Toxic

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JUSTIN BIEBER VOICE:

Quella mattina mi svegliai prima. Appena aprì gli occhi guardai Tanya dormire accanto a me, proprio come ai vecchi tempi. E iniziai a sorridere come un cretino, ero completamente andato. Ero felice. Era vero, tra di noi non c'era nulla, non aveva neanche accennato una possibile rappacificazione , ma avevamo smesso di litigare, avevamo iniziato a parlare apertamente, e mi bastava. Ero sicuro che le cose si sarebbero aggiustate, dovevano aggiustarsi per forza, io e lei eravamo destinati a stare insieme. Volevo starle accanto e farle riacquistare fiducia in me. Ma prima di tutto, volevo che smettesse di drogarsi. La droga la stava uccidendo mentalmente e fisicamente. Una dose di troppo e avrebbe messo fine alla sua vita. Io non avrei potuto permetterlo. Si, non avrei permesso che morisse, avevo bisogno di lei per stare bene. Il mio non era egoismo, solo bisogno di vivere, con lei.

Quella mattina avevo chiamato un mio amico, era un psicologo, prima che andasse in pensione. Volevo farlo parlare con Tanya, così avrebbe potuto dirmi cosa fare e se era in grado di affrontare la riabilitazione. Avevo paura. La riabilitazione porta le persone ad impazzire o addirittura ad indurle al suicidio. Le strade erano due. Lasciare che la droga la consumasse lentamente o cercare di salvarla. Era una donna forte, ce l'avrebbe fatta, ne ero sicuro. Stavo preparando la colazione per tutti quella mattina, uno dopo l'altro scesero in salotto, svegliati dall'odore dei pancake e lo sciroppo d'acero.

"Buongiorno a tutti" si salutarono a vicenda.

"Già sveglio Justin?" chiese John.

"Hai dormito qui?" sapevo anche il perché.

"E chi è riuscito a dormire" disse divertito.

"Dov'è Tanya?" chiese Hope.

Non finì neanche di dirlo che si sentì una voce canterina scendere dalle scale. Era già vestita e pronta. Come sempre era fantastica.

"Money money money" credo cantasse la canzone di Jessy-J.

"Esistono anche altre parole in quella canzone" le sorrisi divertito.

Si mise a tavola. "Queste sono le più carine" ricambiò il sorriso.

"Sguardi e sorrisi languidi, mi sono perso qualcosa?" chiese Marcus.

"In realtà nulla" disse semplicemente Tanya.

"Ma dov'è Johnny?" chiese Hope.

"Suppongo con Mary a Downtown" rispose Tanya mangiando un pancake.

Mentre parlavano e facevano colazione bussarono alla porta, sapevo già chi fosse così corsi ad aprire. Tutti erano stupiti, era molto presto e non si aspettavano visite. Come mi aspettavo era il dottor Gilbert. Per tanti anni era stato un psicologo in un importante studio di Los Angeles. Lo feci accomodare in casa e lo scortai gentilmente fino in cucina. I ragazzi lo guardarono per un attimo, poi lo ignorarono e ritornarono alla loro colazione.

"Lui è il Dr. Gilbert"feci presente.

"È un psicologo, è qui per Tanya" informai.

Tanya quasi non si strozzava con la colazione, mi guardò come se avessi quattro teste, posò la forchetta e il pancake che stava mangiando e si alzò dalla sedia abbastanza incazzata. Se ne andò in un altra stanza della casa. Iniziò a sbraitare, ma non capì molto di quello che disse o meglio sbraitò. Io, il dottore e gli altri la raggiungemmo in salotto. Era seduta sul divano a guardare Spongebob, aveva il viso imbronciato, sembrava un bambina. Mi avvicinai alla tv e la spensi, avevo bisogno della sua attenzione. Non sapevo perché fosse tanto incazzata, eravamo d'accordo, sarebbe andata in una clinica per disintossicarsi.

"Non mi serve uno strizza cervelli" annunciò.

"Sono tossico dipendente, non pazza" affermò alzando la voce.

"È qui per parlare con te" informai.

"Ti farà alcune domande, poi ti porteremo in clinica, ti ho già preparato le valigie" mi sedetti accanto a lei spiegandole la situazione.

"Clinica? Quale clinica?" Chiese Deasy preoccupata.

