Maybe it's meant to be

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TANYA VOICE:

Negli ultimi anni stando e non stando con Justin avevo capito molte cose. Nelle mie relazioni passate chiamavo problemi un semplice litigio basato su un argomento magari stupido, credevo che i problemi di una coppia fossero decidere dove andare insieme il sabato sera, cosa regalarsi a natale e quali parole usare per presentarsi ai suoceri. Dopo tanto ragionare ero giunta ad una conclusione, i veri problemi erano altri, tipo quando si cerca di stare insieme alla persona che si ama sapendo che c'é qualcuno che è pronto a separarvi, a distruggervi. Però avevo anche capito che tutti i problemi avevano una soluzione, prima o poi era ovvio.Quando Justin mi chiese cosa avessi sognato quella notte, io avevo risposto di non ricordare nulla, ma ovviamente avevo mentito. Era un sogno troppo reale, mi sembrava di essere li per davvero. Mi trovavo in una specie di mondo parallelo se così si poteva chiamare, c'era un uomo dal viso familiare, lo stesso uomo che avevo incontrato in spiaggia e lo stesso che Justin aveva incontrato in montagna. Da come mi aveva raccontato Justin parlavo in greco antico, il bello era che io fin dalle scuole medie ero una mezza ceppa nelle lingue antiche, invece nel mio cosiddetto sogno lo parlavo perfettamente. Ricordo di aver parlato con quest'uomo e lui continuava a chiamarmi Kora, parlavo con lui come se ci conoscessimo da sempre, come se fosse mio padre, in realtà non sembrava una semplice parlata ma un vero e proprio battibecco. Quando mi sono svegliata ero mezza stordita e non avevo la minima idea di cosa avessi detto o di cosa mi fosse stato detto. In conclusione, era tutto troppo strano ed io non avevo la minima idea di cosa fosse successo quella notte, ma lo avrei scoperto molto presto.

Avevo passato la notte a preparare le valigie insieme a Justin e Jaxon, che per tutto il tempo non avevano fatto altro che litigare. Justin aveva lasciato il comando di tutto a John, forse perché era il più serio di tutti e anche il più esperto. Io lo avevo lasciato a Mary che tra Hope e Deasy era la meno impegnata. Deasy aveva il suo lavoro e Hope era troppo impegnata a fare da mamma e moglie. Avevamo preso il primo volo per Toronto, il nostro aereo partiva verso le quattro del pomeriggio. Avere a che fare con i fratelli Bieber in un viaggio di un paio d'ore, non fu per niente facile. Nonostante fossero entrambi cresciuti d'età, non perdevano occasione per batti beccare, offendersi, buttarsi frecciatine e provocarsi. Dovevo sempre essere pronta a dividerli e a cercare di farli stare buoni; per tutto il viaggio le loro urla riempivano l'aereo e le persone presenti guardavano male, altre persone chiamavano le hostess per rimproverarci tutti. Non fu uno dei miei viaggi in aereo più tranquilli, di questo ne ero certa.

Arrivammo a destinazione verso le otto e mezza

ove, sarebbero venuti a prenderci i genitori di Justin. Dato che il mio ragazzo aveva insistito per portarsi dietro innumerevoli armi per la nostra protezione,dovemmo pagare la dogana per lasciarci passare le valigie senza essere arrestati. Jaxon che era all'oscuro di tutto quello che stava succedendo a me e Justin, non smetteva di fare domande. Avevamo scelto di non dirgli nulla a causa della sua lingua troppo lunga, avrebbe finito per raccontare tutto ai suoi genitori, che dopo avrebbero telefonato i miei, creando così panico e preoccupazione tra le nostre famiglie. Dopo aver preso le nostre valigie ci recammo all'uscita dell'aeroporto, dove ad attenderci c'erano già Pattie, Jeremy e Jazmyn. Dopo innumerevoli saluti e tanti abbracci, mettemmo le valigie in auto e partimmo verso Stratford. Non ero mai stata a casa di Justin prima d'allora, non avevo mai visto il luogo in cui era cresciuto, non avevo mai conosciuto i suoi nonni, quindi ero molto emozionata. Dopo un'ora di viaggio in auto, arrivammo a casa Bieber. Gli uomini presero tutte le valigie che c'erano da prendere, mentre noi donne liberamente entrammo in casa.

