⊱babyblue

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BTSᴺᴱᴵᴹᴱᴰᴵᴬ

Park Jimin/박지민
AZZURRO

C'era troppo sole quel pomeriggio del due giugno. La casa era più luminosa del solito e l'odore salato del mare sembrava essere così vicino da poter già sentire pizzicare le narici.

Il caldo afoso era alle porte e con lui era anche arrivata l'aria fresca estiva e la spensieratezza delle tanto aspettate vacanze. Il vecchio costume di Jimin gli stava stretto dalla vita mentre le sue allegre maglie dai colori pastello erano diventate corte e imbarazzanti. Stava crescendo a vista d'occhio ma questo non gli recava alcun fastidio, poiché esausto dalla scuola, Jimin aveva solo voglia di gustarsi il suo panino con sopra spalmata della marmellata d'arance e ascoltare il sottofondo indistinto delle voci provenienti dalla televisione accesa.

«Jimin-ah» la madre di Jimin si avvicinò alla TV per cambiare canale «Ti ho preparato un sandwich e un bicchiere di latte, guarda la TV mentre io sarò dalla zia, ok?»

Jimin annuì con la testa e rimase seduto davanti al tavolo del soggiorno con in mano dei vecchi colori a spirito. «Eomma» la chiamò quando la vide di spalle davanti la porta di casa. I suoi capelli neri erano legati in una coda bassa, qualche ciuffo ribelle gli arrivava al viso, quel suo aspetto insolito gli donava un'aria più triste e trasandata.

«Mh?» La tristezza sul volto di sua madre era più che evidente, i suoi occhi erano stracolmi di lacrime che stava cercando di trattenere ma Jimin era un bambino fin troppo sveglio per non riuscire ad accorgersene.

Jimin indicò il suo libro da colorare «puoi comprare altri di questi?» gli chiese sorridendo.

Sua madre annuì per poi abbassare lo sguardo verso la moquette. «Aspettami e non farmi preoccupare, io tornerò a casa prima delle sette» le raccomandazioni  erano inutili per Jimin, era già un bravo bambino: troppo sveglio per la sua innocente età, sapeva già come badare a se stesso e sopratutto aveva già intuito ciò che stava per succedere alla sua vita.

Jimin aveva sentito la chiamata che aveva ricevuto la madre alcuni minuti prima, la porta della stanza matrimoniale non era riuscita a contenere il pianto della povera donna. Così, era corso al secondo piano in punta di piedi e coraggiosamente riuscì ad alzare la cornetta del telefono per origliare la chiamata. Niente di buono. Era l'ospedale: suo padre si trovava lì, in coma e disteso su una barella, con delle flebo attaccate al braccio e con l'incertezza di non poter più ritornare a casa.

Ma Jimin era un bravo bambino e proprio per questo motivo aveva recitato bene la sua parte.

Ecco perché quando sua madre chiuse la porta, lui iniziò a bagnare con cristalli di lacrime tutti i fogli ingialliti sotto il suo mento. Pensò al viso sereno di suo padre e al sorriso di sua madre catturato in quella vecchia foto appesa sopra al camino. Vestita con un elegante abito bianco, con i capelli scuri raccolti in un raffinato chignon e con gli occhi bendati da un nastro rosso di infinito amore.

Li avrebbe più rivisti? Quegli occhi brillanti di felicità? Adesso per sua madre doveva diventare un soldato e combattere contro ogni avversità, come faceva suo padre. Ma dove si trovavano le armi per combattere la tristezza? Esistevano davvero?

Si ricordò di quella strana canzone dei Pink Floyd che ascoltava sempre suo padre, delle parole che gli aveva gentilmente tradotto. "In realtà non c'è nessun lato oscuro della luna. Di fatto è tutta scura. L'unica cosa che la fa sembrare luminosa è il sole." Quindi, era vero, la luna in sé non aveva poi nessun colore, era totalmente buia, l'unica cosa che riusciva a farla brillare era il sole. Jimin era solo un bambino ma tutta la sua realtà si frantumò davanti ai suoi occhi quel caldo pomeriggio di giugno. Aveva conosciuto il dolore troppo presto e forse non era ancora pronto per tutta la bufera che stava per arrivare.

RESILIENZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora