Crawford continuava ad ignorarmi, cercando insistentemente qualcosa che si trovava all'interno della tasca della sua felpa.
«Coll..» avevo cominciato a dire quando «sta zitta» venni interrotta bruscamente.
Incrociai le braccia al petto e distolsi lo sguardo, sapevo di sembrare una bambina in quel momento, con l'espressione corrucciata e il labbro inferiore leggermente all'infuori, ma mi dava fastidio quando qualcuno cercava di farmi eseguire degli ordini.
«Finalmente!» esclamò il ragazzo, sventolando per aria un qualcosa di forma rettangolare.
Quando mi avvicinai per capire cosa fosse notai delle lettere e dei codici incisi sopra.
«Perché hai una carta di credito con te?» domandai curiosa, lui non rivolse il suo sguardo verso di me, ma verso la porta della mia camera, cominciando a muovere la carta di credito nella fessura.
«Perché» cominciò lui «se mi trovo in situazioni del genere, cosa alquanto improbabile, almeno so come cavarmela, ragazzina.»
Aveva preso il brutto vizio di chiamarmi "ragazzina", non aveva mai accennato alla minima pronuncia del mio nome.
Sentii uno scatto e poi vidi Crawford abbassare la maniglia ed aprire la porta; lo guardai esterrefatta, come un bambino che guarda le vetrine di un negozio di dolci, ero sorpresa.
«Come cazzo ci sei risuscito, Collins?! Esigo che tu mi insegni come hai fatto»
Il ragazzo trattenne un risolino e mi spinse delicatamente il fianco per farmi entrare nella stanza, quel minimo contatto, pur coperto dal tessuto della mia felpa, mi fece rabbrividire, senza nessun apparente motivo.
Si diresse verso il bagno ed io mi sedetti sul mio letto.
Il moro tornò poco dopo con una garza ed un disinfettante tra le mani.
«Chi è l'incapace che ti ha fasciato il naso?» chiese piegandosi sulle ginocchia in modo da essere alla stessa altezza.
«Hunter» risposi quasi senza pensare, lui sembrò rifletterci su e affermò solo «ah, quello che ha allagato la sua scuola».
Mi resi conto solo in quel momento di non aver chiesto ad Hunter il motivo per cui era lì.
Una domanda si fece strada tra gli altri mille pensieri che si erano formati nella mia mente, avrei voluto cacciarla indietro, non rovinare la minima sintonia che sembrava essersi creata tra noi. Ma non riuscii a trattenermi.
«Tu perché sei qui?» complimenti Clara, devi sempre rovinare tutto, vero?
Quando sentì quelle parole, Crawford smise di tagliare la garza e mi guardò, serio.
«Non sono affari tuoi, ragazzina.» disse, con l'intenzione di non spostare neanche di un millimetro i suoi occhi dai miei.
Io mi irrigidii, per la seconda volta quella sera, e non parlai, riuscii solo a far uscire dalla mia bocca un semplice «scusa..»
Il suo sguardo era talmente conciso che non lasciava via di fuga, pur volendo, non riuscivi a smettere di guardarlo. Rimanemmo in quella posizione per qualche altro secondo, i nostri occhi totalmente incatenati tra loro, l'azzurro ghiaccio delle mie iridi si fondeva alla perfezione con il bronzo delle sue.
Fu lui a distogliere lo sguardo, ero consapevole che io non ci sarei riuscita.
Riprese a tagliare la garza, e poi, con un pezzo di ovatta bagnato nel disinfettante, cominciò a pressare lentamente sul mio naso.
All'inizio sentii un lieve bruciore, evidentemente la mia espressione tradì il dolore, perché Crawford si fermò.
«Ti sto facendo male?» chiese, io abbassai lo sguardo, non reggendo un'altro confronto diretto con i suoi occhi, «no» risposi, attorcigliando la mia mano destra a quella sinistra.