"Non è come la vostra villa vista mare, ma posso assicurarti che ti troverai bene" mi disse Pattie.

"La trovo molto graziosa, grazie dell'ospitalità" cominciai a guardarmi intorno ammirando la piccola ma graziosa casa.

"Vado a preparare la cena, tra poco nonno Bruce sarà qui con nonna Diane" Pattie corse subito in cucina.

"Posso darti una mano?" la seguì nell'altra stanza.

"Certo" annui sorridente.

"Li ci sono le carote, bisogna affettarle" indicò il bancone.

Mi avvicinai ad esso cacciai dalla confezione le carote fresche, poi mi avvicinai al lavello e le sciacquai. Ritornai al bancone e cominciai a tagliuzzarle su un tagliere, nel frattempo Pattie mi raccontava la sua giornata prima di venire all'aeroporto. Era una delle donne più semplici e genuine che avessi conosciuto, era veramente fantastico chiacchierare con lei, soprattutto dopo un viaggio seduta accanto ai suoi pestiferi figli.

"Fa uno strano effetto vedervi insieme, non starete complottando contro di me?" Justin varcò la soglia della cucina.

"Stiamo cercando un modo simpatico per ucciderti, nulla di particolare" rispose sarcastica sua madre.

"Ci stanno provando in troppi in questo periodo" si lasciò sfuggire.

"Quanto sei simpatico" risi per farla sembrare una battuta.

Non avemmo il tempo materiale per discuterne, poiché bussarono alla porta e Justin corse ad aprire. Mentre tagliuzzavo le ultime carote, cercai di ascoltare i saluti provenienti dal corridoio, Justin non smetteva di esultare e fare battutine o complimenti, pensai subito che fossero arrivati i suoi nonni. Diventai rossa per la vergogna, non li avevo mai conosciuti e mi stava salendo il panico. Finì di tagliare le carote e le passai a Pattie che le aggiunse al suo polpettone di verdure. Quando sentì la voce di una signora alle mie spalle, mi voltai e subito mi ritrovai in un suo abbraccio. Quando ci staccammo potei notare Justin sorridermi e imbarazzata ricambiai il suo sorriso. Venne ad abbracciarmi un uomo, era di sicuro nonno Bruce. Sia lui che sua moglie erano molto cordiali e a differenza mia non erano in imbarazzo.

"Sei davvero molto carina, tu e mio nipote sembrate una bella coppia" affermò Diane.

"Nei nostri alti e bassi, nonna, siamo una coppia sexy" rispose Justin.

Diventai ancora più rossa, non poteva dire quello che aveva detto davanti la sua famiglia. I suoi nonni fortunatamente risero dopo la sua pessima battuta, che poi battuta non era, perché ormai era diventato serio con la storia dell'essere sexy. Lui più di me. Una vera o propria fissazione. Per me essere in imbarazzo era un evento speciale, non capitava quasi mai, ero la tipica ragazza sfacciata e sicura di se. Non so cosa mi stava capitando in quel momento, ma le gambe mi tremavano ed ero rossa come un peperone. Justin si avvicinò a me e appoggiando il suo braccio sulle mie spalle iniziò a scuotermi, non smise di ridere per neanche un secondo.

"Un giorno mi spiegherai come sopporti mio fratello" Jazmyn interruppe in cucina, sedendosi sul bancone della cucina.

"Non lo so, ma quando lo scoprirò sarai la prima a saperlo" la rassicurai.