"Non vedi l'ora di mandarmi via da questa casa, non è così?" chiese divertita. Allungo le mani in tasca, tirò fuori il pacchetto di sigarette e cominciò a fumarne una.

"Io voglio solo che tu stia bene" dissi esasperato.

"Tu vuoi farmi tornare la Tanya di una volta, ma lei non tornerà mai" tenne a chiarire.

"Sto solo cercando di aiutarti" mi passai la mano tra i capelli.

"Io non ho bisogno del tuo aiuto, so cavarmela da sola" disse chiara.

"Perché ti comporti così?" Urlai.

"Justin parlerò io con lei" intervenne il dottore.

Si sedette su una poltrona del salotto, tirò fuori un taccuino e una penna. Tanya si sdraiò sul divano, continuando a fumare tranquillamente la sua sigaretta. Iniziò a farle domande basilari, come il nome, la data di nascita e da dove provenisse. Gli chiese delle sua famiglia, della sua infanzia e adolescenza, degli ultimi anni. La sua vita era sempre stata incasinata, questo lo sapevo bene.

"Tu come ti senti?" Le chiese.

"Io non sento nulla, non riesco a sentire nulla" rispose.

"Usi spesso sostanze stupefacenti?" chiese.

"Molto spesso" rispose.

"Quando?" chiese.

"Quando mi sento sola o quando sono costretta da un attacco" rispose.

"Perché ti senti sola?Hai tanti amici." chiese.

"Io non lo so" alzò la testa dal divano.

Lo sapeva benissimo ma aveva evitato di dire la verità. I suoi amici negli ultimi anni non c'erano stati, ecco perché si sentiva sola. Ma soprattutto si sentiva sola, perché aveva perso una parte di se.

"Il miglior posto per una nelle tue condizioni si trova a mezz'ora da qui" disse il dottore chiudendo il suo taccuino.

"Sta parlando di Clairmore?" chiese.

Era una clinica per psicopatici e tossici.

"Credimi Clairmore è un centro di prim'ordine, vanno tante persone come te" informò il dolore.

"Eccezionale" rispose ironica.

Spense la sigaretta nel posa cenere, si avviò all'attacca panni, prese la sua giacca e se la infilò. Aprì la porta e uscì fuori.Tutti ci precipitammo alla finestra del salone per osservare il suo comportamento. Si era sdraiata a terra, sul prato e stava guardando il cielo. Era così strana. Presi le sue valigie, poi indossai la mia giacca di pelle e insieme agli altri uscì fuori. Appena ci vide si alzò da terra. Hope e Deasy corsero ad abbracciarla. Subito dopo a loro, si aggiunsero anche Marcus e John. Misi le valigie in auto, aspettai che tutti facessero i loro saluti.

"Le manette non me le metti?" portò le mani in avanti.

Forse si riferiva al fatto che per un paio di settimane sarebbe stata chiusa in un centro di riabilitazione, proprio come in carcere. Pensai che stesse osservando il cielo perché non l'avrebbe visto per un po. Io non volevo che soffrisse di nuovo, volevo solo che stesse bene. Sarebbe stata un'esperienza durissima, ma dopo sarebbe stata bene. Sarei stato male quanto lei a vederla soffrire. Era un dolore per tutti in casa. Salì il auto silenziosa, raggiunsi il lato del guidatore e salì sulla vettura. Accesi i motori e partì. Durante il tragitto cercai di aprire un dialogo con lei, ma non mi rispondeva. Era arrabbiata per qualcosa che avevo fatto o detto, ma sinceramente non sapevo cosa avessi fatto, a parte aiutarla. Eravamo d'accordo che andasse in clinica, ma allora perché tutte quelle moine? Non ne avevo la minima idea. Il centro 'Clairmore' era davvero poco distante da casa nostra. Era uno dei migliori in circolazione, l'avrebbero curata in un batter d'occhio. Sapevano il fatto loro in quel posto. Era molto grande e confortevole. Una volta arrivati parcheggiai l'auto all'entrata. Tanya scese sbattendo forte la portiera. Senza dire nulla, scesi dall'auto e tirai fuori le sue valigie. Le trasportai fino all'interno della struttura, Tanya era già dentro, chissà dove. Mi fermai nella ah olle , c'era una scrivania con una donna in camice bianco. Stava scrivendo su alcuni fascicoli, non si era neanche accorta della mia presenza. Iniziai a tossire per attirare la sua attenzione, ma mi ignorò altamente. Iniziai a camminare avanti e dietro davanti a lei, solo per essere notato.

