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Parcheggiamo davanti a un posto che non vedevo da troppo tempo. Il portico cadente, i muri scrostati e imbrattati, la scritta al neon un po' distrutta. Non era meso così male, mesi fa. 

-Che diavolo è successo al locale di Buck?-. Smontiamo, Shay si stiracchia. -E' un po' a corto di soldi in questo periodo, e non può permettersi una ristrutturazione-. 

-Shay, questo posto cade a pezzi. Se non lo fa riparare gli ispettori lo faranno chiudere, anche un idiota si accorgerebbe che non è a norma-. Lui fa una smorfia. -Lo so, e lo sa anche Buck. Te l'ho detto, non è un bel periodo per lui-. Immediatamente capisco. Buck ha sempre avuto il vizio del gioco, deve aver avuto parecchie mani sfortunate. Diciamo un bel po'. Non appena entriamo, una marea di ricordi mi sommergono. Sono quasi tutti piacevoli, per fortuna. Ho passato innumerevoli pomeriggi in questo posto, a giocare a biliardo o dando una mano dietro al bancone. 

-Che mi venga un colpo se questa non è Vicktoria Haim-. Mi volto a quella voce familiare, e mi ritrovo stritolata in un abbraccio ancor più familiare. Buck è un ragazzone di trentacinque anni, alto quasi due metri. Profuma ancora di legno e birra. Lo stringo, sorridendo come un idiota. 

-Che bello vederti- dico sincera. Lui si stacca e mi guarda bene in faccia. Noto che sembra più vecchio. E' sempre un uomo attraente, ma delle rughe hanno iniziato a incupire l'espressione degli occhi castani e della bocca tirata. E' grigiastro. -Guarda come sei bella, Vicks. Diventi sempre più bella-. Sorrido. 

-Venite, vi offro qualcosa-. Buck piazza due belle birre davanti a me e Shay. Non è ancora ora di pranzo, santo cielo. Probabilmente qualche mese fa ci sarei andata giù molto più pesante. 

-Allora, Vickie, cos'è questa rempatriata?- mi chiede senza malizia. Arrossisco imbarazzata. 

-Mi sento così in colpa. Non mi sono più fatta sentire, mi dispiace moltissimo Buck-. 

-Hey, stai scherzando? Guardati. Un anno fa eri una specie di zombie, adesso sembri finalmente una ragazza della tua età. Sei rifiorita. Non posso che essere felice per te, davvero. Ti invidio molto-. 

Lo guardo meglio, e capisco. Ancora cocaina. Dannazione, non ci sono persone a cui voglio bene che non abbiano mai toccato la droga? -Ho smesso- dice, come se mi stesse leggendo nel pensiero. -E' dura, ma ce la sto facendo. Frequento un centro diurno, sembra funzionare-. Sorrido sollevata. -Bene. Non sai quanto mi fa piacere sentirlo-. Passiamo a discorsi più leggeri, e il tempo vola. Mi mancava chiacchierare con questi due, riescono ancora a mettermi di buon umore, a farmi sentire in famiglia. -Come va con tuo padre?- 

La domanda è una secchiata d'acqua gelida. -Come sempre. Non lo sento da un paio di mesi adesso, l'ultima volta mi ha chiamato per dirmi che gli devo ancora dei soldi per la clinica di riabilitazione-. 

-Cazzo-.

-Che figlio di puttana- Infierisce Shay. -Vickie, lo sai che non devi dargli importanza, vero? E' un capitolo morto e sepolto della tua vita-. Mi intristisco. Mia madre è morta quando avevo dodici anni, penso che sia partito tutto da lì. Io ho iniziato a bere un anno dopo, mio padre si è fatto una nuova famiglia, lasciandomi con suo fratello. Per inciso, mio zio era un cocainomane in perenne stato catatonico o ansiolitico. Posso tranquillamente dire di essere cresciuta più con Shay, e Hanna che con lui. Hanna ha un paio di anni più di me, sono andata ad abitare con lei e Kyle appena compiuti diciotto anni. Appena mio zio ha tirato le cuoia. Mio padre mi ha pagato a malincuore le spese della clinica, per disintossicarmi. Mi chiama ogni mese per riavere i soldi. Si può essere più bastardi di così?

Faccio spallucce. E' da quando è morta mia madre che lui ha smesso di interessarsi a me, forse ha pure cominciato a odiarmi. Magari gliela ricordavo troppo. Sono passati anni dall'ultima volta che l'ho visto, ma fa sempre male. 

Salutiamo Buck con la promessa di tornare, e io mando un messaggio a Kyle. 

Sto fuori a pranzo, non aspettarmi. Baci.

In macchina io e Shay non parliamo, ognuno perso nei propri pensieri. Sono bastati un incontro con Buck e Shay a riportare a galla tutti i miei peggiori ricordi, sepolti ormai da moltissimo tempo. Erano mesi e mesi che non pensavo a mia madre, alla mia tragedia familiare. Non sono una di quelle ragazze che si piange addosso, odio la debolezza. Ma per affrontare tutti i disastri avvenuti nella mia vita ho sempre bisogno di analizzarli bene, di analizzare costantemente me stessa. E' stata la mia psichiatra, alla clinica, a insegnarmi a farlo. Mentre mi disintossicavo stavo curando anche una forma molto acuta di disturbo depressivo. Quasi nessuno sa che la depressione è una malattia mentale. Si dece spesso "sono depresso" per indicare uno stato d'animo triste o abbattuto. La depressione è la cosa più lontana che ci sia dalla tristezza. La depressione ti paralizza, ti risucchia ogni voglia di vivere e di sentire, e alla fine non senti davvero più niente. Nè tristezza, nè gioia, nè abbattimento. Niente. La depressione è la forma più pura di dolore che possa sperimentare un essere umano. 

Il fatto che sia riuscita a uscirne viva mi ha completamente cambiata. Sono sempre Vickie, come ha detto Shay, ma sono diecimila volte più forte. Mentre guardo fuori dal finestrino passo a pensieri un po' meno morbosi. Mi agito. Tra poco dovrò stare con quel coglione di Hummer in uno spazio ristretto come l'appartamento di Shay. Mi permetto di immaginarmi per un attimo come sarebbe baciar quelle labbra peccaminose, come sarebbe sentirle sulla palle, sentirle scorrere dal collo al ventre, ancora più giù. Scommetto che ha fatto urlare il suo nome a decine di ragazze, in quel modo. Avvampo. Devo piantarla. "Piantala, Vickie". Come se l'autoradio mi avesse letto nel pensiero, inizia a trasmettere Dirt, dei Depeche Mode. Niente di più azzeccato. Ma finchè restano fantasie va bene, giusto?

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