Crybaby

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Crawford era fatto così, il giorno prima ti baciava e quello dopo ti ignorava totalmente.
Aveva un gran casino nella testa, ma non potevo biasimarlo, nemmeno io stavo facendo granché per avere un contatto con lui.
Era passata ormai una settimana da quel bacio, ed io non riuscivo a pensare ad altro che a quello, nessuno sapeva cos'era successo, Alex tornava in camera tardi e se ne andava presto, ed io continuavo a ripetermi che avrei fatto meglio a non immischiarmi in quella faccenda.
Nina mi guardava in modo strano ogni volta che la incrociavo per i corridoi, ma facevo finta di non vederla, non dovendo fingere poi così tanto, visto che nella mente avevo solo le mie labbra che si scontravano violentemente con quelle del moro.
Era stato un bacio intenso.
Le sue labbra erano talmente morbide che avrei potuto non staccarmici più, la sua lingua sapeva esattamente cosa fare, riusciva a stuzzicare la mia, facendo in modo di farle intrecciare alla perfezione.
Aveva un sapore meraviglioso.
Sapeva di miele, miele mischiato al tabacco delle sigarette.
Sembrava conoscesse la mia bocca meglio di chiunque altro.
Quella mattina, quando mi alzai, mi dimenticai totalmente che fosse il mio compleanno, fin quando Hunter non pronunciò le parole «Hey, oggi andiamo insieme alla partita?»
Fu come un pizzico dato all'improvviso, una secchiata d'acqua gelida in piena faccia.
«Certo, ci vediamo in camera tua?» chiesi, continuando a mangiare le uova che avevo nel piatto.
«Ti va di venire adesso? Jacob è con un suo amico, ed io non so cosa fare nel frattempo» mi supplicò, guardandomi con quei suoi enormi occhi verdi.
Io sbuffai, arrendendomi «Eh va bene, ma andiamoci ora, se continuo a mangiare questo pranzo potrei vomitare da un momento all'altro» lo intimai.
Lui si mise a ridere e andò a lasciare i nostri vassoi, quando tornò mi alzai anch'io, dirigendomi verso l'uscita della mensa.
Mi girai improvvisamente, con la continua sensazione di essere osservata, e li trovai.
Un paio di occhi color bronzo mi stavano scrutando da infondo la sala, passavano da me al mio amico con una velocità impressionante, si soffermarono su Hunter, e Crawford fece una faccia disgustata, che fosse geloso? No, impossibile, non ne avrebbe avuto motivo.
Lo avrei sfidato, in fondo era il mio passatempo preferito.
Presi il braccio di Hunter e lo posizionai intorno alle mie spalle, lui fu sorpreso di quel gesto, ma poi mi sorrise, dandomi un bacio sulla testa.
Mi girai velocemente verso il ragazzo che prima ci stava osservando, e potei notare, con mia grande soddisfazione, che aveva gli occhi che sembravano stessero per uscire dalle orbite.
Sorrisi sfidandolo, e poi uscii dalla sala.
«la signorina Smith è pregata di raggiungere l'ufficio del direttore.»
Quella voce metallica raggiunse il mio campo uditivo, guardai Hunter, che mi stava a sua volte fissando, con un'espressione interrogativa sul volto.
Io mi scostai dal braccio che aveva ancora intorno alle mie spalle «Deve essere mia madre che vuole farmi gli auguri» dissi distrattamente, lui sembrò svegliarsi all'improvviso «È il tuo compleanno?!» quasi lo urlò, io gli feci segno di abbassare la voce «Si, è il mio compleanno, ci vediamo dopo» corsi verso l'ufficio del signor Ray, prima di ricevere altre domande da parte del ragazzo.
Mi bloccai quando fui davanti la porta.
I ricordi della settimana prima si fecero più vividi ed il mio corpo fu oltrepassato da un brivido.
Le ferite si erano rimarginate, ma non del tutto, le avevo disinfetta come meglio potevo, ma il lieve dolore era ancora insistente.