Justin smise di scuotermi dopo la mia irruente risposta, mi fissò per pochi attimi, poi il suo corpo si staccò dal mio e lentamente si incamminò verso la porta della cucina, fino a che non riuscì più a vederlo, sentivo solo passi pesanti sulle scale. Tutti rimanemmo in silenzio, guardandoci gli uni con gli altri, forse un po tutti stavamo cercando di capire quel suo sbalzo d'umore istantaneo, forse non gli era piaciuta la mia risposta ironica. Si, era ironia, io sapevo bene perché sopportavo Justin e tutti i guai che ci circondavano, lo sopportavo perché il mio amore per lui era più forte di tutto.

La signora Bieber mi fece segno con la testa di seguirlo, forse era la cosa più giusta da fare. Pulì le mani su uno strofinaccio, bruscamente lo lanciai sul bancone e impacciatamente uscì dalla cucina, fino ad arrivare alle scale. Quando fui di sopra la situazione si era leggermente complicata, non sapevo quale fosse la camera di Justin. Aprì una e più porte sbagliate, fino ad aprire quella giusta. Entrai nella sua camera chiudendo la porta alla mie spalle. Lui stava nascondendo le nostre armi in qualche angolo della stanza. Nonostante si fosse accorto della mia presenza, non mi degnò di una parola, rimase in silenzio continuando a fare quello che stava facendo. Mi sedetti sul suo letto da una piazza e mezza e cominciai ad osservare la sua stanza, qualche poster di Beyonce o giocatori di Hockey sul muro, coppe vinte o medaglie, qualche foto che ritraeva lui da bambino. Una in particolare mi colpì, ritraeva un bambino, non un semplice bambino, era un bambino prodigio con un sogno, era Justin seduto su uno scalino, una chitarra tra le mani, un berretto e una maglia giallo ocra. Mi alzai dal letto avvicinandomi alla foto e la guardai meglio. Avrebbe dovuto inseguire quel sogno.

"Quando suonavo davanti l'Avon Theatre, i palazzi che erano di fronte aprivano le finestre per ascoltare la mia voce, quelle finestre erano chiuse tutte l'anno" raccontò.

"Le avrei aperte anche io, insomma, la tua voce è formidabile" affermai.

"Non ho una voce potente" dissentì.

"No,la tua non è una voce potente, la tua è una voce che emoziona, credo conti questo" insistetti.

"Forse hai ragione tu" girò le spalle e continuò il suo lavoro.

Mi sedetti sulla sedia girevole della sua scrivania, feci un paio di giri come al solito. Mi fermai verso Justin che era chinato sul pavimento nascondendo soldi, armi e roba varia sotto l'asse del pavimento in legno. Tossì cercando di attirare la sua attenzione, ma non servì a molto. Mi alzai infastidita dalla sedia e andai verso il letto, presi la mia borsa e cominciai a cercare una cosa che non toccavo da molto tempo. Trovato il pacchetto di sigarette ne sfilai una, la portai alle labbra. Cercai nel taschino della borsa l'accendino. Trovato, scansai Justin sul pavimento e mi avvicinai alla finestra di camera sua, l'aprì per far passare aria pulita. Accesi la sigaretta e lanciai l'accendino sul pavimento, a pochi centimetri da Justin. Feci un tiro e lasciai uscire il fumo della sigaretta, senza ingoiarlo. Subito, Justin alzò lo sguardo e mi guardò infastidito, si alzò da terra si avvicinò a me cercando di sfilarmi la sigaretta dalla dita, ma glie lo impedì. Cambiava umore da un momento all'altro, era troppo fastidioso. Si appoggiò alla finestra e mi lasciò fumare in santa pace, senza mai staccarmi gli occhi di dosso.

"Devi dirmi che tutto questo ne vale la pena, perché per me vale tutto" si passò una mano tra i capelli confuso.

Ci misi un po a capire cosa intendesse. "Credi che se non ne valesse la pena ora sarei qui? Credimi, avrei consegnato il tuo corpo a Lauren tempo fa" gettai la sigaretta dal balcone.

