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Già mi mancava Clara.
L'avevo lasciata in quel riformatorio neanche un'ora prima e già sentivo un vuoto al petto.
Si, Ry, devi dirglielo
quelle parole mi erano rimaste impresse nella mente, ma in fondo sapevo che aveva ragione.
Giselle ed io non eravamo mai stati una coppia, era sempre stata la migliore amica di Clara, niente di più.
Da qualche anno aveva cominciato a venirmi dietro, ma non ci avevo fatto molto caso, perché ero totalmente preso con la musica.
Quando la mia band si fu sciolta, cominciai a guardarmi intorno, come si dice, aprii finalmente gli occhi.
Giselle era una bellissima ragazza.
Quando venne a casa mia, quel venerdì sera, capii finalmente cosa volessi realmente.

«È aperto» dissi, seduto comodamente sul divano, non sapevo chi fosse a suonare alle dieci di sera, pensai si trattasse di mio padre, tornato da lavoro, ma quando una folta massa di capelli neri mi si piombò davanti, il mio respiro accelerò.
«Giselle, che ci fai qui?» lei sembrò uscire da uno stato di trans.
«Ho dimenticato le chiavi di casa, non so dove andare, ti prego non cacciarmi via» qualche lacrima rigò il suo volto, mi alzai e andai verso di lei.
La presi per le spalle e la feci posizionare sul mio petto, cominciò a piangere più forte, sporcandomi la maglietta, ma non me ne importava.
«D'accordo, va di sopra, ti presto un mio pigiama» lei si staccò dall'abbraccio e salì le scale, dirigendosi verso la mia camera.
Mia madre non sarebbe tornata quella sera, faceva un turno extra in ospedale, e mio padre era troppo occupato nel suo studio legale per ricordarsi di avere un figlio, una moglie, ed una casa.
Salii anch'io e quando entrai in camera mia, pensando che la ragazza si stesse cambiando in bagno, sussultai.
Giselle era solo in completo intimo, non mi aveva visto, era girata verso il letto, intenta a cercare un pigiama nel mio cassetto.
Quando si girò, si bloccò, coprendosi rapidamente con la maglietta che aveva preso.
Forse fu il vederla in quello stato, i capelli arruffati, le guance totalmente rosse, gli occhi che si muovevano velocemente senza posarsi su di me, imbarazzati.
Seppi solo che quello che feci, lo desideravo davvero.
Mi avvicinai a lei, che aveva ancora la maglietta posizionata in modo tale da coprirle la pancia, le misi una mano sulla guancia e la baciai.
Fu la prima volta che sentii quel dolce sapore sulle mie labbra.
Lei non si oppose, Clara mi aveva detto mille volte che aveva un debole per me, ma io continuavo ad affermare che non era così, che si stava immaginando tutto.
Approfondimmo sempre di più il bacio.
Fin quando non ci ritrovammo completamente nudi, sul mio letto, intenti a scoprire ogni parte dei nostri corpi.

Ricordare quella sera mi fece sorridere, presi il telefono e composi velocemente il numero.
«Hey» sentii, dopo due squilli
«Hey» risposi
«Sei ancora con lei?» mi chiese, sentivo la sua voce tremare
«No, sto tornando a casa»
la sentii respirare profondamente
«Giselle»
«Christian» il mio nome pronunciato dalla sua voce aveva un che di inebriante per me
«Fatti trovare sotto casa tua, tra due ore.»
e attaccai, non le diedi il tempo di rispondere, se solo avesse detto un'altra parola mi avrebbe fatto cambiare idea.
Sapevo ciò che volevo, e sarei andato a prendermelo.




«Buon compleanno!» urlò il moro non appena mise piede nella mia stanza.
«Hunter, che ci fai qui?» chiesi divertita, aveva un cappellino di carta in testa, di quelli che ti insegnano a fare alle elementari e un pezzo di torta al cioccolato tra le mani.
Era davvero buffo.
«Siccome non mi hai dato molto preavviso, ho dovuto arrangiarmi» affermò, porgendomi il pezzo di torta al cioccolato.
«E ho anche portato i rinforzi!» continuò, quando ebbi preso il piatto tra le mani.
«Sorpresa!» urlarono Alex e Jacob in coro.
«Voi siete matti!» affermai, posando la torta sul comodino e alzandomi in piedi.
Abbracciai il ragazzino, che era più basso di me di qualche centimetro, scompigliandoli i capelli.
Poi fu il turno della rossa.
«Tanti auguri, passerotto» disse, cingendomi in un caloroso abbraccio.
Quando ci staccammo l'una dall'altra, presi il pezzo di torta al cioccolato e lo infilzai con la forchetta che era nel piatto.
«Aspetta!» urlò Hunter, prendendomi il piatto dalle mani, «devi prima esprimere un desiderio» vidi che cominciò a frugare nella tasca dei suoi pantaloni, fin quando non ne estrasse una candelina e un accendino.
Mise la candela sulla torta e poi l'accese.
Era tutto così perfetto.
Non avrei potuto desiderare niente di più. Ero con le persone che finalmente potevo chiamare "amici".
Li guardai tutti, e quando soffiai, per esprimere il mio desiderio, non mi venne nulla in mente, perché ciò che volevo era proprio davanti ai miei occhi.

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