Bussai, insicura, «Avanti» la voce profonda del direttore mi invitò ad entrare.
Chiusi la porta alle mie spalle e rimasi ferma, in piedi, davanti ad essa.
Stavolta sarei scappata.
«Ha una telefonata da parte di sua madre, signorina Smith»
Mi avvicina al signor Ray, che aveva la cornetta del telefono tra le mani.
Quando la ebbi afferrata, il direttore si alzò, ed uscì dalla stanza, probabilmente volendomi dare un po' di privacy.
Oh, ma che gentile, pensai, sarcasticamente.
«Pronto» dissi, dall'altro capo del telefono sentii un sospiro.
«Bambina mia...»
«Ciao, mamma»
Risentire la voce di mia madre, dopo tanto tempo, mi fece sorridere, nonostante tutto.
«Come stai? Ti trattano bene? Hai fatto nuove amicizie? Come si chiamano? Non ti sarai mica drogata?! Stai lontana dalle canne, fanno male. Allora?! Perché non mi rispondi?!»
Mi venne da ridere, ma mi trattenni.
«Mamma, finiscila» dissi solo, ricordando il perché io fossi lì dentro.
«Clara...»
«No, mamma, non voglio sentire nulla, fammi gli auguri e basta, finiamola con questa pagliacciata.»
«Tesoro, io so che in questo momento mi odi, ma ti ho mandata lì perché dovevi pensare a ciò che avevi fatto, e...»
«Ciò che ho fatto?!» la interruppi «no, io non ho fatto assolutamente nulla! Capito?! È stato quel maiale del tuo ragazzo, ha buttato tutta la colpa su di me, ha fatto sembrare me la maniaca pervertita. Ma poco mi importa di questo! La cosa che mi ha ferita più di tutte è stato il fatto che tu abbia creduto a lui e non a me! Tua figlia, cazzo!»
Sentii dei singhiozzi dall'altra parte del telefono.
Era troppo.
«Smettila di piangere, non ne hai motivo. Muoviti, devi farmi gli auguri?»
Mia madre tirò su col naso, era incredibile come riuscisse a passare per la vittima anche quando lei era il carnefice.
Mi faceva sentire in colpa, nonostante la colpa non fosse mia.
«Tanti auguri, bambina mia, ti voglio bene»
«Grazie.» e riattaccai.
Uscii dall'ufficio del direttore, dirigendomi verso la mia camera.
La aprii, bloccandomi.
«Alex.» affermai, vedendo la rossa seduta sul suo letto. Quando girò il suo volto verso di me, vidi i suoi occhi, rossi quasi quanto i suoi capelli.
Mi dimenticai della discussione avuta con mia madre.
Mi piombai verso di lei, niente domande, niente spiegazioni.
La abbracciai, perché sapevo come ci si sentiva quando non si aveva nessuno che ti confortasse.
«Hey, hey, va tutto bene» continuavo a ripetere, mentre la ragazza continuava a singhiozzare tra le mie braccia.
«Nash...» riuscì a dire, ed io smisi di accarezzarle la testa.
«Cos'è successo, Alex?»
Lei tirò su col naso.
«Nash ha detto» cominciò «lui ha detto che non poteva continuare così, che se non avessi lasciato Ethan, avrebbe troncato tutto con me» io la ascoltavo, attenta, «gli ho detto che non appena avessi trovato l'occasione, avrei chiarito tutto con Ethan, ma lui non mi ha voluto credere. Ha detto che mi da tre giorni, poi la finisce» la rossa scoppiò in un pianto nervoso, ed io ripresi ad accarezzarle la testa.
«Io lo amo, Clara, lo amo con tutta me stessa, non posso perderlo, non posso.»
«Credo che l'unica cosa che tu possa fare in questo momento, sia andare a parlare con Ethan» le consigliai, finalmente smise di piangere, si mise a sedere sul letto nel modo più composto che poteva e mi rivolse il suo sguardo malinconico.