"Probabilmente se tu avessi scelto Duncan o un altro al posto mio, ora la tua vita sarebbe meno complicata" disse.

"Ma non sarebbe la mia vita senza te" gli accarezzai una guancia.

"È che a volte tu sei così distante, così lontana da me" si lamentò.

"Non è assolutamente vero, forse non sono più la ragazza che ero prima, ma sono più vicina a te ora che mai" affermai convinta delle mie parole.

"Avevo solo bisogno di sapere questo, ora la guerra può iniziare" sorrise.

"Non c'è bisogno che io ti ripeti quanto ti ami, tu lo sai già" dissi.

"Tu sei tutto ciò che conta per me" mi baciò la fronte.

Justin era perennemente insicuro, aveva sempre paura che da un giorno all'altro il mio amore sparisse all'improvviso, cosa assolutamente impossibile. Quando ci abbracciammo davanti al davanzale della finestra, voltai il volto verso il cielo, la luna era già alta nel cielo e brillava più che mai. Poco lontano dalla luna c'erano dei grandi nuvoli grigi, che ben presto l'avrebbe coperta, eliminando tutto il suo bagliore. Eh così pensai subito a me, a Justin, al nostro amore. Noi eravamo la luna abbagliante, i crateri erano tutti le nostre imperfezioni, le stelle vicine tutte le persone che erano pronte ad aiutarci in quel momento burrascoso, le nuvole grigie erano io male, erano Lauren e i suoi. Non che non avessi fiducia in Justin o nei ragazzi, ma avevo molta paura, le probabilità che noi perdessimo questa battaglia erano novantanove su cento. Forse ci avrebbero diviso per sempre, forse nessuno ci sarebbe mai riuscito.

IL GIORNO DOPO:

La notte precedente fu davvero emozionante. La cena di Pattie fu squisita, i nonni materni di Justin era di una dolcezza infinita, tutta la famiglia di Justin era fantastica, nessuno escluso. Anche il dopo cena fu altrettanto bello, io e Justin una volta in camera, ci dedicammo completamente a noi stessi. Ci sdraiammo sul letto e parlammo a lungo, lui mi massaggiava i capelli e mi raccontava dei primi giorni in cui mi aveva conosciuto, io ascoltavo e nel frattempo ricordavo momento per momento, pensando a quanto tempo fosse già passato, tanto tempo forse troppo. Poi pensavo ad una possibile soluzione al nostro grande problema, ma questa volta non c'era. Forse sbagliavo a dire che a tutti i problemi corrispondeva una soluzione, perché questo non ne aveva nessuna, o almeno non c'era nessuna soluzione che comprendeva me e Justin vivi insieme ai ragazzi. Forse mi ero sbagliata, forse non c'é sempre una soluzione, però se c'era una cosa che avevo imparato dalla vita era che se mancava la soluzione bastava trovare un rimedio, una specie di accordo insomma.

Quella mattina avevo lasciato Justin a dormire, mi ero svegliata di buon'ora così avevo pensato insieme a Jazmyn di uscire per fare una corsa mattutina. Dopo aver indossato l'abbigliamento adatto uscimmo di casa. Il sole era tramontato da poco e le strade erano completamente vuote. Percorremmo più o meno un chilometro, tutto percorso chiacchierando di moda ovviamente. Ci fermammo per prendere fiato e per bere un sorso d'acqua. Sentì il cellulare vibrare nella tasca posteriore della tuta. Lo tirai fuori e guardai lo schermo: un messaggio da uno sconosciuto. Sbloccai lo schermo inserendo il codice. Nel messaggio c'era una foto, Fanny e Lauren uno accanto all'altro, si vedeva chiaramente sul volto della piccola del rossore e delle lacrime. Nel testo c'era scritto: "non aprire bocca con Bieber, potresti non rivederla più. Vieni ai capannoni abbandonati alle 11:00, ovviamente da sola". Il telefono scivolo dalle mani al suolo, non dovevano toccarla neanche con un dito, lei non centrava nulla in tutta quella storia. Jazmyn raccolse il mio cellulare e guardò lo schermo, confusa il suo sguardo cercò il mio.