"Compili questo modulo" attirò la mia attenzione.

Mi avvicinai a lei e ritirai il modulo. Compilai tutti i campi, nome, data di nascita, problema da curare, codice fiscale e altre informazioni. Mi fermai sull'ultimo, c'era bisogno della sua firma. Era maggiorenne quindi doveva mettere una firma che consentiva la cura in clinica. Conoscendo Tanya, per farmi arrabbiare si sarebbe rifiutata di firmare. Mi allontanai dalla donna e di nascosto firmai al posto suo. Dopo di che glie lo poggiai sulla scrivania. L'infermiera lo lesse velocemente, poi lo aggiunse ai tanti moduli. Si alzò dalla sua sedia e mi fece segno di seguirla. Camminammo fino ad una stanza centrale dove c'erano altri pazienti. Li trovammo Tanya seduta a fumare su una poltrona. Era seduta comodamente come se fosse a casa, i piedi appoggiati sui cuscini, a guardare la tv. Non era tanto male il posto, supponevo si stesse bene.

"Cosa fai?" chiesi interrompendo il silenzio in sala.

"Mi sto integrando" disse facendo un tiro dalla sigaretta.

"Non dovresti fumare qui" rimproverai.

"Faccio quello che voglio" rilasciò una nube di fumo dalla bocca.

"Signorina Smith, se mi segue le mostrerò la stanza in cui risiederà" disse l'infermiera.

La signorina Smith annui. Spense la sigaretta in uno dei posacenere e sciattamente la seguì. Salimmo delle scale, feci fatica a trasportare le sue due valigie, ma ero solo. Nessuno mi aiutava. Arrivammo al secondo piano della clinica, piano dedicato interamente ai tossici. Il primo piano, quello in cui eravamo stati era una specie di sala visite. Al piano di sopra si sentivano urla, una strana puzza, era molto diverso. Camminammo lungo un corridoio, le stanze erano tutte chiuse, arrivammo fino alla fine. L'unica stanza vuota, quella che sarebbe stata riempita da Tanya. Poggiai le valigie accanto al suo letto, rilasciando un respiro di sollievo. Ci fece vedere la stanza bianca, un letto e un mobiletto. Era deprimente. Ci fece segno di seguirla, parlava poco, irritante. Arrivammo in un'altra stanza, una specie di studio medico. Fece segno a Tanya di sedersi su un lettino. Si avvicinò a lei e le puntò una luce negli occhi. Poi con un bastoncino di legno le guardò le tonsille.

"Ha fumato marijuana, signorina?" chiese.

"Stamattina" rispose.

"Stamattina? Ci hai fatto colazione?" chiesi confuso e irritato.

"Tutte le mattine prima di scendere in cucina, fumo marijuana Justin" mi informò. Questo non lo sapevo.

"Sa che la marijuana precipita le crisi d'astinenza dell'eroina e aumenta il rischio di overdose ?" L'infermiera le informò.

"Questa mi mancava, devo segnarmela" disse divertita.

"Smettila" rimproverai esasperato. Non c'era niente di divertente.

"A giudicare dai sui occhi, avrà una crisi tra 48 ore" riguardò le pupille.

"È impossibile, riesco a durare una settimana" disse.

"Perché fa uso di cocaina in polvere e trattiene la crisi" informò l'infermiera.

"Allora userò più cocaina in polvere" disse ridendo.

"La prego di prendere la cosa sul serio, saranno molto duri i prossimi giorni" dichiarò la donna.

"Okay, okay" sbatté i piedi a terra scendendo dal lettino.

La dottoressa annui. Uscimmo dalla stanza e ritornammo in quella che sarebbe stata la camera di Tanya. Entrati si gettò subito sul suo letto, la dottoressa mi fece segno di seguirla.

"Dovrei prima parlare con lei" dissi cortesemente.

"Mi dispiace, ma le visite non sono aperte" chiuse la porta delle sua stanza.

"Quando potrò venire a trovarla?" Chiesi camminando a passo veloce per tenere il passo della donna.

