Friday

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Era di nuovo venerdì.
Era il momento di andare al campo.
Non parlavo con Alex ormai da giorni, cercavo di evitarla in ogni modo, sapevo che, se l'avessi incrociata da qualche parte, non avrei resistito a parlarle di ciò che avevo visto tra lei e Nash.
Erano le 19.00, circa, il sole se n'era già andato da qualche ora, e ottobre era arrivato.
Un lieve venticello sfiorò il mio viso, quando uscii dal grande portone, dirigendomi verso l'immenso campo.
Il naso non faceva più tanto male, e questo lieve dolore mi permetteva comunque di indossare gli occhiali, che non avevo usato per un po'.
Con Hunter si era stretto un bel legame, stavamo praticamente sempre insieme, se non qualche volta, insieme a Jacob, che era un quattordicenne con gli ormoni abbastanza in subbuglio.
Mi faceva ridere quel ragazzino, sempre così scattante e pronto a fare qualsiasi cosa.
Sempre con quell'allegria che ti trasmetteva, anche involontariamente.
Crawford non mi aveva più parlato.
Ci eravamo incrociati qualche volta per i corridoi, ma non aveva neanche accennato ad un saluto, e siccome il mio orgoglio era davvero spropositato, io facevo altrettanto.
Non riuscivo a capire se avessi fatto qualcosa di male, se mi fossi comportata in modo sbagliato, ma non mi soffermavo molto a pensarci.
Mi mancava Christian.
Mi mancava davvero tanto.
E approfittai della partita, per poter di nuovo sentire la sua calda voce.
Quando, in mezzo alla folla, vidi una chioma rossa, mi diressi senza esitazione, verso di essa.
«Rossa!» chiamai la ragazza, che, prontamente, si girò nella mia direzione.
Un sorriso le si allargò sul volto, e venne verso di me, abbracciandomi.
Non capii il motivo di tutto quell'affetto, ma mi piacque.
Ricambiai la stretta e mi staccai, un po' in imbarazzo.
«Ciao, passerotto» parlò lei, «dove ti eri cacciata?»
Io abbassai lo sguardo, non avrei tirato fuori l'argomento, non mentre Ethan si trovava a due passi da noi, con lo sguardo fisso sulla sua ragazza.
«Ho passato molto tempo con Hunter» mi limitai a dire, lei sembrò pensarci, ma poi annuì.
Stava per voltarsi, ma la fermai, prendendo coraggio «Alex» le toccai un braccio, per farla rigirare «non è che potresti prestarmi il tuo telefono, per favore?»
Lei mi guardò, sorridendo, e poi mi porse la piccola scatoletta.
Io la afferrai, avendo paura di ciò che avrebbe detto dopo la frase che seguì.
«Posso parlarti di una cosa?» quelle parole mi erano uscite fievoli dalle labbra, non ero sicura di voler affrontare l'argomento, ma ormai era fatta.
«Certo, passerotto, dimmi tutto»
La presi per un braccio e la feci camminare fino a quando le voci non si affievolirono.
«Allora?» mi chiamò la rossa, spronandomi a prendere parola
«Ti ho vista» cominciai «l'altra mattina, con Nash»
Il sorriso che le si era formato sulle labbra, scomparve in un secondo, la sua faccia divenne una maschera di preoccupazione e allo stesso tempo, rabbia? Perché mai avrebbe dovuto essere arrabbiata con me.
Si avvicinò al mio volto, ed io indietreggiai, andando a sbattere contro le scalinate.
«Se provi anche solo ad accennare qualcosa ad Ethan, giuro che ti farò molto più di un naso rotto. Chiaro?»
Io annuii, ma non mi diedi per vinta, troppe persone mi avevano minacciata, in quel posto, ed ero stanca.
«Almeno spiegami.» controbattei.
Lei sembrò sorpresa dalla mia audacia, ma sembrò anche apprezzarla.
Fece due passi indietro, allontanandosi da me, ed io ne feci uno avanti.
«È da circa quattro mesi, che io e Nash ci frequentiamo. Quando sono arrivata qui, l'anno scorso, a diciassette anni, avevo subito conosciuto Ethan. Inutile dire che me ne sono innamorata pazzamente» sorrise, ma non mi guardava negli occhi «lui è sempre stato l'unico a non giudicarmi per ciò che avevo fatto. Per il motivo per cui ero qui» cercai di bloccarla, volendo sapere di più, ma lei mi precedette, «avevo rotto l'auto di un mio insegnante. Presa a martellate, molto, molto forte» mi venne da ridere, ma mi trattenni, immaginai un'Alex diciassettenne con un martello in mano, che si scaraventava violentemente su un auto di un suo professore.
«Comunque. Qualche mese dopo al mio arrivo, io stavo già con Ethan, arrivò Nash.
Non so spiegarti come, ma sentii fin da subito, di appartenere a lui.
Noi due ci detestavamo. Non andavamo per niente d'accordo, arrivai persino a pensare di odiarlo, ma non ci riuscivo.» quelle parole mi fecero tornare in mente quel ragazzo dagli occhi color rame che mi aveva tormentata fin dal primo giorno in cui avevo messo piede in quel riformatorio.
«Ad ogni suo sorriso, il mio stomaco si contorceva, ad ogni sua carezza, i brividi mi pervadevano.
Fin quando, quattro mesi fa, non mi ha baciata.
Lì capii tutto, con un solo bacio era riuscito a rimettermi le idee apposto, io volevo lui, e lo voglio tuttora.» la bloccai, incapace di capire «Allora perché non lasci Ethan, scusa?»
Finalmente mi guardò negli occhi, «anche io ho un cuore, sai?» affermò, sarcastica, ma con una nota di tristezza nella voce.
«Non ci riesco, cioè, ci ho provato, ma proprio non ci riesco. Sto solo aspettando il momento giusto. Per favore, non dirgli nulla»
Io annuii e spalancai le braccia, invitandola verso di me, non se lo fece ripetere due volte, e mi abbracciò, sussurrando un lieve «grazie» al mio orecchio.