"Che significa?" Chiese spaventata.

"Nulla, non farne parola con nessuno, tanto meno con tuo fratello" chiarì duramente tirandole il cellulare dalle mani.

"Pensavo che voi non avesse a che fare più con roba del genere, insomma,dopo quello che vi è successo la lezione sarebbe dovuta bastarvi" insistette per sapere.

"Non é così semplice, non dovrei neanche discutere di questo con te" affermai.

"No, non dovresti, ma vedi ora io so che qualcosa non quadra e dato che non mostrerai questo messaggio a Justin, voglio delle spiegazioni" era insistente.

Annuì. Feci pochi passi poi cominciai a raccontargli tutto, dall'inizio alla fine. Per tutto il tragitto di ritorno a casa non tenemmo le bocche chiuse. Jazmyn non ci giudicava, non giudicava tutto quello che avevamo fatto, anzi era comprensiva ed era dalla nostra parte. Infondo, stavamo solo cercando un modo per stare insieme senza avere nessuno tra i piedi. Il problema era un'altro, Lauren aveva preso la bambina, io non potevo parlarne con nessuno tranne che con Jazz, ed inoltre mi aspettavano a certi capannoni abbandonati di cui io non ero a conoscenza, ma soprattutto questo voleva dire che erano poco lontani da noi. Jazmyn si era offerta di essere mia complice, voleva aiutarmi, ma ovviamente non volevo che ci andasse di mezzo anche lei. Non avrei parlato con Justin, dio solo poteva immaginare la sua reazione. Sapevo bene che non avrebbero toccato la bambina, era me che volevano.

Quando arrivammo a casa Justin ancora dormiva, nonostante fossero quasi le 10:00. Quando entrai in camera silenziosamente cambiai abiti, indossando un completo totalmente nero, in modo da poter nascondere un giubbotto anti proiettile e delle armi infilate nel retro del pantalone. Legai i capelli. Prima di uscire dalla stanza, lasciai un bigliettino d'avviso sul comodino per Justin, su cui avevo scritto: 'esco a fare shopping con Jazz'. Una volta di sotto, Jazz prese la sua auto, mi avrebbe accompagnato lei ai capannoni. Era molto coraggiosa a volermi aiutare, era tutta suo fratello. I capannoni non erano molto distanti da casa di Justin, infatti arrivammo in meno di quindici minuti, con un venti minuto di anticipo. Restammo in auto ad aspettare, nel frattempo spiegavo a Jazz che non sarebbe dovuta scendere dall'auto per nessun motivo. Dopo circa dieci minuti che aspettavamo, vedemmo da lontano un sub nero, scesi subito dall'auto. Jazz inserì le sicure di sicurezza, proprio come le avevo raccomandato. L'auto si fermò a pochi metri da me, io ero ferma senza mostrare le mie paure.

"Ma che bella mattinata" scese Lauren dall'auto, fu l'unico a scendere.

"Dov'è Fanny?" Chiesi subito.

"Calma, é proprio qui, in auto" fece segno con la mano.

"Lasciala andare, fottuto figlio di puttana, é una bambina innocente" urlai.

"L'unico sbaglio è essere imparentata con te" aggiunse lui.

"Cosa vuoi ?" Urlai furiosa.

"Voglio fare un accordo con te" sorrise.

"Parla" dissi.

"Tu e Bieber non dovete stare separati, siete pericolosi insieme, poi diciamocelo quando non stava con te ognuno in città faceva quello che cazzo gli pareva, lui era troppo occupato a bere con qualche prostituta di passaggio" spiegò.

"Cosa?" Chiesi.

"Hai capito bene dolcezza, non te l'ha raccontato? Ero lo zimbello di tutti e lui credeva di essere il re" rise.