"Tra 48 ore si trasformerà in una furia, vuole davvero vederla?" chiese fermandosi di scatto.

"Ovvio" affermai convinto.

"Le visite sono aperte tutti i giorni, dalle 16:00 p.m alle 20:00 p.m" mi informò.

GIORNO QUATTRO IN CLINICA:

Io e i ragazzi eravamo andati a trovarla tutti i giorni, stava abbastanza bene. Si lamentava del cibo pessimo e delle medicine che i dottori gli obbligavano a prendere. Anche dopo le 48 ore non si era trasformata nella belva feroce che ci avevano detto i dottori. Era tranquilla. Forse perché era stata sedata, proprio come una tigre in uno zoo. Tanya parlava pochissimo quando eravamo li. Odiava le sbarre alla finestre e le lenzuola che puzzavano di naftalina. Duncan appena seppe di Tanya alla clinica andò su tutte le furie, mi aveva urlato contro di tutto e di più. Non voleva che fosse portata li, forse perché sarebbe mancata al suo amico nei suoi pantaloni. Non mi importava. Avevo fatto la cosa giusta, sarebbe stata bene e non sarebbe stata schiava della droga. Deasy, Hope e Mary si occupavano della sua collezione e della sua azienda. Nel frattempo i giornali non facevano che parlare di lei. Alcuni parlavano male, altri bene. Come sempre.

Erano passati quattro giorni, era arrivato l'orario dedicato alle visite e come ormai facevamo tutti i giorni, io e i ragazzi andammo a trovarla. L'unica a non venire fu Hope, doveva badare a Fanny. Stavamo aspettando in sala d'attesa, quando un'infermiera ci diede il via, salimmo al piano di sopra, camminammo fino alla camera di Tanya, arrivati li la stanza era vuota. Rimanemmo un po confusi e spaventati. Vedemmo una dottoressa aspettarci fuori un'altra stanza e andammo da lei. Entrammo in una stanza buia, c'erano dei vetri che davano su una stanza di isolamento, sembrava vuota, era ricoperta di lattice sui muri. In quella stanza c'era Tanya, ma non sembrava lei. Aveva gli occhi rossi, urlava come una posseduta e correva per tutta la piccola stanza lanciandosi contro le pareti morbide, come se volesse farsi de male.

"Cosa gli sta succedendo?" chiese impietrita Deasy.

"I sedativi e gli anti dolorifici non fanno più effetto" disse la dottoressa.

"Il suo corpo e la sua mente non si calmeranno finché non avranno eroina" ci informò.

Guardai Tanya o almeno quella che sembrava essere lei. Piangeva, urlava, mi si spezzò il cuore. Si era gettata a terra e aveva iniziato a bucare con le unghie la parete soffice. Ne erano usciti piccoli batuffoli bianchi, li stava raccogliendo tutti in un lato. Appena ne ebbe in gran quantità se li ficcò in bocca. I settembrini, cioè uomini che tenevano sotto controllo le pazienti, corsero all'interno della stanza e le tirarono quei batuffoli bianchi dalla bocca. Stava cercando di uccidersi. I settembrini gli infilarono una di quelle camicie di forza contro la sua volontà e gli fecero ingoiare delle pasticche. Subito dopo si rannicchiò in un angolo, piangeva e parlava da sola. Stava soffrendo ed io soffrivo con lei. Se solo avessi potuto, avrei preso il suo dolore, avrei sofferto al posto suo. Ma era impossibile.



GIORNO QUINDICI IN CLINICA:

Ci erano state vietate le visite a causa delle condizioni di Tanya. La crisi era permanente, sempre più dolorosa, sempre più difficile. La dottoressa ci aveva raccontato che per calmarla gli avevano dovuto infliggere una scossa elettrica. Aveva smesso di mangiare e vomitava i farmaci. La trattavano come se fosse un animale, se lei non voleva mangiare loro non la forzavano, se non voleva bere loro non insistevano. Le procuravano un dolore con camicie di forza, scosse elettriche e medicinali che la uccidevano mentalmente. Duncan aveva provato più volte a farla uscire dal centro, tanto che dovetti far vietare la sua entrata in clinica. Lui supponeva che la stessero uccidendo e che la colpa sarebbe stata mia. Io ascoltavo quello che mi raccontavano i dottori. Loro avevano studiato, avevano esperienza e una laurea, chi ero io per dire che quello che stavano facendo era sbagliato? Era il loro lavoro e sapevano quello che facevano, mi fidavo di loro.