Lui abbassò lo sguardo sulle mie mani ed improvvisamente intrecciò la mano in cui non aveva l'ovatta con la mia mano destra.
Mi bloccai.
Quel contatto fu qualcosa di indescrivibile, d'un tratto non capii più nulla.
Mi accorsi che Crawford aveva ricominciato a dare piccoli colpetti al mio naso, strinsi la sua mano, un po' per il dolore, e un po' per sentirlo ancora più vicino a me.
Tutta quella situazione non aveva alcun senso, noi due non ci sopportavamo.
Eppure, in quel momento, mi parve ci fosse una certa leggerezza tra di noi.
Quando prese la garza, sciolse il nostro intreccio di mani, e mi sentii vuota, spenta, non lo diedi comunque a vedere, tra di noi non era successo assolutamente nulla.
Posizionò il pezzettino bianco sul mio naso e pressò leggermente per farlo aderire.
Una volta finito tornò in bagno, a lasciare le cose.
Io ne approfittai per alzarmi e andare a recuperare le chiavi che si trovavano per terra, vicino la porta.
Tornai a sedermi sul letto.
Quando Crawford uscì dalla porta del bagno, la sua faccia era un misto di preoccupazione e confusione.
«Ti ha fatto tanto male?» chiese, io aggrottai le sopracciglia, ma poi capii che si riferiva al pugno che Tay mi aveva tirato.
Scossi leggermente la testa, «giusto un po', niente di che.» affermai, dicendolo più a me stessa che a lui.
«Ti si è formato un grosso livido, sai?» lo guardai, ma non risposi, non avendo nulla da dire, sapevo di essermi comportata come una stupida, tutto per dimostrare cosa? Niente, assolutamente niente.
«Promettimi che non farai più una cazzata del genere.» disse lui d'un tratto.
«Cosa c'è Collins, ti preoccupi per me?» sorrisi, ma lui era serio, faceva quasi paura.
«Promettimelo.» disse solo, non riuscivo proprio a capire il suo comportamento, un momento era dolce e premuroso, quello dopo si irritava per tutto, sembrava me con il ciclo, cazzo.
«Finiscila di darmi ordini, non puoi dirmi cosa devo o non devo fare.» replicai con calma.
«Hai bisogno di qualcuno che lo faccia, se hai intenzione di continuare a comportarti come un'incosciente!» stava alzando la voce, brutto errore con me.
«Non mi comporto come un'incosciente! E non urlarmi contro, non sei nessuno per farlo!» ora anche io stavo gridando.
Uno dei miei più grandi difetti era quello di soffrire di attacchi di panico, non era tanto un difetto, ma era qualcosa che avrei evitato molto volentieri. Erano attacchi di panico lievi, lievissimi, ma mi prendevano comunque, sempre nei momenti sbagliati. Come quello.
Il mio respiro si fece affannoso ed io, essendomi alzata durante la discussione, mi accasciai alla prima parete solida che trovai.
Cercai di regolarizzare il respiro, vidi Crawford sbarrare gli occhi, si avvicinò velocemente a me e si inginocchiò «hey, hey, cosa sta succedendo? Cos'hai?» notando la mia incapacità nel rispondere, capì.
Mi prese per le spalle e mi fece scostare di poco dal muro, ci si appoggiò lui e, subito dopo, mi fece posizionare contro di lui, con la testa sul suo petto e le gambe incrociate alle sue.
Una sua mano raggiunse la mia testa, cominciando ad accarezzarmi i capelli, l'altra mi stringeva saldamente la vita, costringendomi a non muovermi.
«Andrà tutto bene, calmati adesso» continuava a ripetermi in un sussurro al mio orecchio, provocandomi dei piccoli brividi.
Non seppi come, riuscì a farmi tranquillizzare, di solito me la sbrigavo da sola, nella mia stanza, al buio.
Quando fu tutto finito, mi scostai di poco dal suo petto e lo guardai negli occhi.
