All come back better than before

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Fin da piccoli ci incitano a credere che la felicità sia avere un lavoro stabile, una famiglia, dei figli. Ma non è così. Milioni di persone divorziano, milioni di persone perdono il loro lavoro che tra l'altro odiano, i figli una volta grandi vanno via. Per me questa non è felicità, ma monotonia. Fare un lavoro che odiamo, sposare una persona che non amiamo o che con il tempo si trasforma in una persona completamente diversa da quella che conoscevamo, non è il sogno di nessuno, tanto meno la loro felicità. Tutti vogliono essere qualcuno, essere importanti e lasciare un'impronta di se stessi sul mondo. Da bambini tutti avevamo il sogno di diventare cantanti, attrici, calciatori o corridori di formula uno, ma quante volte le persone intorno a noi ci hanno detto 'sei pazzo' o ' non ci riuscirai mai'. Dovremmo combattere per quello che ci piace fare, per le nostre passioni. Le persone a cui è stato distrutto un sogno, si ritrovano a distruggere quello degli altri, solo perché loro non ci sono riusciti. Dovrebbero insegnarci fin da piccoli di non mollare, non bisogna mai dire mai, bisogna crederci e lottare, finché non ci riusciamo. Se vogliamo una cosa dobbiamo prendercela, punto.

Ed è quello che stavo facendo. Ero ormai una donna matura, dovevo mettere da parte le frivolezze e fare quello che volevo per davvero. Fin da piccola, ero cresciuta con la mania della moda, per me la moda era un modo di esprimersi, il modo di vestirsi fa vedere che tipo di persona sei. Fin da piccola, volevo essere quella al comando, quella con il potere e con la forza di un leone. Fin da piccola, volevo che si parlasse di me, non m'importava se bene o male, mi importava solo essere sulla bocca di tutti. Amavo essere al centro di attenzione. Volevo solo che la gente mi rispettasse e che non mi sottovalutasse. Sarà anche una cosa sbagliata, ma io volevo essere questo: una donna potente. Volevo che gli uomini tremassero al suono del mio nome e che le donne mi invidiassero. Ero montata? Pazza? Soffrivo di onnipotenza? Non mi importava, era quello che volevo. È quello che vogliono tutti. C'é chi lo ammette e chi magari lo nasconde, ma tutti vogliamo essere qualcuno.

Io proprio non volevo finire sposata con un uomo che dopo i primi anni di matrimonio si sarebbe lasciato andare diventando un grassone, io non mi ci vedevo a lavorare in un supermercato, non mi ci vedevo a guidare un auto degli anni novanta, non mi ci vedevo a pulire la casa come un ossessionata, a cucinare e a prendermi cura di tanti bambini che una volta grandi mi avrebbero lasciata in una casa di riposo. Non mi ci vedevo a vivere in un appartamento. Non mi ci vedevo a fare i salti mortali per arrivare a fine mese. Non mi ci vedevo semplicemente perché non era quello che volevo, o per lo meno lo volevo ma sotto un altra forma. Io non volevo morire nella monotonia. Se la vita è una sola, perché dobbiamo sprecarla passandola da persone non soddisfatte di se stessi ?

Ed è quello che stavo facendo: mi prendevo il mio potere. Dicono che i soldi non danno la felicità, ma si sbagliano di grosso perché é con quelli che realizzi il tuo sogno, i tuoi desideri. Con i soldi ricavati dalla vendita dei quadri e dalla cocaina, uniti ad altri piccoli lavoretti che avevamo fatto, ero diventata la donna più potente della California. Avevo acquistato una casa di moda, avevo passato ai miei dipendenti alcuni bozzetti disegnati da Hope. In poco tempo i capi di 'Soul Rebel' il nome che avevo assegnato alla mia casa di moda, era spopolati in tutto io mondo. Erano gli abiti più richiesti dalle donne. Nei miei messaggi promozionali avevo parlato della potenza e dell'importanza delle donne, questo le aveva incitate a comprare i miei abiti. Ero orgogliosa di me stessa come non mai. Il mio nome era su tutti i giornali di gossip, le persone iniziavano a riconoscermi per strada, alcuni chiedevano una foto mentre altri un autografo. Mi era capitato di essere seguita da paparazzi o di essere invitata in qualche trasmissione televisiva. Un grazie però andava a Chad. Sembrava strano, ma era così. Rovinandomi la vita, mi aveva fatto capire cosa volevo veramente per me. Ero risorta dalla mie ceneri e avevo ricominciato da li. Certo, non potevo affermare di essere felice, ma ero appagata e soddisfatta. Non riuscivo a capire qual era la mia felicità, ma lo avrei scoperto.

Mi trovavo in un noioso pomeriggio di ottobre. Stavo revisionando alcuni bozzetti della collezione invernale disegnata da Hope con l'aiuto di Deasy. Loro erano bravissime, erano le socie della mia compagnia insieme a Mary. Del lavoro sporco si occupavano i ragazzi, io non volevo più saperne, avevo lasciato tutto nelle loro mani. Ovviamente però dovevo essere al corrente dei loro piani e approvarli. Io gestivo il tutto e loro lavoravano, era semplice. Il rapporto con Justin era cambiato di molto. Parlavamo poco, lui era sempre a lavoro e da quanto avevo capito stava avendo dei problemi con la polizia, alcuni dei suoi avevano fatto la spia. Inoltre, il governo non riusciva a spiegarsi il motivo di tutti i suoi soldi in banca. Aveva anche smesso di provarci con me. Un po c'ero rimasta male, le sue attenzioni mi piacevano. Passavo poco tempo a casa, passavo giornate intere nel mio ufficio in centro, con milioni di carte da riempire. Forse il nostro rapporto era cambiato perché a causa mia aveva perso la sua credibilità. Ma non mi importava. Aveva sempre insinuato che le donne non aveva potere, io gli avevo dimostrato il contrario.

"Questo vestito somiglia alla collezione invernale del 2009 fatta da Imperfect" respinsi uno dei loro bozzetti.

"Potremmo aggiungerci della pelle di leopardo" propose Hope.

"Sintetica?" chiesi. Ci tenevo agli animali.

"Certo, potremmo farci dare un campione e poi decidere" disse molto convinta.

"Parla con la sartoria e fammi avere un campione della pelle" ordinai.

"E se usassimo pelle di serpente?" propose Mary.

"Dio no" dissi disgustata. Non volevo nessuna pelle di animale che non fosse sintetica.

Io e le ragazze stavamo discutendo di lavoro in salotto. Volevo che la mia collezione invernale avesse ancora più successo di quella autunnale. Mentre parlavamo dei tessuti da usare, la porta si aprì di botto, chiudendosi con molta forza. Vidi Justin, Marcus e Johnny sbraitare come dei matti. Mi girai dalla mia postazione per cercare di capire quale fosse il loro problema. Non riuscivo a lavorare con quel casino nelle orecchie, la mia testa stava praticamente scoppiando. Mi alzai dalla sedia per andare da loro. Lasciai le ragazze in salotto e andai in cucina. Arrivai in cucina, loro stavano discutendo. Con molta normalità mi sedetti su uno degli sgabelli in cucina, appoggiai le braccia sul bancone, portai la mano vicino a viso e ci appoggiai il mento. Rimasi ferma in quella posizione finché non si accorsero della mia presenza e del mio sguardo fisso su di loro.

