Capitolo 2. Il piano di Hermione

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  Hermione cercò inutilmente di liberarsi da quella stretta ferrea, scalciando e dimenandosi, e mugugnando per dare voce alla sua contrarietà, nonostante quella mano bianca e fredda che le tappava con forza la bocca. Agitava le gambe mentre lo sconosciuto la trascinava lungo un'apertura della roccia che lei non aveva visto – complice il buio o forse una magia che non aveva avvertito – pochi metri più indietro rispetto alla fine del corridoio. Avvertiva chiaramente il calore del corpo contro cui era stretta, e il profumo deciso e arrogante di acqua di colonia – sembrava muschio, pensò Hermione – nonché il respiro affannoso dello sconosciuto, che continuava a trascinarla senza emettere neanche un suono o tradire alcuno sforzo: la presa continuava ad essere d'acciaio, e non si allentò minimamente, almeno fino a quando non si fermarono. Solo allora l'ignoto rapitore avvicinò le labbra all'orecchio della ragazza e parlò.
«Ora ti lascio. Non urlare»ordinò con voce decisa e familiare. Hermione avvertì la stretta farsi più lenta, gradualmente e con cautela, come se lui temesse una sua ritorsione e si tenesse pronto ad avvolgerla di nuovo in quell'abbraccio poco cortese. Una volta libera, la giovane riprese fiato e si ricompose, poi con dignità cercò di distinguere il viso dell'uomo che l'aveva portata sin lì: la sua voce le era sembrata conosciuta, ma la speranza che si era formata dentro di lei forse era troppo ardita. Lui si allontanò di un paio di passi, e, in silenzio, rassicurato probabilmente dal fatto che lei non aveva gridato ed aveva mantenuto la calma, mormorò: «Lumos». Una luce biancastra si sprigionò dalla punta della sua bacchetta, tesa davanti a sé, illuminando il luogo in cui i due si trovavano ed accarezzando con chiarore candido il viso della ragazza, che socchiuse gli occhi, feriti dalla luce dopo tutti quei minuti di impenetrabile buio.
«Granger?!»trasalì lo sconosciuto, il tono a metà tra il sorpreso e il nervoso. La luce baluginò per un attimo, quasi fosse sul punto di spegnersi, per poi risplendere ancora ed illuminare gli occhi decisi della ragazza, che brillarono di determinazione: non c'era sorpresa, né paura, in quello sguardo.
«Dammi la bacchetta»disse solamente lei, tendendo la mano. Il ragazzo non si mosse: rimase immobile a qualche passo da lei, il braccio teso davanti a sé e la bacchetta a illuminare quel luogo buio che odorava di muffa e umidità. Il suo profilo era appena rischiarato dalla luce, ma Hermione poteva chiaramente distinguere i capelli biondi, il viso pallido e affilato, e gli occhi grigi appena rischiarati dal bagliore dell'incantesimo.
«Dammi la bacchetta, Malfoy»la ragazza fece un passo avanti, decisa, ma lui si ritrasse, mantenendo la bacchetta puntata su di lei, minaccia velata ma chiarissima. Lei sbuffò, scocciata.
«Come sei arrivata qui?»domandò lui senza attendere che il silenzio calasse tra di loro, la voce incrinata dal sospetto e da qualcosa di meno definibile che lei interpretò come paura.
«Che domanda idiota»commentò Hermione a voce abbastanza alta perché fosse ben udibile dal giovane, ma abbastanza bassa perché sembrasse un pensiero sfuggito per sbaglio dalle sue labbra.
«Non provocarmi, Granger»Malfoy digrignò i denti, arrabbiato «Non sei nella posizione»e sventolò la bacchetta in aria. La ragazza scosse ancora una volta il capo.
«Come vuoi che ci sia arrivata? Ho scoperto il passaggio»Anche se il buio li avvolgeva come una coperta fredda, squarciata solo dalla luce della bacchetta di Malfoy, ad Hermione sembrò di vedere un lampo di paura negli occhi del ragazzo. «Sono da sola. Ho sigillato tutte le porte della stanza prima di aprirlo»lo rassicurò dopo qualche istante. Lui parve incoraggiato da quell'affermazione, anche se la sua espressione era ancora incrinata dal sospetto. Non parlò, né si mosse: si limitava a fissarla nella penombra di quel luogo sconosciuto, il petto che si alzava e abbassava velocemente al ritmo del suo respiro, o forse a quello dei suoi pensieri frenetici. Probabilmente stava valutando le possibilità che aveva.
