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Un altro aereo, un'altra volta che non tornavo a casa.
Nei giorni prima della fine della scuola non avevo mangiato nulla. Continuavo solo a torturarmi pensando a come potesse essere Benjamin in quel momento.
Camminavo solo con le cuffie nelle orecchie e avevo paura di incontrare qualcuno che mi fermasse per parlare. Avevo ignorato il mio telefono per ore. Si era fermato tutto. Tutto il mio mondo. Ed io mi chiedevo come potesse il mondo fermarsi per una persona ma andare avanti per miliardi di altre nello stesso tempo. Aspettavo solo di prendere quell'aereo che mi avrebbe portata più vicina a lui, nonostante Fede mi avesse detto che era tenuto strettamente sotto controllo nel reparto di terapia intensiva, in coma e collegato a più di cinquanta macchinari.
Ogni volta che ripensavo alle sue parole, sussurrate come se avesse paura di dirle, non c'era nulla da fare. Scoppiavo a piangere nella penombra della mia camera ormai vuota esattamente come me. Da quando Fede mi aveva parlato l'ultima volta, avevo sentito qualcosa di gelido penetrarmi dentro e privarmi di tutto.
Fu un miracolo il fatto che non piansi durante le ore di volo. Mi limitavo a guardare il vuoto e ad ascoltare a ripetizione l'ultima canzone che mi aveva fatto sentire. Provavo e riprovavo ad immaginare la mia reazione una volta davanti a lui, ma vedevo solo altre lacrime.
Scesi dalla scaletta dell'aereo sentendo l'aria calda scivolare sulla pelle.
Dovevo raggiungere l'ospedale il prima possibile. Non volevo nemmeno posare le valigie, volevo solo andare lì vicino a Benjmin e stringergli la mano. Anche se non mi avrebbe visto.
Federico era già lì.
Era stato il primo a partire.
Non appena lo vidi, dovetti fare uno sforzo immenso le non piangere.
Mi riportava inevitabilmente a Benjamin. Avevano gli occhi uguali, e in più portava la su chitarra in spalla. -Mi aveva chiesto di portargliela qui prima che..- Spiegò. O perlomeno ci provò.
-Possiamo andare in ospedale?- Momorai con un filo di voce.
Lui annuì e basta. Tentava di nasconderlo, eppure quello che era successo aveva scosso anche lui. Ma io stavolta no. Non sei più forze le fingere di stare bene. Volevo lui a proteggermi, lui che non c'era.
Dopo quella che sarà stata un'ora, arrivammo in un corridoio vuoto. C'erano solo delle sedie blu attaccate al muro. E, sul fondo, una porta sormontata da una scritta.
Terapia intensiva.
Metteva i brividi solo a guardarla, e mi distruggeva l'idea che Benjamin fosse rinchiuso lì dentro.
Perché proprio a lui?
Se doveva succedere ad uno dei due, avrei preferito che fossi io.
Io non ero importante per così tante persone come lo era lui.
Qual'era l'ultima cosa a cui aveva pensato, prima di cadere svenuto?
Ero quasi certa che avesse le cuffie nelle orecchie, come sempre. Che cosa stava ascoltando?
Era felice o triste di ritornare lì?
-Soph, a che stai pensando?- Scossi la testa nel sentirmi chiamare così. Era Federico. Aveva suonato il campanello vicino alla porta, che avrebbe avvisato un medico di venire ad aprire. Mi guardava con quegli occhi poco diversi da quelli di Ben. Non erano gli stessi, eppure erano simili.
Distolsi lo sguardo.
-Com'è successo?- Chiesi a bassa voce, fissando in modo ostinato il pavimento.
-Stava tornando al suo appartamento qui a Sydney. Il taxi ha incontrato la macchina di un ubriaco e.. È successo quello che è successo. Benjamin ora è qui, l'autista pure, e il guidatore dell'altra macchina in stato confusionale con qualche osso rotto.-
Strinsi gli occhi fino a quando sentii le lacrime bloccarsi.
-E.. Sophia.. C'è un'altra cosa. Al momento dell'incidente, in realtà lui era al telefono con me. Aveva cercato di chiamarti, ma non rispondevi. Allora ha chiamato me. Diceva che aveva qualcosa di importante da dirti, che dovevo immediatamente dirtelo io se lui non fosse riuscito a contattarti. Ma poi è caduta la linea. E..-
Le porte si aprirono, interrompendolo.
Un infermiere fece la sua comparsa di fronte a Fede.
-Posso esservi utile?-
-Voremmo vedere Benjamin Brian Mascolo.- Disse Fede prendendomi per il polso e portandomi accanto a lui.
-Mi dispiace, ma siete fuori l'orario di visita. A quest'ora solo i familiari possono entrare.-
-Senta. Lei è la sua fidanzata, ed io il suo migliore amico. La su famiglia non c'è perché prima che si muovano cascherà il mondo, per cui, ora, ci faccia entrare.- Disse Fede a denti stretti.
L'uomo alzò gli occhi al cielo, ma nonostante tutto sembrò capire quanto contava Ben per le persone che si trovava davanti.
E diamine se contava.
Era almeno tre quarti del mio cuore.
-In questo caso, aspettate un attimo. Stiamo aspettando un trasferimento.-
Le porte si richiusero.
Tornai al mio posto, continuando a fissare il pavimento.
Fede si infilò le cuffie nelle orecchie ma non si sedette. Continuò a camminare avanti e indietro, tamburellando le dita su una gamba e guardando basso come me.
Anche io dopo un po' misi le cuffie.
Di canzoni ne avevo ascoltate poche aspettando che l'infermiere tornasse. La maggior parte si erano susseguite  facendosi sentire ma non ascoltare veramente.
Per poco non sentii nemmeno le porte che si aprirono.
-Potete entrare uno alla volta.- Ci informò semplicemente.
Fede mi guardò. I mie occhi lucidi chiedevano solo di vederlo.
-Vai.- Mimò con la bocca.
Accennai un sorriso come per ringraziarlo e seguii l'infermiere in una porta laterale. Mi ritrovai in una piccola stanza dai muri bianchi.
-Lavati le mani e infilati i calzari. Vado a prenderti una mascherina e torno.-
Feci quello che mi aveva detto prima che tornasse.
Mentre mi fissava la mascherina alla testa, disse:-Perdonami, avrei dovuto dirtelo prima, ma i minorenni possono entrare, in via eccezionale, solo se accompagnati. Devo chiamare il tuo amico.-
-Io ho diciotto anni.- Dissi da sotto lo strato plastico della mascherina.
Lui mi guardò con aria interrogativa. -Non sembrerebbe, sai? Sembri più piccola della tua età.-
Cercai di sorridere. Lo facevo sempre quando non trovavo le parole, anche se in realtà non ero felice. Eppure non serviva un sorriso falso per migliorare le cose.
-Sai cosa ti aspetta?- Chiese ancora l'infermiere.
Alzai leggermente le spalle. -Credo di sì..-
Ma in realtà, solo dopo mi accorsi che no, non lo sapevo che cosa mi aspettava.
Non ne avevo la più minima idea.
L'uomo di fronte a me si mosse, ed io entrai.

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e boh, mi sembra che nemmeno scrivere mi esca più bene.

vi piace?

p.s. complimenti SharonPivetta per la pubblicazione del tuo libro, sono molto contenta per te. spacca tutto e grida ai quattro venti che ce l'hai fatta, come un giorno spero di fare anch'io. :)

without you / benjamin mascoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora