Past

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«Quella sera ero tornata prima dall'allenamento di calcio, non mi sentivo tanto bene. Arrivata a casa avevo trovato Frank, il compagno di mamma, steso sul divano, una lattina di birra tra le mani, una sigaretta tra le labbra.»

«Hey, dolcezza! Come mai già di ritorno?»
lo guardai con aria interrogativa, non riuscii a spiegarmi come mai lui fossi lì a quell'ora, sarebbe dovuto essere a lavoro, come mamma.
«Non sto bene» mi limitai a borbottare mentre lanciavo distrattamente lo zaino contro la parete della cucina.
Mi diressi verso il frigorifero, lo aprii ma non ci trovai nulla che potesse piacermi, lo chiusi e cominciai a camminare verso le scale.
«Dove vai? Vieni qui, fai un po' di compagnia a questo pover'uomo» aveva insistito lui, mettendosi a sedere e sbattendo la mano libera dalla lattina di birra sul divano, sul posto accanto a lui.
«Devo andare a studiare.» dissi con fermezza, continuando la mia rotta.
Sentii uno scricchiolio e subito dopo un dolore alla spalla destra.
«Ho detto» bisbigliò l'uomo ad un centimetro dal mio naso «che devi rimanere qui, a farmi compagnia.» concluse, lasciando andare la presa dal mio polso, che aveva precedentemente afferrato.
La mia spalla, che aveva sbattuto violentemente contro la ringhiera delle scale, stava cominciando a sanguinare, lo percepivo da sotto la sottile maglietta che indossavo.
Frank si girò nuovamente e mi fissò.
Un sorriso maligno gli si creò sul volto.
«Divertiamoci un po', dai» affermò, tornando a camminare verso di me.
Io cercai con lo sguardo una qualsiasi via di fuga, ma ogni porta sarebbe stata troppo lontana, dal punto in cui mi trovavo.
Scattai, correndo su per le scale, ma il fisico da trentenne dell'uomo, la sua forza, la sua velocità, superavano di gran lunga le mie capacità.
Mi afferrò per un fianco, facendomi cadere, rotolai fino ad arrivare al piano di sotto.
La testa cominciò a pulsare insistentemente.
Mi prese in braccio, portandomi sul divano; cominciò a sfiorare la cerniera dei miei jeans.
«Sei stata cattiva, dolcezza, ora devo punirti.»
Con uno strattone mi calò i pantaloni.

Quello che avvenne dopo puoi tranquillamente immaginarlo.
Quando mia madre tornò a casa, pensò che fossi stata io a fare delle avance al suo perfetto fidanzato, che fossi io la maniaca che lo aveva sedotto.
La cosa più brutta è che io ero consapevole di tutto ciò che mi stava facendo.
Io ho sentito tutto.
E mai dimenticherò l'agonia che ho dovuto provare quel giorno.»
Finalmente ripresi a respirare.
Raccontare quella parte della mia vita aveva creato in me un non so che di davvero mostruoso.
Mi sentivo bene, ma allo stesso tempo lacerata.
Crawford mi stava fissando.
Le sue braccia ancora serrate intorno alla mia vita.
La sua espressione non tralasciava nulla.
Sapevo che stava pensando, ma non sapevo ben definire a cosa.
«È per questo che sei qui?» mi chiese infine.
Io spostai le mie iridi nelle sue.
I grandi occhiali continuavano a scivolare dal mio naso, così decisi di poggiarli sul comodino di fianco al letto.
«Si» affermai.
«E tua madre non ha davvero mai pensato che il suo fidanzato fosse un porco maniaco?»
«No»
«Che bastardi.»
Annuii.
Non sapevo come replicare.
«Ti...»
Sapevo cosa stava per chiedermi, la domanda che sorgeva spontanea.
«Ti ha fatto tanto male?»
Io sorrisi.
Non un sorriso felice, un sorriso di scherno, malinconico.
«È stato un dolore straziante.» confessai.
Lui prese ad accarezzarmi il fianco sinistro.
Mi riappoggiai sul suo petto, cominciando a disegnare dei piccoli cerchi immaginari con le dita sul tessuto della sua maglietta.
«Non permetterò che mai nessuno ti faccia del male» affermò lui.
Io sorrisi. Questa volta per davvero.
Alzai la testa e lo baciai.
Senza rendercene conto si erano fatte le sette, il buio era arrivato.
Ethan era passato per farci sapere che avrebbe dormito nella camera di un suo amico.
E quella sera facemmo l'amore.
E fu meraviglioso.

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