Volevo semplicemente perdermi in quelle pozze di rame e non tornare mai più.
La sua mano prese ad accarezzarmi il fianco, e quella che teneva sui miei capelli si spostò sulla mia guancia, asciugandomi una lacrima di cui non mi ero neanche accorta.
«Esattamente un anno fa» cominciò improvvisamente lui «scoprii che mio padre picchiava mia madre» fece un grande respiro, io feci per alzarmi da lui, ma Crawford mi cinse ancora di più la vita, facendomi capire che non voleva che io mi spostassi. Feci come richiesto, e ritornai alla posizione iniziale, la mia guancia sul suo petto, e le sue mani sui miei fianchi.
«Ero un diciassettenne già incasinato di mio, per l'adolescenza, la pubertà, e scoprire che il proprio padre alzava le mani su sua moglie, beh, non è stata una bella cosa» nella stanza si sentiva solo la sua voce, in quel momento, «la prima volta che lo vidi, mia madre mi urlò di correre via, il più lontano possibile, ma io non lo feci. Solo vedere le lacrime di mia madre mi fece scattare dentro qualcosa di inspiegabile, qualcosa di molto simile all'adrenalina. Presi mio padre per il colletto della camicia, ma ero solo un ragazzo di diciassette anni, contro un quarantottenne in piena salute. Lui fu più veloce, e mi scaraventò contro il piano della cucina» a quelle parole strinsi leggermente la sua maglietta tra le mie dita, e lui cominciò di nuovo ad accarezzarmi i capelli.
«Mia madre continuava ad urlare, ma lui non ne voleva sapere di smettere. Qualche giorno dopo, ricominciò a picchiarla, e arrivò all'impensabile. Quando tornai a casa, quella sera, vidi l'ambulanza davanti casa, capii subito. Corsi verso il giardino e cominciai a urlare, per chiamare mia madre, ma nulla, un medico mi si avvicinò e mi guardò con gli occhi pieni di compassione. Crollai. Vidi mio padre qualche metro più in là e corsi verso di lui, cominciandolo a colpire, e colpire di nuovo, finché non mi bloccarono, facendomi calmare» prese un grande respiro, ed io feci lo stesso, «dissero che era morta per un'emorragia cerebrale, che si era rotto qualcosa nella sua testa. La versione che diede mio padre fu quella di una casalinga distratta che inciampa per sbaglio e sbatte contro lo spigolo dell'isola della cucina. Ma io non ho mai creduto alle parole di quello sporco bastardo. È stato lui. E quando ho cercato di farlo sapere a tutti, mi ha sbattuto qui dentro, a diciotto anni suonati.»
Quando finì di parlare, notai sul suo volto un'unica lacrima, alzai una mano e la posizionai sulla sua guancia, cominciando ad accarezzarlo, esattamente come aveva fatto lui.
Al contatto della mia mano fredda e della sua pelle calda, sussultammo entrambi, ma poi lui chiuse gli occhi, e si poggiò totalmente contro le mie carezze.
«Non voglio la tua compassione, sto già di merda così» disse dopo un po', le mie carezze non cessarono, e lui non diede segno di voler aprire gli occhi.
«Mio padre è in galera» sputai fuori «per spaccio di droga, ma io so che l'hanno incastrato.»
In quel momento Crawford aprì gli occhi, mi guardò, ma non disse nulla.
E a me andava benissimo così.
In quella stanza buia, in quel silenzio assordante, si sentiva solo il suono delle nostre carezze e dei nostri respiri, intenti a rincorrersi.Questo capitolo è molto importante per me. Spero sia venuto come speravo.
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Reformatory
Fanfiction-Mi guardò, a volte si prendeva delle pause per guardarmi, non mi dava fastidio, al contrario degli altri, lui non mi guardava come se fossi una creatura strana proveniente da un altro pianeta, lui mi guardava semplicemente perché gli piaceva guarda...