Quel giorno i dottori ci avevano chiamati, le condizioni di Tanya era passate dal dolore alle allucinazioni. Era passata in una specie di secondo stadio di guarigione. Ringraziavo Dio per questo, non tutti ci arrivano. Di solito si suicidano o muoiono per i troppi farmaci. Lei ce l'aveva fatta. Nonostante questo però, era tenuta in isolamento, sempre in quella stanza. Io e i ragazzi, compresa Hope, eravamo andati a fargli visita. Entrammo in quello stanza buia e ci sedemmo ad osservarla sulle solite sedie. Era calma. Parlava con qualcuno, ma in realtà l'unica nella stanza era lei. Rideva e scherzava, lanciava palle inesistenti. Tutto frutto delle sua mente. Sembrava pazza. Aveva le mani e le braccia unite come se avesse un bambino da cullare. Gli stava cantando una canzone della buona notte.

"Crede di aver partorito un bambino stanotte" la dottoressa ci spiegò.

"Quanto ci vorrà prima che diventi" mi fermai. "Normale" conclusi.

"Sta reagendo molto bene ai trattamenti e le allucinazioni dovrebbero sparire tra un paio di giorni" guardò la cartella clinica.

"Un po di riposo e sarà pronta per tornare a casa" chiuse le cartella clinica.

"Ma è una notizia bellissima" Hope lasciò cadere qualche lacrima di gioia.

"Il peggio ancora deve venire" aggiunse la dottoressa.

"Peggio?" Chiesi confuso. Tutto quello che stava patendo non era già abbastanza?

"Quando sarà fuori di qui, deve essere forte, ambienti e circostanze potranno condurla facilmente a drogarsi di nuovo" continuò la dottoressa.

"La voglia di sniffare o bucarsi sarà sempre presente nella sua mente, non sparirà" concluse.

"Lei è forte, non ci ricadrà" affermai fiducioso.

"Lo spero per lei" annui la dottoressa.

"Potrebbero ripresentarsi le allucinazioni, se questo accadrà non dovrete interagire con lei, potreste causargli qualche disturbo al cervello tra realtà e finzione" ci informò.

"È per questo che la tenete rinchiusa in quella stanza come un animale in gabbia?" chiese nervosa Deasy.

"Lo facciamo per la sua incolumità signorina" rispose di scatto.

"Ci teniamo ai nostri pazienti" concluse la donna.



GIORNO VENTICINQUE IN CLINICA:

In quei giorni eravamo andati a trovare Tanya, finalmente sembrava una persona normale, nonostante le rare allucinazioni che gli venivano. L'avevano riportata in camera sua, poteva girovagare per l'ospedale, era più libera e lucida. Aveva ricominciato a mangiare e a prendere i farmaci che i dottori gli somministravano. Diceva di non ricordare nulla dei giorni passati in isolamento. I dottori ci avevano detto che era normale, in crisi spesso si perde la lucidità o per meglio dire la ragione. Si trasformano in altre persone, veri e proprio indemoniati. Ero felice, ce l'aveva fatta, lo sapevo fin dal primo giorno. Gli altri pazienti di solido impiegano più tempo, ma secondo i dottori dipende dalla voglia che hanno di uscire da quella situazione che li faceva soffrire. Lei non doveva avere veramente tanta. Eravamo andati a trovarla un po più tardi quel giorno, verso le 19:00 p.m a causa di motivi di lavoro. La direttrice ci aveva detto che potevamo e dovevamo riportarla a casa, era arrivato il momento. I dottori mi avevano consegnato le sue cartelle cliniche, così che potessi consegnargliele. Io e la numerosa crew, compresa Fanny, eravamo andati nella sua stanza. Tanya era stesa sul suo letto a non fare niente, in realtà non c'era molto da fare in quella clinica. I ragazzi esultarono un caloroso saluto, come sempre non evitarono uno dei loro abbracci e le loro tante smancerie. Poggiai le cartelle cliniche sul mobiletto accanto ad alcune riviste d i moda, chissà cosa ci facevano li, probabilmente le aveva chieste alle infermiere. Aveva indossato i suoi abiti e preparato le sue valigie.