"Che c'é ?" Chiese Justin quasi scocciato dalla mia presenza.

"Non mi sembra di aver detto qualcosa" lo fissai facendo la finta tonta.

"La nostra è una conversazione privata" disse infastidito.

"La cucina è un luogo pubblico della casa" appoggiai il mento su entrambe le mani senza smettere di fissarlo.

"Sono già incazzato per i miei problemi, non metterti anche tu" avvisò. "Mi girano i coglioni" aggiunse.

"Dio, questo ha bisogno di un po di sesso" pensai ad alta voce.

"Se vuoi saperlo, io faccio sesso" disse passandosi una mano sulla fronte.

"Con una frequenza annuale, suppongo" dissi.

"Ma cosa ne vuoi sapere della mia vita privata?" chiese.

"Hai una vita privata?" chiesi stupita.

"Smettila, sei insopportabile" mi lanciò un panno da cucina.

"Chiedevo" feci la finta tonta.

"Dovremmo chiederglielo" intervenne Marcus guardando Justin e poi me.

"Scordatelo" si rifiutò.

"È l'unica che può aiutarci" aggiunse Johnny.

"Parlate di me?" Alzai il dito sopra la testa.

"No" si precipitò Justin.

"Si" dissero in coro gli altri due.

"Non so di cosa si tratti, ma se vi farà smettere di urlare" tirai un sospiro. "Vi aiuterò" lasciai uscire il sospiro.

Justin incrociò le braccia, sembrava un bambino imbronciato. Era tenero. Aspettai che mi parlassero del loro problema, ma non si decidevano ad aprire bocca. Li guardai, poi iniziai a ticchettare io dito sul mio nuovissimo Rolex. Sapevo bene che erano in qualche guaio e nonostante fossero miei 'nemici' avrei voluto dare loro una mano.

"Qualcuno ha fatto la spia alla polizia sul nostro lavoro e quello che facciamo" iniziò a raccontare Johnny.

"Hanno controllato i nostri conti in banca e hanno notato che risultiamo disoccupati e quindi non spiegano tutti quei soldi sul nostro conto" continuò.

"Stanno indagando e se non riusciamo a spiegare il motivo di quei soldi, dovranno sostenere l'ipotesi di un lavoro sporco e sarebbe la verità" era nel panico.

"Venti anni di carcere non ce li toglie nessuno, se non troviamo una soluzione" concluse.

"Ci penso io" sapevo cosa fare.

"Non permetterò che il marito di mia cugina vada in carcere e che Fanny cresca senza una figura maschile" mi riferivo a Marcus.

"E non permetterò che la persona più simpatica di questa casa, dopo me ovviamente, vada dietro le sbarre" mi riferivo a Johnny.

"Beh Justin, tu un giro dietro le sbarre potresti anche farlo" dissi ipotetica. "Ma dopo non saprei con chi litigare" aggiunsi subito dopo.

"Ah-Ah-Ah" Justin finse una risata.

"Sei mitica" Johnny mi abbracciò felice.

"Cosa hai intenzione di fare?" chiese Marcus.

"Lavorerete per me" dissi.

"Cosa?" Chiese Justin ridendo.

"Johnny e Marcus potrebbero fare da sponsor per la mia collezione" confidai.

"Mi servono dei modelli da far tenere al guinzaglio alle mie ragazze" spiegai.

Poteva suonare bizzarra come idea, ma la collezione stava ad indicare la potenza delle donne sugli uomini. Gli uomini sono tutti dei cagnolini, basta dirgli 'dammi la zampa' e loro lo fanno per davvero.

"Scommetto che mi userai come modello principale" disse Justin sorridente.

"No, farai l'uomo delle pulizie" dissi sarcastica.

"Simpatia da tutti i pori" disse Justin imitando gli spruzzi con le mani.

"Tu sei quello che in banca ha più soldi. Sarei il mio socio in affari, ovviamente non per davvero" ci tenni a precisare.

"Come sai che funzionerà?" dubitò di me.

"Tesoro, io sono Soul Rebel. Ogni mio piano funziona." Modestamente.

"Credo di essermi innamorato di Soul Rebel" disse Johnny, scherzava ovviamente.

"Dovrai investire i tuoi soldi in qualche progetto, proprio come ho fatto io" consigliai.

"E cosa dovrei fare?" Chiese curioso.

"Cosa volevi fare da bambino?" Gli fece la fatidica domanda.

"Il cantante, non è stupido?" cominciò a ridere.

"Stupido è chi non realizza il suo sogno" dissi il mio pensiero.

"Cosa dovrei fare? Mettermi a cantare per strada e aspettare che qualcuno si accorga di me?" Chiese divertito.

"Non sono più un bambino, so che non succederà mai" aggiunse.

"Io sono un criminale non un cantante" appoggio esaurito le mani sul bancone.

Sapevo che aveva un talento incredibile. La sua voce mi faceva drizzare i capelli, mi faceva venire voglia di vivere. Come tanti era finito a fare un lavoro che non voleva, sempre che il suo si potesse chiamare lavoro. Gli avevano riempito la testa di "non ce la farai mai" e alla fine ha finito per crederci. Ma non è mai troppo tardi per crederci ancora. Certo passare dall'essere un criminale all'essere un cantante non era facile. Ma aveva le basi giuste. Aveva il talento, aveva il denaro sufficiente per incidere un disco, aveva un nome importante che finalmente avrebbe potuto sfruttare nel modo giusto. Mancava solo qualcuno che lo promuovesse e gli desse un immagine, ma a quello ci avrei pensato io. Non poteva fare il criminale per sempre, era arrivato il momento di smettere. Non poteva vivere con la paura che qualcuno lo uccidesse o che finisse in carcere. Non si può vivere continuamente nella paura. Il suo destino era un altro. Avvolte ci serve solo qualcuno che ci appoggi, qualcuno che credi in noi e ci invochi a credere in noi stessi.

"Potrei comprare una casa discografica" disse Justin.

"Aiuteresti le persone a realizzare un sogno che tu hai paura di realizzare, mi sembra giusto" annui falsamente.

"No,mi sembra da codardi" alzai la voce subito dopo.

"Questo è ciò che sono" poggiò le mani sul petto.

"Sono il capo di questa nazione" disse. "Non butterò anni di lavoro, per fare il cantante, non è il mio destino" concluse.

"Siamo noi a creare il nostro destino" mi arresi.