«Hai ragione, ora vado da lui e gli dico tutto» si alzò, e si diresse verso la porta, ancora aperta.
«Non è che...» cominciò, girandosi di nuovo verso di me «non è che ti andrebbe di venire con me?»
Io ci pensai un po' su, ma poi annuii, seguendo la ragazza per il corridoio.
Quando raggiungemmo la camera numero 4, lei fece una cosa che non aveva mai fatto, bussò.
E quando sentimmo un «È aperto!» vidi Alex irrigidirsi.

«Ragazzina» mi voltai, riconoscendo quella voce e quel nomignolo, anche la rossa si girò.
«Alex scusa, te la rubo per un momento» disse Crawford, prendendomi una mano. Io sussultai a quel contatto, e mi scansai, con pochi risultati.
Accidenti alla mia forza inesistente.
«Vai, ce la puoi fare» dissi alla ragazza prima di sorriderle, darle un bacio sulla guancia, ed essere trascinata via dal ragazzo più irritante dell'istituto.
Il ragazzo più irritante dell'istituto, che ti ha baciata, mi ricordò il mio subconscio.
E lo maledissi per quello.
Finalmente ci fermammo, mi accorsi di essere ritornata in camera mia.
Il numero 24 che sembrava tanto potente su quella porta, ma che effettivamente era solo un numero.
Presi le chiavi e le infilai nella serratura, aprii ed entrai, aspettando che Crawford facesse lo stesso.
Quando ebbe chiuso la porta dietro di se, io incrociai le braccia al petto, invitandolo a parlare.
Finalmente si decise «Perché non mi hai detto che oggi è il tuo compleanno?» quelle parole mi fecero voltare lo sguardo verso di lui.
«E tu come fai a saperlo?» chiesi, irritata.
«Me lo ha detto Hunter» disse, con nonchalance, «beh, non è che lo ha detto proprio a me, lo stava dicendo a quel ragazzino,     
Jacob, ed io avrei potuto accidentalmente ascoltare» concluse, grattandosi il dietro della testa.
Io alzai gli occhi al cielo, era davvero incorreggibile quel ragazzo.
«Comunque» continuò «perché non me lo hai detto?» chiese, nuovamente.
Sbuffai, «Non è una cosa poi così importante, e poi non credevo ti importasse» risposi.
Lui sembrò pensarci su, «Ci siamo baciati.» mi prese alla sprovvista, lo guardai negli occhi, aspettandomi che continuasse, ma non lo fece.
«Ci siamo baciati» ripetei io, «e poi ci siamo totalmente ignorati, com'è nostro solito fare, giusto? Un momento prima sei dolce, carino con me, quello dopo sei un completo menefreghista che se ne sbatte di ciò che magari potrei provare io. Crawford, hai mai pensato minimamente a come mi fossi sentita durante quel bacio?! Se avessi provato qualcosa!» sputai tutto fuori, tutto ciò che non avevo detto.
Lui sorrise, come poteva sorridere in un momento del genere?! Mi girai, non volendolo più guardare.
«È la prima volta che mi chiami con il mio nome» disse, e potei percepire quel suo sorriso irritante.
«Già» mi limitai a dire, ancora con le spalle rivolte verso di lui.
Sentii il suo respiro caldo contro il mio orecchio.
Non mi girai.
Solo quando sentii la sua mano posarsi delicatamente sul mio fianco destro, non ce la feci più.
Mi voltai di scatto, i nostri nasi si sfiorarono e le nostre bocche si aprirono contemporaneamente.
Non avrei ceduto un'altra volta.
Mi allontanai da lui, andando a finire contro il muro.
«No, Collins. Non puoi baciarmi e poi far finta di nulla! Non sono una delle tue ragazze occasionali. Non voglio diventare uno svago per te.» urlai.
«Ti ha baciata?» sentii.
Mi girai verso la porta e mi bloccai improvvisamente.
Non poteva essere davvero lì.
Non poteva essere davvero lui.




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