"Fanny quelle non sono caramelle ma medicine" Hope rincorse Fanny per la stanza.

"Allora come ti senti?" chiese Deasy rivolgendosi a Tanya.

"Strana, pulita in un certo senso" disse divertita.

Allungò il braccio verso il piccolo comodino e prese la cartella clinica, insieme alla riviste. Poggiò i giornali sui cuscini, poi aprì la cartella clinica. Cominciò a leggere quello che c'era scritto. Cominciò a ridere.

"La paziente nei giorni di riposo ha mostrato segni di schizofrenia e bipolarismo e più personalità in lotta tra loro. Si sostiene, ne fosse affetta già prima della cura disintossicante" lesse divertita ad alta voce.

"Il neurologo Melvin appartenente alla clinica Clairmore, sostiene che la paziente affetta da queste patologie, debba essere ricoverata per un periodo indefinito su piano psicologico" concluse.

"Adesso sono anche disagiata mentale" rise nervosa lanciando la cartella clinica contro un muro.

"Sono loro i disagiati" sentimmo una voce alle nostre spalle. Duncan.

"Cosa ci fai qui?" chiesi alterato.

"Mi ha chiamato Tanya" dichiarò.

Guardai lei e annuendo confermò le sue parole. Perché l'aveva chiamato, non aveva bisogno di lui, c'eravamo già noi. Ma soprattutto, c'ero già io. Duncan entrò nella stanza e si sedette accanto a lei sul letto.

"Su ogni rivista di moda mi hanno dedicato un articolo" prese le riviste che poco prima aveva poggiato sui cuscini.

"Qui mi danno della schizzata, egocentrica" alzò una rivista, poi la lanciò contro il muro.

"Qui mi danno della malata mentale, tossica" lanciò un altra rivista contro il muro.

"Qui addirittura affermano che tutte le donne sono nelle mie condizioni e che dovrebbero rinchiuderci tutte" la terza rivista prese il volo.

"Qui dicono che solo una come me poteva avere un'idea tanto stupida delle donne al potere" la quarta rivista si unì alle altre.

Prese l'ultima rivista, la osservò. "Qui dicono che sono un esempio da seguire, una forza della natura e che rappresento in pieno le donne" posò la rivista sul cuscino.

"L'unico articolo buono, l'unico articolo scritto da una donna" concluse. Gli altri erano stati scritto tutti da uomini da quanto avevo capito.

"Tu davvero ascolti le critiche delle persone, sono ignoranti e invidiose" affermò Hope.

"Hanno ragione, sei una forza della natura" aggiunse Marcus.

Tutti gli dedicarono una parola di conforto, la consolarono e gli dicevano quello che voleva sentisi dire. Era una donna fantastica, forte, ingegnosa, incredibile. Ma la diagnosi dei dottori era chiara, soffriva di schizofrenia, ed era vero. Lo aveva dimostrato lanciando con rabbia quelle riviste contro il muro o in altre occasioni. Era bipolare, prima era dolce e subito dopo arrabbiata. Aveva due personalità in lotta tra loro, quella cattiva e quella buona, Soul Rebel e Tanya. Era tutto vero, non potevano negarlo. Quello che mi importava però era che le sue vene fossero pulite, che avesse smesso di drogarsi e che stesse bene. Di certo il fatto che soffrisse di disturbi psicologici, non avrebbe cambiato i miei sentimenti per lei.

"Protesti restare qualche altra settimana per i disturbi che hanno elencato i dottori" proposi.

"Io non ci resto un giorno in più in questo inferno" si alzò dal letto.

"È per il tuo bene se lo consigliano i dottori" aggiunsi.

"Al mio bene ci provvedo da sola" prese per mano Duncan.

"Anzi provvedo subito" aggiunse.

Indossò la sua giacca. Tirò Duncan via dalla stanza, correndo a passo veloce fuori dalla clinica. La parola 'bene' associata a Duncan mi metteva i brividi. Io e i ragazzi prendemmo le sue valigie, tutto quello che le apparteneva e uscimmo dall'edificio. Senza dare molte spiegazioni ai dottori, uscimmo dalla clinica. Tanya era seduta sul sellino posteriore della moto di Duncan, stava infilando il casco. Lasciai le valigie a terra e corsi verso la moto del biondo.