Gli lanciai un ultimo sguardo e andai via, di nuovo in salotto. Justin aveva un dono, era dotato di una voce che era in grado di rendere felici le persone, ma era troppo stupido per capirlo. Un dono come il suo non andrebbe sprecato. Ci sono milioni di persone con una voce bellissima, ma ci sono pochissime voci in grado di emozionare una persona. Non volevo intromettermi nella sua vita, tanto meno costringerlo a fare una cosa che non voleva fare. Spettava a lui decidere. Passare una vita facendo un lavoraccio che l'unica cosa che fa è portarci guai o fare qualcosa che potrebbe rendere felici te e altre milioni di persone? Avvolte prendiamo la strada sbagliata solo perché quella strada ci servirà ad andare sulla strada giusta. Tutte le persone dello show business hanno attraversato qualcosa di oscuro per arrivare dove sono ora. Avvolte la strada sbagliata è proprio quella giusta. Dipende dal modo in cui scegliamo di attraversarla. Ero convinta di una cosa, i sogni erano fatti per essere realizzati non per restare in un cassetto. Doveva essere per forza così, se esistevano era questo il motivo. Purtroppo sempre più persone li depositano in un cassetto credendoli irrealizzabili, forse perché non lo vogliono abbastanza o forse perché non ci hanno creduto abbastanza. Nella vita bisogna credere tanto o moriremo tutti infelici e un mondo infelice non ha senso, non può esistere. Bisogna credere nei sogni, bisogna credere nell'amore, bisogna credere nell'amicizia, bisogna credere nel bene. Le esperienze brutte arrivano nella vita di ogni essere vivente solo per vedere quanta forza ha quella persona. Secondo me, Dio porta cose belle nella vita delle persone a seconda della loro forza. Una persona che nonostante i momenti brutti va avanti con un sorriso, una persona che nonostante i momenti cattivi non smette di credere, è una persona che va premiata. Siamo noi gli artefici del nostro destino, siamo noi a scegliere se essere felici o no.

Mi sedetti di nuovo al mio posto, ricominciai a pensare al mio lavoro e alle mie cose da fare. Gli avevo dato un consiglio, stava a lui decidere cosa fare, non potevo fare nulla. Avevamo tutti i disegni pronti, dovevamo scegliere bene i tessuti e le rifiniture. Eravamo in un terribile ritardo, ma come sempre ce l'avremmo fatta. Mentre io e le ragazze discutevamo sul da farsi, i ragazzi giocavano ai video giochi sul divano del salotto, ad ogni punto si creava un caos infernale. La mia testa scoppiava. Mille pensieri la stavano invadendo, non avevo un attimo di tregua. E quando potevo rilassarmi a casa c'erano loro che creavano casino. Non avevo tempo da perdere, dovevo essere super concentrata. Deasy non aveva molto tempo per stare con me e aiutarmi, era sempre occupata in ospedale e averla li quel pomeriggio era un vero e proprio miracolo. Hope doveva fare la mamma e occuparsi della casa, in poche parole era più esaurita di me. Mary, beh Lei in realtà non aveva molti impegni ma riguardo la moda aveva gusti pessimi per non dire mostruosi, il suo era uno stile gotico. Non vedevo l'ora di finire tutto per andare a divertirmi in qualche locale di lusso. Ci mancavano pochi abiti, poi avremmo finiti. I ragazzi spensero la tv, finalmente un po di tranquillità. Marcus da bravo padre giocava con sua figlia, mentre Johnny e Justin da bravi rompi palle che erano, si sedettero a tavola con noi e iniziarono a guardare ogni nostra creazione.

"Dio, questo è divino" disse Justin con una voce femminile.

"Ti starebbe bene" commentò Hope.

"Ti farebbe i fianchi grossi, te lo dico da amica" disse Johnny imitando la voce di una ragazza.

Mentre loro scherzavano e commentavano ogni vestito, il mio cellulare vibrò. Lo tirai fuori dai pantaloni. Era un messaggio di Duncan. Sbloccai il cellulare e lessi il messaggio.

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Automaticamente mi scappò un sorriso. Certo, la nostra non era una vera e proprio relazione, ma ci tenevo a lui. Mi faceva sentire meno sola. Sapeva ascoltarmi e dare consigli, c'era sempre per me. Nonostante ci tenessi a lui non ero pronta per una relazione. I miei sentimenti erano nascosti in qualche parte del mio corpo e non riuscivo a tirarli fuori. Il mio cuore mi impediva di amare qualcuno che non fosse Justin. Era una specie di maledizione. Justin era e sarebbe stato il mio primo amore. Nessuno avrebbe cambiato questo, neanche il ragazzo più bello e dolce del mondo. Ero la donna più forte del mondo, ma quando si trattava d'amare mi saliva una paura assurda e diventavano una codarda. Non volevo stare male ancora, tutto qui.

Mentre sorridevo come un ebete al messaggio, Justin mi tirò il cellulare dalle mani. Iniziò a ridere come un matto, subito dopo aver letto il messaggio. Iniziò a fare mosse strane, a ridere facendo le facce più strane. Sembrava pazzo. Tutti stavamo li a guardarlo quasi scandalizzati. Era molto, ma molto infantile.

"Sto vomitando e soffocando allo stesso tempo" finse dei conati.

"Sto soffomitando" finse di soffomitare (?)

"Sei patetico" commentai le sue moine.

"Manchi al suo uccello, piccola svegliati" tamburellò le dita sulle mie tempie.

"E allora?" chiesi.

"Una parte di se sente la mia mancanza" precisai.

"Ti batti tanto per le donne potenti e poi ti fai usare da questo Duncan" storse le sopracciglia.

"Sono io ad usare lui" era la verità.

"Perché proprio lui? È un pallone gonfiato, non mi piace" gesticolò con le mani.

"Qualsiasi essere vivente potrebbe andare a letto con lei, a te starebbe antipatico lo stesso" intervenne Johnny.

"Non è vero" smentì.

"Allora è ora che tu sappia la verità" dissi drammatica.

Mi guardò impaziente di sapere. Mi avvicinai a Johnny , mi sedetti sulle sue gambe, attorcigliai le braccia intorno al suo collo, lasciai un piccolo bacio sulla sua guancia, poi guardai Justin.

"Io e Johnny ci amiamo" ovviamente scherzavo.

Justin sgranò gli occhi, portò il peso da una gamba all'altra, incrociò le braccia, portando una mano al viso. Ci fissò per un paio di secondi.

"Sorella, lui è mio" imitò una voce femminile, per come parlava sembrava una del ghetto.

"Lui vuole me, arrenditi" consigliai alla mia rivale in amore.

"Johnny avanti parla, digli che mi ami" disse Justin sempre con lo stesso tono di voce.

"Amico, mi dispiace" disse amareggiato.

"L'hai vista, è troppo figa, non posso non amarla" chiarì.

"Perché mi fai questo?" Finse di piangere.

Scoppiai a ridere, era troppo divertente scherzare con loro.

"Non ridere, sto soffrendo in questo momento" la mia rivale fece la scorbutica.

"Voi ridete e scherzate, ma io e le mia amica dobbiamo prepararci per uscire" Mary mi tirò via dalle gambe di Johnny.

''Dove andate di bello?'' chiese Justin.

"A divertirci" Mary iniziò a ballare twer in salotto.

"Da sole?" chiese Johnny.

"Con chi dovremmo andarci?" Rifece la domanda.

"Potremmo unirci a voi" Johnny guardò Justin.

"No-no-no" ripetei più volte.

"Non mi sembra il caso" aggiunsi.

"Ma certo, voglio proprio divertimi" Justin accettò la proposta.

"Fantastico" Mary appoggiò la loro decisione.

"Allora andiamo a prepararci" esultarono entusiasti i ragazzi.

"Deasy tu non vieni?" Chiesi speranzosa.

"In realtà ho già altri progetti, se sai cosa intendo" rispose vispa.