Rimasi dietro gli spalti, quando la partita cominciò.
Avevo visto Crawford correre verso il campo, ovviamente non ci eravamo neanche guardati in faccia.
Quella situazione mi metteva a disagio, avrei voluto anche solo che mi rivolgesse un'occhiata, ma niente.
Presi il piccolo telefono dalla tasca della mia felpa e digitai il numero.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro squilli.
Cominciai a pensare che non avrebbe risposto, quando una voce raggiunse il mio orecchio.
«Pronto?» sembrava si fosse appena svegliato.
«Ry.» era il nomignolo con cui lo chiamavo quando eravamo piccoli, ed ero ancora solita usarlo, mi piaceva.
«Lala» rispose lui, e potei giurare che stesse sorridendo.
«Quindi il venerdì è la nostra giornata delle chiacchiere?» continuò lui, io risi, «a quanto pare si» risposi.
«Come sta andando, li dentro?»
Sospirai, non sapevo se dirgli del pugno oppure no, era davvero apprensivo, nei miei confronti.
Ma non riuscivo a mantenere un segreto con lui.
«Mi hanno tirato un pugno» cercai di mandarla sul ridere, ma non sentii nessuna risata, dall'altro capo del telefono.
«Stai scherzando?» era serio.
«Purtroppo no. Ma, hey, sto bene, il naso è ancora un po' violaceo, ma sto bene» cercai di rassicurarlo.
«Chi cazzo è stato?» lo sentii sbottare «Una ragazza più grande» risposi solo, quando era in quello stato, non bisognava sviare le sue domande.
«Come si chiama?»
«Tay»
«Che nome di merda.»
Sorrisi «Non ti piace solo perché mi ha tirato un pugno»
«Non dirmi che invece a te piace!» stava ridendo anche lui.
«No, Chris, ma sono cose che capitano, qui dentro.»
Sospirò «Piccolina, tra quanto torni?»
Risentire quel nomignolo, pronunciato dalla sua voce profonda, mi fece sentire bene.
«Sta a mia madre decidere, Ry»
Affermai, arrendendomi a quell'idea.
«Quella stronza» lo sentii dire, io aggrottai le sopracciglia, «Hey, è pur sempre mia madre» mi indignai.
«Tua madre, che ti ha sbattuta in un riformatorio» percepii quel suo sorrisetto fastidioso anche se eravamo al telefono.
«A te come vanno le cose?» chiesi, dopo un po', non sapendo come replicare.
Lui indugiò per un momento, «Giselle si è fatta sentire» disse, in imbarazzo, «si è presentata a casa mia» sapevo che non aveva finito di parlare «E?» lo spronai io «E..» continuò lui, «Oh, andiamo, Christian!»
«E abbiamo fatto sesso.»
Un pugno.
Un pugno dritto allo stomaco.
Avrei potuto chiedere altre mille cose, ed invece «Quindi ora state insieme?» uscì dalle mie labbra, che stupida ero.
«In un certo senso, si» disse lui.
«Bene, sono felice per voi, devo andare.»
Non gli diedi neanche il tempo di rispondere, riattaccai velocemente il telefono e lo fiondai nella tasca della felpa.
Non capivo perché quelle parole mi avevano colpita così tanto.
Non provavo rabbia, ne tristezza.
Forse provavo gelosia.
Si, era proprio gelosia.
Avevo considerato mio, Christian, per tutti quegli anni.
Motivo per cui io e Giselle non eravamo più amiche.
Sapevo che sarebbe tornata da lui, dopo aver messo a posto le cose tra me e lei.
Gli è sempre corsa dietro.
E a lui faceva piacere, quindi, perché non avrei dovuto essere felice anche io?
Mi accasciai contro le scalinate, le urla degli altri ragazzi erano nitide alle mie orecchi, ma io non le sentivo realmente.
Mi presi la testa tra le mani, e cercai di metabolizzare ciò che avevo appena saputo.
«Smith!»
Alzai la testa ed incontrai un paio di occhi verdi che mi fecero subito tornare il buon umore.
Mi alzai frettolosamente da terra e sorrisi al ragazzo che mi si era piazzato davanti.
«Hunter» lo salutai, «Dopo abbiamo organizzato dei "festini a camere"» disse lui, io lo guardai, perplessa «praticamente» cominciò «si formano dei gruppi di persone, ed ognuno va in una camera. Quando si comincia ad annoiarsi in quella camera, si passa ad un'altra. Quando si arriva in un'altra stanza, alcune delle persone presenti, devono lasciare quella camera per andare in quella da cui le persone arrivate sono appena uscite. È una cosa pazzesca, si conosce sempre un sacco di gente nuova. Solo» disse, adesso con tono di avvertimento «non devi farti scoprire dal sorvegliante notturno. Anche se, è un vecchio di settant'anni, non dovrebbe dare problemi. Allora, ci stai?»
Mi porse una mano, io scossi la testa divertita e l'afferrai, lasciandomi trascinare all'interno della grande casa.







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Hey! Nuovo capitolo! Christian è qui gente.
Si scopre cos'ha Alex. Ma perché Crawford è così? Bisogna solo continuare a leggere🌞

[jessi_tane weeentz ]

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