a te, invece?» non riuscii a trattenermi.
Nina fissò il suo sguardo sulle stelle, sembrava le stesse contando una ad una.
«Ha frustato anche me, ma per mia sfortuna non ha usato un piccolo frustino, perché non era la prima volta che trasgredivo alle regole.»
«Cosa avevi fatto?» magari dovevo imparare a stare zitta e farmi i fatti miei, ne ero consapevole, ma dovevo saperne di più.
«Avevo risposto male ad un professore, ed una mattina gli avevo alzato le mani, il direttore si è arrabbiato molto, ha preso la frusta, e ha cominciato a colpirmi.» sapevo che le faceva male ricordare, potevo capirla perfettamente.
«Nina» la chiamai.
Lei si concentrò di nuovo su di me.
«Ti ha fatto male?» riproposi la domanda che mi aveva fatto lei.
La ragazza annuì.
Guardai le stelle, la luna, e l'oscurità che si impossessò di quel luogo, di noi due, stese su quel campo da calcio, alle due del mattino, intente a svelarci segreti; due complete estranee, che però si fidavano ciecamente l'una dell'altra.





Quando aprii gli occhi, sentii strani gemiti provenire dal letto di fianco al mio, misi a fuoco la scena e vidi Ethan intento ad allenarsi.
Lo guardai per qualche altro secondo, non si era ancora accorto che io mi ero svegliato.
«Ethan» lo chiamai, lui si accorse solo in quel momento di me.
«Hey, Craw, tutto bene? Ieri sera sei tornato tardi in camera, ho dovuto mentire al sorvegliante, gli ho detto che eri in bagno a vomitare anche l'anima» disse, facendo spuntare sulle mie labbra un sorriso, non per quello che aveva appena detto il moro, ma per la ragione per cui, la sera prima, non ero potuto tornare in stanza insieme a lui.
Potevo ancora sentire il sapore delle sue labbra.
Vaniglia, vaniglia e tabacco.
Il modo in cui sembrava tanto piccola tra le mie braccia, il suo sguardo, i suoi occhi, le sue labbra, tutto.
Esattamente ancora non sapevo cosa volessi, ma anche il solo baciarla mi provocava troppe cose, sensazioni, che non ero in grado di reprimere.
Mi alzai dal letto, stropicciandomi gli occhi, e mi diressi verso il bagno.
Mi feci una doccia veloce, sapendo che il sabato non ci sarebbero state lezioni, e mi vestii.
Camminai fino alla porta numero 24.
Bussai.
«Avanti» sperai fosse sola, che Alex se ne fosse andata con il suo bello e che la ragazza fosse tutta per me.
Ovviamente il fato mi odiava profondamente.
«Ciao, Alex»
«Dolcezza!» mi salutò la ragazza, dandomi una pacca sulla spalla.
«Clara?» chiesi, evitando troppi convenevoli.
Lei mi scrutò attentamente «Cosa state combinando voi due?» mi chiese, gli occhi che sembravano due fessure, io mi grattai il retro della testa, in imbarazzo «Niente» risposi, cercando di essere il più convincente possibile, lei rimase ferma a guardarmi «Non farla soffrire, Collins, o dovrai vedertela con me.» il suo tono era duro e deciso, io annuii «Ma quindi dov'è?» chiesi, cercando di sminuire la tensione che si era creata tra noi «Dov'è chi?» chiese una voce alle mie spalle, mi girai, sapendo già di chi si trattasse, e cercai di trattenere il sorriso che mi si stava creando sulle labbra.
«Il bad boy qui presente cercava proprio te, passerotto» mi precedette la rossa.
Io la fulminai con la sguardo, poi riportai la mia attenzione su Clara.
«Volevo vederti» dissi semplicemente.
Lei sembrò sorpresa, ma subito un sorriso si fece spazio sul suo volto, guardò dietro di me, in direzione della sua amica, che prontamente le fu accanto.
Alex le sussurrò qualcosa all'orecchio, lei annuì, e poi la rossa se ne andò, chiudendo la
porta dietro di se.
Lei mi si avvicinò, fino ad averla ad un passo da me.
Mi sembrava ci fosse ancora troppa distanza tra di noi.
Allungai un braccio e afferrai un lembo della sua felpa, tirandola verso di me.
Lei sbattè contro il mio petto, ed io ne approfittai per circondarla con le mie braccia e spingerla sul letto.
«Devo abituarmi ad un Crawford tanto affettuoso?» mi chiese, posandomi un dolce bacio sul collo, io rabbrividii, ma non per il freddo, mi piaceva quando prendeva lei l'iniziativa.
«Assolutamente no, ragazzina» riposi, mordendole il collo e cominciando a succhiarlo.
Sentii piccoli gemiti uscire dalle sue labbra, una sua mano tirò lievemente i miei capelli, aveva capito qual era il mio punto debole.
Continuai a mordere e succhiare finché non fui soddisfatto del risultato.
Quando la guardai, vidi le sue guance tingersi di un leggero rossore, sorrisi.
«Perché ridi?» chiese, cominciando ad accarezzarmi i capelli, io mi coricai vicino a lei, facendola posizionare in modo tale da avere la sua testa sul mio petto.
«Mi piace quando arrossisci» confessai, arrotolando una ciocca di capelli viola intorno al mio dito, notai solo in quel momento che non indossava gli occhiali, li vidi poggiati sul suo comodino.
Era incredibile come potesse risultare bella in qualunque momento, in qualsiasi condizione.
«Lo sai che non possiamo stare così tutto il giorno, vero Collins?» mi chiese, alzando la testa per guardarmi, mi presi qualche secondo per osservare il colore dei suoi occhi.
Un azzurro talmente chiaro che si avvicinava più al grigio.
«Perché no?» sussurrai, stringendole un fianco, lei rise.
«Perché no» rispose solo, poggiandosi meglio su di me.
Sarei potuto rimanere in quella posizione per ore, ma ovviamente, ciò che voglio io non è mai qualcosa di possibile.
La porta si aprì, ed io maledissi quel ragazzo in chissà quante lingue possibili.

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