Sapevo cosa intendeva, John. Tra loro le cose miglioravano di giorno in giorno. Stavano facendo di tutto per riuscire a rimediare il tempo perso, facevano di tutto per rimediare agli errori commessi principalmente da Deasy. Ero molto felice per loro. Deasy mi aveva raccontato che durante il suo fidanzamento con Justin, andava di nascosto dopo lavoro, al supermercato dove lavorava John, solo per vederlo e spiarlo al reparto surgelati. La trovavo una cosa dolcissima. Però non capivo che bisogno c'ero di stare con qualcuno che non ami, solo per ripicca. Per di più se quel qualcuno è l'ex della tua migliore amica. Era ormai una storia che mi ero lasciata alle spalle, ma quando ci ripensavo mi incavolavo di brutto.

Io e Mary salimmo di sopra, io andai dritta in camera mia, mentre Mary girò nel corridoio di destra. Feci una doccia nel mio bagno personale, mentre Mary era in quello degli ospiti. Ero sotto la doccia, quando sentì la porta della mia camera aprirsi, doveva essere Mary, era molto più veloce di me quando si trattava di lavarsi. Io restavo sotto l'acqua a pensare al tutto e al niente della vita, di solito stavo ferma senza fare niente, lasciavo che il tempo passasse e che l'acqua scorresse sul mio corpo. Mi trasmetteva tranquillità, era una sensazione che adoravo. Uscì fuori dalla doccia e avvolsi il corpo in asciugamano grande e bianco. Ne arrotolai uno piccolo intorno ai capelli. Aprì la porta e a piedi nudi e bagnati entrai in camera. Fischiettavo allegramente, quando mi accorsi che seduto comodamente sul letto c'era Justin e non Mary. Stavo per urlare ma si precipitò prima che potessi parlare.

"Mi serve solo un consiglio" chiarì.

"Okay" mi tranquillizzai.

"Meglio questa maglia o questa?" Mi fece osservare due dei suoi capi.

Indossava dei pantaloni effetto pelle, stetti sui polpacci e larghi tra le gambe, i sui soliti pantaloni, a sua discolpa potevo dire che gli stavano molto bene. Una delle maglie era una canotta bianca, l'alta era della stessa modello solo nera. Cambiava solo il colore. Aveva uno strano gusto nel vestire, ma almeno era diverso dalle altre fotocopie che si vedevano per strada.

"Bianca, non stiamo andando ad un funerale" consigliai.

"Vada per la bianca" mi fece un occhiolino.

Tranquillamente davanti ai miei occhi la indossò, non avevo notato fosse a petto nudo, forse perché era mezzo nudo quasi sempre. Dopo averla indossata restò fermo sul letto, io iniziai a guardarmi intorno imbarazzata, mi chiedevo perché non se ne andasse. Dovevo vestirmi, di certo non potevo farlo dinanzi a lui. Mi guardava come il finto tonto della situazione, con un sorrisetto idiota. Sapeva che mi stava mettendo in soggezione. Alzai gli occhi al cielo e cercai di calmarmi. Mi diressi al mio comodino e presi l'intimo che mi servì, chiusi il cassetto e me ne tornai in bagno. Ci misi pochi secondi ad indossarlo, infondo si trattava solo di un paio di mutandine , un reggiseno e una sotto veste trasparente. Aprì la porta e senza farmi scrupoli mi presentai davanti a lui in quel modo. Mi conosceva in tutti i modi possibili e immaginabili, era inutile fare la problematica. La sua reazione fu una leccata di labbra, adoravo quando lo faceva. Era estremamente sexy. Aprì la porta del mio armadio a muro ed entrai. Iniziai a girare per tutto l'armadio cercando qualcosa da mettere, ma come al solito non trovavamo nulla, nonostante ci fossero centinaia di vestiti. Vidi Justin entrare e aggirarsi nel mio armadio, toccava tutte le mie cose. finalmente individuai i miei abiti per la serata. Una gonna alta di pelle nera sintetica, arriva sotto il seno, il tessuto era simile a quello che dei pantaloni di Justin, sopra un bustino di quelli che somigliano ad un reggiseno, dello stesso colore e materiale della gonna. Sexy ed elegante alle stesso tempo. Dovevo trovare qualche giacca da abbinarci sopra e il gioco era fatto.

"Pensavo l'avessi buttato" disse Justin.

"Cosa?" chiesi mentre frugavo nel mio armadio per trovare una vecchia giacca di jeans, adoravo la pelle nera affiancata a qualcosa di jeans.

"L'anello della nostra promessa di matrimonio" vi che giocava con la scatolina.

"Perché avrei dovuto buttarlo?" chiesi divertita.

"Perché non ho mantenuto la promessa" si riferiva all'incisione nell'anello 'next to you'.

"Lo hai fatto" dissi con sincerità.

"Come?" chiese stupido della mia risposta.

"Credi che io non sappia che a farmi uscire dal carcere sei stato tu?" chiese retorica.

"Hai speso milioni di dollari solo per rendermi libera, credevi che io ti avessi tradito ma mi hai scarcerato comunque" conclusi.

"Come fai a sapere che sono stato io?" chiese confuso.

"Lo hai confermato adesso" sorrisi.

"Hai corrotto il direttore, eri l'unica persona ad avere una somma di denaro tanto grande" spiegai.

"Sono stato malissimo senza di te, ho cercato di convincermi per anni di averti dimenticato, ma non ce l'ho fatta." Abbassò lo sguardo.

"Quando ti ho visto fuori la porta di casa, stava per venirmi un infarto" rise di se stesso.

"E scusami se non ti ho abbracciato, ma non ne ho avuto il coraggio" alzò gli occhi dalla mia parte.

"Puoi farlo ora se ti va" accennai un sorriso imbarazzato.

Sorrise alla mia risposta. Venne verso di me e mi strinse forte tra le sue braccia. Anche io volevo abbracciarlo, lo desideravo da morire. Le sue braccia intorno al mio corpo mi facevano sentire protetta, meno sola e più felice. Un abbraccio non poteva sistemare le cose, ma era meglio di niente. Avevo capito che a liberarmi fosse stato Justin dal primo giorno in cui l'avevo visto. Ero restata in silenzio, volevo che fosse lui a dirmelo, ma non importava. Un abbraccio era sicuramente meglio. Per sistemare il rapporto tra me e Justin ci sarebbe voluto un lavoro sodo, ma più di tutto dovevo cercare in qualche modo di fidarmi di Justin e lui doveva fidarsi di me, la fiducia è alla base di ogni rapporto. Eravamo passati dal litigare ogni secondo a parlare più liberamente e a scherzare, era già un passo. Non c'era bisogno di correre e fare le cose precipitosamente, tanto ci saremmo aspettati per sempre. Anche se non volevo ammetterlo, Justin mi mancava, tantissimo.

"Dovresti vestirti o faremo tardi" si staccò e sorrise.

"Giusto" annui.

