Family

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Erano passate due settimane dal mio ritorno a casa, ero ormai entrata nella sesta settima, ero solo all'inizio dei nove lunghi mesi che mi attendevano, ma già odiavo le sensazioni di nausea, i mal di testa frequenti, gli sbalzi di umore. Nonostante questo però, Justin mi era accanto, non eravamo mai stati felici come in quel periodo. I nostri genitori sarebbero arrivati a breve, per passare il natale da noi, ma la cosa più difficile sarebbe stata dirgli della gravidanza. Conoscevo bene mio padre, non avrebbe accettato Justin e con lui neanche il bambino o bambina che portavo in grembo. Ma non importava, ce l'avrei fatta senza di lui. In quelle due settimane, tutti uscivano per comprare regali, addobbi natalizi, c'era una bella allegria. Avevamo appena finito di pranzare e mentre io e le ragazze pulivamo la cucina, in salotto i ragazzi improvvisarono un mini concerto personale. Dal primo momento che ho sentito cantare Justin, ho dedotto che fosse un talento, avevo ascoltato le sue cover su youtube, aveva un voce angelica. Se solo si fosse impegnato di più, se avesse creduto di più nei suoi sogni, invece di prendere una cattiva strada, forse a quest'ora starebbe girando il mondo, avrebbe milioni di fan pazze di lui, sarebbe fidanzato con una modella bellissima o chi lo sa, con Selena Gomez. Mentre asciugavo le stoviglie, sentì delle braccia stringermi il bacino, un mento appoggiato sulla mia spalla e un naso che mi accarezzava la guancia. Justin muoveva i nostri corpi a ritmo di musica, cantava nel mio orecchio 'give me love', mi fece scappare un sorriso. Poi con un gomito lo sganciai dal mio corpo. Si appoggiò al bancone della cucina, anche se non potevo guardarlo, sentivo i suoi occhi su di me, cioè sul mio sedere. Così mi girai e gli lanciai un panno da cucina sul viso.

"Smettila" lo rimproverai.

Ridacchiò. "È lui che mi chiama" si difese.

"E cosa ti dice?" Incrociai le braccia.

Fece un sorriso malizioso, poi si leccò le labbra. "Posso mostrartelo in camera".

"Sei un pervertito" gli diedi un pugno sulla spalla.

Rise. Scossi la testa, per quanto alcune volte fosse cretino. Se ne andò in salotto.Avevo già un esserino grande quanto un fagiolo nella mia pancia, non ne volevo un altro. Ritornai alle mie stoviglie, posizionandole pulite e asciutte nella credenza. Avevamo pulito tutta la casa per l'arrivo dei miei genitori, mia madre era una fissata con le pulizie. Avevo un ansia addosso incredibile. Fortunatamente i miei, sarebbero venuti da soli, senza quel rompipalle di mio fratello e la scorbutica di mia sorella con il suo ragazzo. Invece la famiglia di Justin, sarebbe venuta al completo. Andai in salotto, dal tavolino del divano presi le ciotole piene di patatine, che i ragazzi stavano mangiando o per meglio dire gettando a terra.

"Quelle sono le mie patatine" sbraitò Justin, come un bambino.

"Con quali soldi hai comprato le patatine?" gli chiesi.

"Con i tuoi" rispose.

"Quindi sono le mie" sorrisi soddisfatta.

Io e la ciotola quasi vuota di patatine, ci dirigemmo in cucina. Poggiai la ciotola sul bancone , poi mi sedetti su uno sgabello. Addentai una patatina, poi lanciai lo sguardo in salotto. Justin si era messo due popcorn nelle narici, aveva messo le ciotole piccoline delle noccioline sul petto, formando un 'seno'. Certe volte si comportava da bambino, la domanda che mi potevo era: dovrò far crescere lui o nostro figlio? Ad un tratto vidi i ragazzi con delle ciotole sulla testa e le mani unite. Cercavano di muovere il bacino, ma le ciotole finivano per terra. Averli intorno era così divertente e non ti annoiavi mai.

"Prendete quelle ciotole e lavatele, subito" disse seria Deasy.

"Tesoro, stiamo solo giocando" disse John.

"Ho detto subito" ripeté.

Loro acconsentirono al suo ordine. Deasy si guardò in giro con aria soddisfatta, era la più severa in casa. Mi alzai dallo sgabello e andai in salotto, sedendomi sulla poltrona. Iniziai a cercare tra i tanti canali qualcosa di interessante da guardare. Mi soffermai su MTV, in onda c'era incinte a 16 anni. Io ne avevo 19, ma ero comunque giovane. Mentre ascoltavo le storie di queste ragazzine, vidi la porta aprirsi. Entrò Alex, ultimamente usciva spesso e ritornava dopo ore, non sapevo dove andasse e lui non ne parlava.

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