"Mi dispiace distruggere i tuoi sogni, ma lui è il re" presi le parti di Justin.

"Justin è il re quando ci sei tu accanto a lui, infondo cos'é un re se non ha la sua regina" affermò.

"In conclusione, cosa vuoi da me?" riproposi la domanda.

"Voglio che tu diventi la mia regina, ma non fraintendermi, intendo in campo professionale" chiarì.

"E poi? Cosa succede?" chiesi.

"Voi due starete lontani,io sarò il re e tutti vivranno felici e contenti" concluse.

"Tutti tranne me e Justin" precisai.

"È il piccolo prezzo da pagare" puntualizzò.

"Ora torna da lui e non dirgli nulla di tutto quello che è successo, digli che non lo ami più, digli che ami un altro e distruggilo" ordinò.

"Non è tanto stupido, non ci crederà" scossi la testa.

"Ho pensato anche a questa evenienza" sorrise.

Si avvicinò allo sportello dell'auto con cui era venuto sul luogo, aprì lo sportello anteriore. Scese dalla vettura un ragazzo moro, alto, dal viso fin troppo familiare. I miei occhi si spalancarono così come la mia bocca, erano anni che non lo vedevo, non era cambiato per niente, era Max. La prima cosa a cui pensai era 'cosa ci fa qui?'. Justin lo aveva cacciato dalla città molti anni prima, all'inizio della nostra relazione.

"Ti avevo detto un paio di anni fa che ci saremo rivisti" sorrise vispo.

"Cosa ci fai qui?" chiesi.

"Anni fa non sapevo dove andare e quest'uomo mi ha ospitato, dato un lavoro onesto e ora gli devo un favore" spiegò.

"Torna a casa e prepara le tue cose, spiega a Justin che ami un altro e vieni da me" disse Lauren avvicinandosi all'auto pronto per salire.

"Dammi la piccola" dissi.

"La riaccompagnerò io, di me puoi fidarti, ora fa come ti dico" disse salendo in auto.

Max salì anche lui sulla vettura, partirono subito alzando una nube di fumo e terra. Rimasi ferma li, focalizzando tutto quello che mi era stato detto. Se non lo avessi fatto le persone che amavo ne avrebbero pagato le conseguenze e non era giusto per nessuno. Avrei fatto come Lauren mi aveva ordinato, era l'unica cosa da fare, benché non volessi. Tornai dietro verso l'auto di Jazz, lei sbloccò le sicure e mi lasciò salire, appena fui dentro l'auto la mia testa crollò contro il cruscotto, le mie lacrime cominciarono ad uscire una dopo l'altra. Jazz mi accarezza la testa accompagnando le mie lacrime con le sue. Era tutto troppo confuso, tutto troppo sbagliato.

"Non devi farlo per forza, Justin troverà una soluzione" disse Jazz.

"Justin non saprà nulla, devo farlo e tutto finirà bene" dissi.

"Bene? Non per voi due però" precisò.

"Forse è così che deve andare" conclusi.

Sarebbe davvero dovuta finire così? Abbiamo sempre paura che qualcosa di brutto accada, che ci travolga, ma quando arriva, quando ne veniamo investiti, siamo talmente coinvolti e impegnati, che non ci rendiamo neppure conto di essere in grado di affrontare quasi tutto, anche le nostre paure.Ho iniziato a pensare che la mia vita fosse finita, e l'ho iniziato a pensare veramente.La prima cosa che notai di lui fu il sorriso. Il suo sorriso imperfetto, storto che però faceva sorridere anche gli occhi. E mi ricordo che quando lo fece per la prima volta sorrisi anche io, abbassando la testa. Sorrisi e non capii che io ero già caduta per lui. Ne ero già rapita. Non so cosa ci trovassi in realtà, ma io pensavo fosse meraviglioso. Ora penso sia finita davvero, o forse no.



Xxale


AGLI SGOCCIOLI..

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