Presi la gonna e la tirai su, fino alla vita. Levai la sotto veste, tanto non serviva a nulla e lasciai cadere a terra. Indossai il bustino, restavano pochi centimetri di pelle scoperta tra il pezzo di sopra e quello di sotto, in quei centimetri di pelle si vedevano alcuni tatuaggi sul lato destro. Infilai ai piedi un paio di tacchi alti e andai al bagno. Justin con molta normalità mi seguì. Essere amici, poteva essere un grande passo. Anche se sapevo che non era quello che voleva, non lo volevo neanche io, però era meglio andarci piano. Asciugai i capelli con spazzola e asciuga capelli, così da farli venire perfettamente lisci, senza bruciarli eccessivamente con la piastra. Justin stava aggiustando il suo ciuffo. Si era creato un po di imbarazzo tra noi dopo l'abbraccio, ma era mille volte meglio degli insulti o delle minacce. Quando finì di asciugare i capelli passai al trucco. Matita e mascara sugli occhi, fard sugli zigomi, rossetto rosso sulle labbra. Spruzzai un po di profumo, un ultima controllata allo specchio e fui pronta per andare.

"Sei bellissima" si complimentò Justin.

"Scusa?" Lo guardai male.

"Volevo dire sexy" sorrise.

"Grazie, anche tu" feci l'occhiolino.

Uscimmo dal bagno, andammo in camera presi la mia borsa e ci infilai tutte le mie cose. Chiusi le luci e la porta e scendemmo di sotto. In salotto c'era un nuovo componente, John, era seduto vicino a Deasy. Mary e Johnny ci stavano aspettando, erano già pronti. Ci avvicinammo a loro. Ci guardavano in modo strano, forse perché ci avevano visti scendere insieme o forse perché per la prima volta non litigavamo. Guardai Johnny e Mary, facendogli capire che dovevamo andare. Ma loro, ottusi com'erano non capirono. Capire gli sguardi è un'arte, non tutto ci riescono.

"Duncan ti saluta" disse John.

"Oh, digli che ricambio" risposi.

"Ti ha inviato un messaggio e sta impazzendo perché non gli hai risposto" rise divertito.

"Ho il cellulare spento e non l'ho letto" mentì.

"Certo, il cellulare spento" intervenne Justin.

Gli pestai il piede non appena aprì bocca. "Beh, noi usciamo, ci si vede"

Tirai tutti via con fretta. Presi le chiavi dell'auto e uscimmo fuori. Ci incamminammo verso l'area dove venivano parcheggiate le auto. C'era la nuova Ferrari rossa di Justin, la mia Ferrari bianca avuta da Justin, il fuori strada di John, due Lamborghini, una Maserati e altre macchine e moto costose appartenenti a Justin e ai ragazzi. Eravamo indecisi sull'auto da prendere, avevo pensato di andare con la mia auto insieme a Mary e Justin sarebbe andato con qualche sua auto insieme a Johnny. Ma ovviamente non poteva andare così, Mary ebbe la geniale idea di dividerci, lei con Johnny, io con Justin. Avevo capito chiaramente che Johnny sarebbe stato la prossima vittima di Mary, era una mangia uomini.

"Andiamo con la mia auto" riferì a Justin, mentre Mary era già salita sulla Lamborghini di Johnny.

"Così guiderai tu" fece un osservazione. "E il tuo modo di guidare mi spaventa" concluse.

"Potrei guidare ad occhi chiusi" dissi convinta.

"Si, come no" dissentì.

"Prendiamo la mia auto" si riferiva alla rossa e fiammante auto nuova.

Annui. Salimmo sulla sua lussuosa auto, era diversa dalla mia, forse era un nuovo modello. Justin partì senza esitare. L'auto profumava di muschio, era pulitissima. Quando stavamo insieme le sue auto erano sempre disordinate e puzzavano, forse perché erano meno costose delle suo nuove auto. Justin guardava attentamente avanti a se, era buio e sfrecciava veloce sulle strade. Non mi dava a parlare, mi stavo annoiando così iniziai a cercare nel cruscotto qualche cd da ascoltare. C'era di tutto, ma dei cd nemmeno l'ombra. Una cosa però catturò la mia attenzione. Una rivista vecchia. In copertina c'eravamo io e Duncan, l'articolo riguardava il gala e del nostro ritorno a casa con i quadri, l'avevo già letto. Sulla faccia di Duncan c'erano disegnati baffi, corna e altri scarabocchi vari.

"E questo?" Chiesi tenendo in mano la rivista.

"È stata Fanny" disse in sua difesa.

"Non incolpare lei" sapevo che non centrava nulla.

"I baffi gli donano" disse in sua discolpa.

"Anche le macchie di sangue sul vestito" aggiunsi io guardando la rivista.

"É arte" scoppiò a ridere.

Sapevo che Duncan non gli stava molto a genio, anzi lo odiava, non perché aveva fatto qualcosa ma per il semplice fatto che era geloso di lui. Quei disegni sulla faccia di Duncan sulla rivista, non so, ma li trovavo teneri. Il fatto che Justin pensasse a me non mi dispiaceva, anzi mi dispiaceva il fatto che aveva smesso di provarci con me. Ma cosa pretendevo? Lo trattavo male, lo facevo sentire una nullità ogni volta che mi parlava e gli dicevo di smetterla. Noi donne siamo fatte così, diciamo a ma vogliamo b, però intanto pensiamo a c. Siamo troppo complicate. Si, le donne sono gli esseri più complicati della terra. Ma gli uomini sono ancora peggio, perché oltre ad essere complicati sono anche stupidi e ottusi. Ma questo è il bello, un uomo e una donna una volta insieme diventano meno complicati, quasi semplici.

Rimisi la rivista al suo posto, poi cominciai a guardare fuori dal finestrino. Justin si era accorto che mi stavo annoiando, così avvicinò la mano allo stereo touch dell'auto e inserì la musica dal mp3, ecco spiegato perché non c'erano cd. Partì la canzone When I was your man di Bruno Mars. L'aveva messa apposta, ne ero sicura. La canzone parlava di un amore finito e di quanto lui fosse pentito per aver sbagliato tutto, voleva un'altra possibilità, ora lei stava con un altro e lui sperava che quest'uomo facesse quello che non aveva fatto lui, gli importava solo che fosse felice. Rimasi imbambolata dalle note della canzone ,mi facevano pensare a tutto quello che avevamo passato insieme, gioie e dolori. E fu allora che capì che non volevo nessun altro, volevo solo lui e la sua stupidaggine, la sua dolcezza, volevo tutto di lui. Prima che finisse la canzone spensi la radio. Lo guardai e gli sorrisi. Lui ricambiò il sorriso capendo il mio gesto. La canzone finiva con 'Voglio che lui faccia tutto quello che avrei dovuto fare io , quando ero il tuo uomo'. Il punto è che non c'era nessun altro, nessuno che potesse prendere il suo posto. Nessuno.

Arrivammo in uno dei locali più famosi e belli di Los Angeles, frequentato solo ed esclusivamente da persone importanti. Io e Justin avevamo fatto un gran passo di qualità. Arrivati fuori l'entrata, Justin fermò l'auto lasciando le chiavi ad un ragazzo che l'avrebbe parcheggiata al posto suo. Dopo di che lo raggiunse, poggiò una mano sul mio fianco e evitando qualche paparazzo curioso entrammo dentro. Non eravamo vere e proprie celebrità , ma avevamo quel minimo che bastava. Ero una stilista di fama mondiale ora, mentre Justin, beh Justin era popolare e basta. Entrati nel locale venimmo raggiungi da Johnny e Mary, andammo a sederci in una zona privata, distanziandoci dalle persone che ballavano freneticamente. Ordinammo dei drink, che arrivarono in una velocità incredibile. Un cinque bianchi per me, in vodka a fragola per Mary e due angeli azzurri per Johnny e Justin. Io e Mary bevemmo il drink in un sorso, ordinammo il bis. Bevemmo anche quello senza pensarci due volte, mentre i ragazzi non avevano neanche finito il loro primo drink. Levai la giacca sistemandola sulla poltrona in pelle blu.