"Dove stai andando?" chiesi affannando a Tanya.

"E' un po che non faccio sesso, dove credi che stia andando?" allacciò il casco.

"E di noi?" Mi uscì spontaneo chiedere.

"Io-io-io" balbettò. "Non sono più tanto sicura di voler creare di nuovo un noi" scosse la testa.

"Dimmi il perché almeno" misi le mani in tasca imbarazzato, allontanai lo sguardo deluso.

"A te piace la ragazza che hai conosciuto cinque anni fa, quella di ora non ti piace affatto" spiegò.

"Non è assolutamente vero" protestai.

"Mi dispiace" disse abbassando lo specchietto del casco.

Duncan sorrise, forse soddisfatto che ora sarebbe stata solo sua o forse perché avrebbe avuto più possibilità con lei in campo sentimentale senza me tra i piedi. Dopo essere rimasto in silenzio, si sentì solo il rumore della moto di Duncan partire, lasciando dietro di se una nube di fumo. Diedi un calcio a vuoto per sfogarmi, per trattenere le urla che volevano uscire esasperatamente. Tutti mi guardavano, odiavo i loro sguardi impietositi, non ne avevo bisogno.

"Che cazzo avete da guardare, eh?" urlai contro i ragazzi e le persone che erano li presenti.

Poggiai le mani sulla testa, incrociandole tra loro. Strofinai nervosamente la nuca. Lasciai cadere burrascosamente le mani sui fianchi. Camminai fino l'auto, infilai le chiavi, premetti i vari tasti per l'accensione della Ferrari, feci retromarcia e andai via da quella fottuta clinica. Tirai un pacchetto di sigarette dalla giacca, ne accessi una e la portai alla bocca,lanciando il pacchetto vuoto dal finestrino. Tanya non aveva capito un bel niente di me, di noi e di quello che provavo. Con lei fare un passo avanti significava farne mille indietro. Era molto più che bipolare o schizofrenica, era una totale stronza. Il suo problema era che preferiva scappare via da quello che voleva veramente, invece di restare e lottare per quello che voleva realmente. Il problema non era il mio, non ero io ad essere confuso o quello che non l'amava, io sapevo che quello che volevo era lei. Ma Tanya, lei era strana. Prima diceva che gli piacevo e settimane dopo diceva di non essere sicura di voler stare con me. La colpa era anche mia. Mi ero preso troppe colpe che non avevo, solo per rimorso. Ero stato troppo stupido, perdendo la mia dignità. Lei aveva ucciso Steve, nessuno l'aveva obbligata. Ed era ovvio che qualcuno della sua famiglia, ovvero Chad, avrebbe vendicato il fratello. Doveva aspettarselo, io dovevo aspettarmelo. Ogni azione ha una conseguenza. Ed era anche ovvio, che chiunque a vedere due persone mezze nude in un letto, stordite da chissà che cosa, avrebbe pensato ad un rapporto sessuale.

Avvolte la fiducia non basta, credi a quello che vedi e quello che è palese davanti ai tuoi occhi. Proprio come avevamo fatto io e Deasy. Avvolte neanche il vero amore basta, la vita e le persone troveranno sempre un modo per intromettersi e distruggere tutto. Da quando era uscita di prigione, avevo cercato in tutti i modi, buoni o cattivi, per farmi perdonare. Fino a quando ho cominciato ad ignorarla e allora è venuta lei da me. Io ero stanco di correrle dietro come un cagnolino in cerca di carezze, se mi voleva doveva essere lei a venire da me. Anche gli uomini hanno una certa dignità e un certo sentimento chiamato orgoglio, solo che siamo costretti a metterli da parte per le donne testarde. Tanya era la più testarda di tutte, ma se ancora provava qualcosa di reale per me, doveva essere lei a mettere orgoglio e dignità da parte, solo per avermi. Non erano assolutamente vere le sue parole. La nuova Tanya a me piaceva da impazzire, era come se la sua bellezza, il suo carattere, il suo fascino, il suo essere sexy, si fossero moltiplicati. Era inutile dire che mi piaceva ancora di più. Mi sarebbe piaciuta sempre per il semplice fatto che era lei. Ma era arrivato il momento di far uscire il Justin che tutti odiavano e temevano. Quello buono e dolce ormai piaceva solo alla piccola,tenera e ingenua fanny

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