"Andateci piano" consigliò Johnny.

"Reggo l'alcool" mandai giù anche il terzo bicchierino.

"Come l'ultima volta?" ricordò Mary.

"Dovresti proteggermi, non ricordarmi che mento" mi leccai le labbra pulendone dal sapore aspro e dolce dei drink.

"Cosa è successo l'ultima volta?" chiese preoccupato ma anche divertito Justin.

"È salita sul palco e ha iniziato a ballare come una matta su un tizio che per poco non aveva le convulsioni per quanto gli di era drizzato, hanno dovuto portarlo via in ambulanza" scoppiò a ridere.

"Dovevi proprio raccontarglielo?" chiesi imbarazzata.

"Oh, questa è la nostra canzone"

Mary mi tirò in pista in mezzo la folla, sulle note di 'Temperature di Sean Paul'. Iniziammo a ballare come matte, scuotendo ogni parte del nostro corpo. Amavo ballare, muovere il corpo in modo sensuale, sentirli libera, nessuno poteva fermarmi. Iniziai ad oscillare i fianchi, dietro di me c'era Mary, strusciava la sua schiena vicino la mia. Ben presto l'attenzione dei maschi li attorno si posò su di noi. Un ragazzo mi tirò a se e iniziò a ballare con me, subito dopo mi accorsi delle presenza di altro ragazzo alle mie spalle. Continuavo a ballare, l'alcol faceva il suo effetto e dopo tanto lavoro ero riuscita a divertirmi.

JUSTIN VOICE:

Mentre Tanya ballava con quei due coglioni che si strusciavano su di lei, mandai giù un paio di drink. Iniziai a sentire caldo così levai la giacca posizionandola accanto a quella di Tanya. Almeno loro sarebbero state vicine. Johnny era andato a ballare in pista. Io restavo fermo sulla mia poltrona senza mai allontanare gli occhi da lei. Nonostante lei stesse ballando con quei due, il suo sguardo non si distoglieva dal mio. Era una dea, era perfetta. Pensare che c'era un momento in cui era solo mia e che me l'ero fatta scappare mi faceva sentire un totale cretino.

Era il diavolo con la bellezza di un angelo. Quel viso tanto dolce che nascondeva un'anima ribelle come la sua. Amavo la sua nuova personalità, ma l'avrei amata di più se mi avesse dato la possibilità di starle accanto. In auto avevo messo quella canzone solo per lei, sapeva quanto ero dispiaciuto e pentito. Volevo solo che mi desse una possibilità, se non l'avesse fatto avrei lasciato che fosse felice con un altro, nonostante questo mi uccidesse, ma conoscendomi non l'avrei mai lasciata andare. Le persone dicono 'se la ami devi lasciarla andare' ma a parere mio non è così. Devi sbattere i piedi a terra e cercare di ottenere quello che vuoi, questo è amore. Io sapevo che per lei ero ancora importante, aveva solo paura che potessi farla soffrire di nuovo e francamente non la biasimavo. C'era qualcosa che tra noi, lo percepivo, era questo uno dei motivi per cui ancora non avevo smesso di provarci. Avevo eliminato i miei comportamenti da maniaco e avevo iniziato a comportarmi in modo normale con lei, ma sembrava non bastare comunque.

Era sempre impegnata con il suo nuovo lavoro, io ero impegnato con i miei problemi e ci vedevamo pochissimo. Però quella sera eravamo li, in quel locale, insieme. Era un enorme passo. Tanya balla seducentemente, mi guardava e con le dita mi faceva segno di andare da lei. Non ero uno che ballava molto, ma come potevo rifiutare ma sua proposto. Mandai giù un altro drink e mi alzai. Mi incamminai verso di lei, allontanai i due tipi che le ballavano vicino e la tirai a me. Iniziò a muovere il suo corpo provocatoriamente vicino al mio. Il suo sedere si agitava vicino al mio pacco, la sua testa era appoggiata sul mio petto, la sua mano accarezzava il mio collo. Le mie mani viaggiavano lungo il suo corpo. Nonostante ci fossero centinaia di persone intorno a noi, mi sembrava di stare da solo, io e lei, in qualche mondo parallelo. Si girò guardandomi negli occhi, piano piano vidi che scendeva accarezzando il mio petto, poi risalì nello stesso modo. Oscillava il suo ventre vicino al mio corpo, accarezzava il suo corpo delicatamente, come se stesse facendo l'amore, era quella l'impressione che mi dava. Era dannatamente sexy, non conoscevo questo suo lato un po più spinto, probabilmente c'erano molte cose che dovevo scoprire della nuova Tanya.

"Andiamo via" disse usando il labiale.

Mi prese la mano e mi portò via dalla pista, prendemmo le nostre cose al tavolo. Ci dirigemmo all'uscita. Aspettammo che arrivasse la mia auto. Lei era molto silenziosa, si manteneva la testa come se le facesse male, sembrava agitata. Era abbastanza strana. Arrivò l'auto, l'aiutai a farla salire in auto, poi andai dalla mia parte, salì nella vettura e partì. Guidavo, ma non sapevo dove andare.

"Portami a Downtown" disse molto stizzita.

"Perché?" non l'avrei portata da quel Duncan.

"Devo fare una cosa, poi andremo dove vuoi" gli tremavano le mani.

"Stai bene?" chiesi preoccupato.

"No" rispose sincera.

"Cosa ti succede?" non smetteva di tremare, il suo volto aveva qualcosa di diverso.

"Non sono affari tuoi" rispose alzando il tono di voce. "Guida" ordinò.

Era tremolante, pallida, con delle bozze rosse sotto gli occhi. Erano fatti miei, era evidente che ci fosse qualcosa che non andava. Fermai l'auto in un area di sicurezza. Spensi il motore. Non sarei andato da nessuna parte se non mi avesse spiegato cosa aveva. Mi guardò incazzata, ma non mi importava, volevo spiegazioni. Stava bene ed un tratto era diventata un altra persona. Faceva addirittura paura.

"Perché cazzo hai fermato l'auto?" ringhiò.

"Voglio sapere cos'hai" la guardai preoccupato.

"Cos'ho" rise.

"Le vedi queste croste" abbassò la giacca facendomi vedere le vene del braccio.

"Sono settimane che non vengono riempite e sta per avere un crisi d'astinenza" spiegò divertita.

"Divento una belva se non riesco ad avere una dose di eroina" voleva solo bucarsi.

"Non riesco a smettere, il mio corpo ne vuole sempre di più" disse quasi disperata. Stava iniziando a sudare, nonostante non facesse caldo.

"Quella merda ti ucciderà" guardai inorridito le croste.

"Io sono già morta" rise appoggiando la testa sul finestrino.

"Smettila" non volevo che dicesse quelle cose.

"Portami a Downtown, dopo starò meglio" cercò di convincermi.

"E domani? Domani sarei costretta a bucarti di nuovo, e lo rifarai ancora, finché il cuore non smetterà di battere" cercai di farle capire.

"Credi che io non abbia provato a farla finita?" chiese retorica.

"Devi disintossicarti" era l'unica cosa da fare.

"Io non ci vado in quei centri di disintossicazione, è da idioti" rifiutò.

"È da idiota continuare a procurare del male al tuo corpo e a te stessa" dissi la mia.

"Un ultima dose, poi giuro che andrò dove vuoi" chiese disperata.

"Mezza dose" optai.

"Sto male Justin, mezza dose non farà effetto" disse impaziente.

"Okay" accettai.

"Conosco una clinica che può aiutarti" volevo farla stare di nuovo bene.

"Accendi i motori, ti prego" fermò le mie chiacchiere.

"Chiama Palmer e fatti portare la dose a casa" accesi i motori.

Mandò un messaggio a David. Strinse le braccia attorno al suo corpo e cercò di resistere. Sapevo che stava male, il corpo richiedeva quella sostanza contro mettendo tutto il sistema nervoso. Era un abisso da cui era difficile uscire. Una volta che provi non smetti più. Ti rovina la vita. Tutte le droghe che portano dipendenza, portano bene o male agli stessi sintomi di astinenza.

Vengono definite crisi di astinenza, perche' in effetti sono vere e proprie crisi, che in un batti baleno, possono portarti a divorare viva tua madre o a suicidarti. Si comincia con eccessiva sudorazione, poi si inizia a tremare, poi crampi mostruosi allo stomaco, allucinazioni, senso di morte imminente. Qualcosa di indescrivibilmente terribile e la dose non fa altro che rimandare questa morte atroce. Ma dopo, si sarebbe trovata punto e da capo. L'avrebbe uccisa lentamente. Non potevo rimanere a guardare mentre si faceva del male con le sue stesse mani. In un centro specializzato l'avrebbero aiutata. Io avrei voluto aiutarla.

Arrivammo a casa, l'auto di David era già li. Scesi dall'auto e andai ad aiutare Tanya. Riusciva a stento a tenersi in piedi. L'astinenza gli aveva levato le forze da un momento all'altro. Si appoggiò sulla mia spalla ed entrammo in casa. Camminammo fino al salotto, dove avremmo trovato tutti. La feci sedere sul divano. Poi lanciò un occhiata a David.

"Dov'è Fanny?" chiese affannando.

"È a letto" rispose Hope.

"Ma cosa ti è successo?" chiese subito dopo.

"Non ho ne il tempo, ne la voglia di parlare" rispose con fatica.

"L'hai portata?" guardò disperata David.

"Ah nigga, finirai per rovinarti" cacciò la dose dalla tasca dei suoi pantaloni.

"Sta zitto che sei più tossico di me" glie la strappò dalle mani.

"Cos'è quella roba?" chiese disgustata Hope.

"Al momento è cocaina, ma una volta sciolta è eroina" spiegò in poche parole David.

"Ho bisogno di un cucchiaino, di un accendino e di una molla" Tanya cercò di alzarsi dal divano per trascinarsi in cucina.

"Lascia, faccio io" la feci sedere.

Andai in cucina e presi quello di cui aveva bisogno. Era distrutta. Un altro giorno in più senza quella eroina e avrebbe fatto qualche sciocchezza. La droga ruba l'anima delle persone. Tornai in cucina e diedi a David quello che Tanya mia aveva chiesto. Si sedette accanto a lei sul divano. Aprì la bustina contenente la cocaina e la poggiò nel cucchiaino. Tanya si infilò la molla sul braccio, così che potesse bloccare il flusso del sangue, una volta tolta, l'eroina avrebbe viaggiato all'interno del suo corpo. David avvicinò l'accendino al cucchiaio, in pochi secondi la cocaina diventò liquida, era giallognola. Prese una siringa, chiamata spada in quel caso, e risucchio tutta l'eroina al suo interno. Avvicinò l'ago alle sue vene e glie lo iniettò. Tanya levò la molla con una velocità assurda, chiuse gli occhi e aspettò che l'eroina facesse il suo effetto.




"Quanto mi sei mancata" mormorò ad occhi chiusi, ai riferiva all'eroina.

"Digli addio, non me toccherai mai più" ricordai la sua promessa.

"Sta zitto" disse mezza imballata. "Fammi godere il momento" aggiunse.

"Sei felice ora?" chiese divertito David.

"Felice? Perché dovrebbe esserlo, quella merda la sta uccidendo" dissi abbastanza nervoso.

"Tu davvero credi che a rovinarla sia stata la droga che assume?" chiese guardandomi curioso.

"Ti rispondo io: no. È stata la solitudine e il sentirsi abbandonata" rinfacciò a tutti.

"Non capisco nemmeno come faccia a mettere i piedi in questa casa e a guardarvi in faccia" iniziò ad alzare il tono di voce.

"Amico calmati" consigliai. Non volevo che finisse male.

"Calmarmi?" rise.

"Credi che io sia felice a vederla in queste condizioni? Per me è come una sorella" spiegò.

"E allora dovresti dirle di smettere" affermai.

"Se fosse così semplice, in giro non ci sarebbero tossici, amico" mi informò.

"Dio, smettetela, ma che avete il ciclo" si lamentò Tanya dal divano.

"Io vado Nigga, spacca il culo a tutti" le lasciò un bacio sulla fronte.

"Come sempre" rispose.

Fece un saluto generale con la mano e andò via, sapeva già dov'era l'uscita. In salotto c'era silenzio, a causa della tensione che si era creata con le parole di David. Tutti non facevano che ricordarci quanto fossimo stati stronzi con Tanya. E non potevamo lamentarci o obbiettare, avevano ragione. Ma non c'era bisogno di ricordarcelo di continuo, ci sentivamo già delle merde da noi, non ci servivano i commenti degli altri. Tanya era libera da mesi ormai e doveva solo cercare di stare bene. Volevo solo questo per lei. La dipendenza da droga è come una malattia. Fa male. Avrei trovato il modo per aiutarla, sarebbe stata dura, ma era forte e ci sarebbe riuscita. Doveva smettere di dedicarsi al lavoro, ai suoi affari sporchi, doveva smettere di litigare con me, doveva pensare a se stessa. Aveva solo bisogno di questo.

TANYA VOICE:

Non sapevo più perché avevo paura di morire. Di morire da sola. I bucomani muoiono da soli. La maggior parte in un cesso puzzolente. Ed io non volevo morire. In realtà non aspettavo niente altro che quello, ma qualcosa o qualcuno mi teneva li. Non sapevo perché ero al mondo. Anche prima non lo avevo mai saputo con esattezza.Dopo aver preso la dose stavo decisamente meglio, mi avrebbe tenuto buona per una settimana o almeno ci speravo. Dovevo smettere, Justin aveva ragione, la cocaina, l'eroina, le canne, la marijuana e le altre sostanze di cui facevo uso mi stavano uccidendo. Avevo iniziato con la cocaina, ma dopo mi sono ritrovata a volerle tutte. Per tutti quegli anni avevo cercato di colmare il mio vuoto con quegli stupefacenti, ma era arrivato il momento di smettere. Avrei seguito il consiglio di Justin, in qualche comunità mi avrebbero aiutata. Stare rinchiusa in una clinica era l'ultima cosa che volevo, ma se mi avrebbe fatto smettere, avrei resistito. Dovevo stare al top della forma, dovevo riprendermi, dovevo farlo per me. Non prendevo una dose da un paio di giorni e il dolore mi stava uccidendo, cosa sarebbe succederà quando non prenderò la dose per mesi? Probabilmente sarei impazzita o avrei tentato il suicidio, ma sicuramente gli infermieri si sarebbero presi cura di me.

Eravamo tutti a dormire, solo che a causa dell'eroina non riuscivo a chiudere occhio, ero carica di adrenalina. Avrei potuto ballare per giorni, senza fermarmi. Dopo però, sarei crollata sembrando uno zombie.Ero sdraiata sul letto e guardavo il soffitto per far passare il tempo. Sentì delle risatine provenire dal corridoio così mi alzai e silenziosamente aprì la porta per sbirciare. Deasy era appena tornata a casa, era mezza ubriaca, non era sola ma con John. Lo stava tirando in camera sua mentre lui con le dita faceva segno di fare silenzio. Una volta entrati in camera uscì dalla mia camera. Camminai di soppiatto fino alla porta della camera di Justin. In quel locale ci stavamo divertendo ma a causa mia avevamo dovuto lasciare prima la pista e andare via, gli avevo rovinato una serata. Ma ce ne sarebbero state di sicuro altre. Aprì la porta di camera sua lentamente ed entrai. Pensai stesse dormendo ma si accorse della mia presenza. Alzò la testa dal cuscino mezzo assonnato e mi guardò.

"Cosa ci fai qui?" chiese a bassa voce.

"Non riesco a dormire" dissi imbarazzata.

"Bene, siamo in due" si strofinò gli occhi.

"Posso" mi fermai. "Dormire qui?" chiesi imbarazzata.

"Vieni" spostò le coperte e mi fece spazio accanto a lui.

Mi infilai sotto le coperte con lui, appoggiai la testa sul cuscino e insieme cominciammo a fissare il soffitto. C'era troppa tensione e silenzio.

"Il tuo letto è più comodo del mio " interruppi il silenzio.

"È un materasso ad acqua da duemila dollari, deve essere comodo" rispose.

"Mi dispiace, non volevo rovinarti la serata" ero dispiaciuta.

"Non fa niente" si girò verso me.

Feci lo stesso. "Te la cavi in pista" mi complimentai.

"Dimentichi che sono Justin Bieber, io sono bravo in tutto" fece il modesto.

"Forse un po meno bravo a stare accanto alle persone" aggiunse.

"Smettila di incolparti" non volevo riaprire l'argomento.

"Più ti guardo più aumentano i sensi di colpa" continuò.

"Allora non guardarmi" gli chiusi gli occhi con le mani.

Sorrise spostando le mie mani dai suoi occhi. "Non riuscirei a non guardarti, specialmente ora che sei qui".

Baciò le mie mani, poi le strinse tra le sue. Le portò vicino al suo viso e da solo iniziò a strofinarle sulla sua faccia. Le baciò delicatamente mentre io restavo a guardarlo. Prese il braccio dove avevo le cicatrici che mi ero procurata da sola e iniziò a lasciare piccoli baci anche li. Era una cosa dolcissima. Presi le sue mani e le strinsi alle mie, proprio come aveva fatto lui poco prima con le mie. Le portai vicino al mio viso e cominciai ad accarezzarmi le guance. Baciai le nocche delle sue dita, lui mi guardava sorridente. Mi avvicinai il corpo al suo, mi misi di spalle e arrotolai le sue braccia intorno al mio ventre. Justin spostò i miei capelli dietro l'orecchio e iniziò a lasciare baci delicati lungo la guancia, poi la mascella, arrivò al collo poi scese lungo le spalle. Poi appoggiò la testa sul mio braccio, strinse le sue braccia più forte intorno al mio corpo.

"Mi verrai a trovare in clinica?" chiesi.

"Tutti i giorni" rispose.

"Diventerò orribile e spaventosa" accennai.

"Sarai bellissima, sempre" lasciò un bacio sulla guancia.

"Sembrerò una pazza sclerotica" accennai.

"Mi piacciono le pazze sclerotiche" sorrise.

"Quelle non piacciono a nessuno" dissentì ridendo.

"A me si, sono affascinanti" affermò.

"Non sono affascinanti" negai.

"Hai ragione, sono sexy" giocò con le mie mani.

Risi. Mi era mancato tutto di lui.

"Posso farti una domanda?" Chiese.

"Me ne hai appena fatta una" informai.

"Allora te ne farò un'altra" disse.

"Ti piaccio ancora?" chiese.

Mi voltai verso di lui. "Credi che sarei qui ora se non mi piacessi?" ricambiai la domanda.

"Ma Duncan-" lo interruppi.

"Lui non è te e per quanto possa essere carino, dolce e simpatico, non prenderà mai il tuo posto" confessai.

"Ma allora perché mi respingi tutte le volte che mi avvicino a te?" chiese confuso.

"Suppongo per paura o per dispetto, mi piace litigare con te" dissi divertita.

"Si, litigare con te è molto eccitante, devo ammetterlo" rise.

"Mi piace anche essere qui in questo momento" affermai.

"Questo è sicuramente uno dei momenti migliori da quando sei tornata" confermò.

"Pensavo che il momento migliore fosse quando mi attaccasti al tuo letto" risi.

"Quello è il secondo" rise.

"Il più brutto qual'é stato?" chiesi.

"Quando in piscina hai detto che il tuo cuore non mi voleva più" rispose amareggiato.

"Cosa è potuto succedere tutto questo tra di noi?" chiesi retorica.

"Ogni cosa sembrava perfetta, ma poi è cambiato tutto" affermai.

"Tutto ritornerà meglio di prima, te lo prometto" mi strinse a se.

Rimanemmo in silenzio, chiudemmo gli occhi e cercammo di addormentarci. Credevo nelle sue parole, le cose si sarebbero aggiustate, ma avevo tanta paura, tanta. Questo faceva di me una codarda, una vigliacca e non la donna forte che tutti temevano. Il fatto è che tutti hanno paura, nessuno escluso. La paura fa parte di ogni essere umano, è il più meschino dei sentimenti. Io non so in che modo funzioni la mia testa, ma ho notato una cosa quella notte. Quando dormivo da sola mi svegliavo-
un un sacco di volte e poi non riuscivo più ad addormentarmi e stavo a girarmi nel letto per ore, e quando invece ho dormito nel suo letto quella notte, questo non è successo.Non so se a causa del materasso ad acqua, o forse per altro.Notai che mi abbracciava,teneva la sua testa su mio petto e io stavo bene,la notte era tranquilla.Non c'erano pensieri, non c'erano i problemi, non c'erano urla e litigi, c'era solo il nostro respiro. Lui dormiva accanto a me e io avevo il sorriso stampato sulla faccia.

----------------------------------------------xxale

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