«Sono qui per aiutarti, Malfoy.»disse Hermione dopo alcuni minuti di silenzio, minuti durante i quali non avevano fatto altro che fissarsi a vicenda, indecisi entrambi se fidarsi o meno. «Non ti consegnerò agli Auror. Non avrei agevolato la tua fuga se avessi voluto vederti in prigione»continuò con tono calmo e sincero. Gli occhi del giovane si sgranarono, e qualcosa nella sua espressione cambiò: i lineamenti si tinsero di sincera sorpresa, a quell'affermazione.
«Tu?»boccheggiò, incredulo. Lei annuì.
«Ed Harry»aggiunse. Lui fece un evidente smorfia di contrarietà, ma non replicò. La ragazza, in tutta risposta, trasse un profondo respiro, quindi tese la mano, il palmo aperto verso l'alto, gli occhi color cioccolato fissi in quelli di lui, con una tacita domanda che galleggiava in quegli universi scuri. Il corpo del giovane si irrigidì impercettibilmente, gli occhi stretti nel sospetto e le labbra serrate tra di loro in una palese dimostrazione di nervosismo. Dopo minuti che sembrarono eterni, fece un passo verso di lei e le consegnò la bacchetta che le aveva sottratto; sembrava lottare contro se stesso, mentre compiva quel gesto. Hermione lo ringraziò tacitamente con gli occhi, e, una volta ottenuta la bacchetta, la agitò in aria mormorando qualche parola: dalla punta della bacchetta scaturirono fiammelle bluastre che svolazzarono placidamente intorno ai due e si disposero in vari punti del luogo, illuminandolo di una luce opaca e fredda. Non appena Malfoy vide la ragazza agitare la bacchetta si ritrasse, e istintivamente urlò l'incantesimo di protezione, gli occhi sbarrati dell'angoscia; ricevette in cambio solo lo sguardo perplesso e infastidito della giovane strega, che lo fissò con aria di sfida per qualche istante, prima di spostare lo sguardo intorno a sé per osservare meglio il luogo in cui lui l'aveva portata. Era una stanza circolare, priva di arredamento se non una vecchia branda logora e uno sgangherato tavolino a tre gambe su cui era appollaiata una brocca di latta ammaccata; da una parete penzolava una catena macchiata di quello che sembrava sangue, e il vano era separato dal corridoio da una porticina di ferro battuto che aveva l'aria di essere il cancello di una prigione.
«Segrete?»mormorò Hermione con orrore, spostando lo sguardo su Malfoy, gli occhi sgranati della sorpresa e da un sentimento indefinibile che le artigliava lo stomaco. Lui non rispose, si limitò a fare una smorfia e voltarle le spalle, avvicinando il viso a una delle fiammelle che la ragazza aveva evocato. Trasse un respiro profondo, poi, senza guardarla, domandò con tono piatto: «Perché?».
La giovane si portò un ricciolo dietro l'orecchio, gli occhi ancora fissi sul biondo, ad esaminare ogni suo movimento, ogni suo gesto, ogni parola o espressione. Era più magro di quanto lo ricordasse, ma nonostante l'ambiente in cui viveva sembrava pulito, e ben vestito; solo una piccola macchia di fuliggine gli sporcava i lineamenti decisi. Il consueto pallore del suo volto si era accentuato ancora di più, e ogni forma di luce era scomparsa dai suoi occhi; per il resto, però, era sempre il solito Malfoy, l'espressione perennemente arrogante e il ghigno sardonico a increspare le labbra. Incrociò il suo sguardo, e lesse qualcosa, nei suoi occhi, un bisogno urgente e indefinibile a cui avrebbe voluto dare risposta, ma che il tempo non permetteva di soddisfare.
«Devo andare»sussurrò lei, senza rispondere alla sua domanda. Stava per avvicinarsi alla porticina, quando una mano le artigliò il braccio, e lei fu costretta a voltarsi, trovandosi il viso del giovane a pochi centimetri dal suo: la inchiodò con lo sguardo, gli occhi grigi di lui che trafiggevano quelli color cioccolato di lei, come se volesse scovare tracce di menzogna, o forse la possibilità di una speranza, in quel mondo impenetrabile che dopo interminabili giorni di prigionia e solitudine erano gli unici che vedeva. Hermione si liberò con determinata dolcezza da quella stretta, abbassando lo sguardo.
«Tornerò, Malfoy. Ho un piano.»disse solo, quindi gli voltò le spalle, e spinse con delicatezza il cancelletto, che si aprì con un lento e cupo cigolio. Si fermò sulla soglia di quella stanza circolare, e lo guardò per l'ultima volta, le labbra socchiuse, come a voler trattenere le parole che lottavano per uscire. Alla fine sospirò, e scuotendo il capo tornò sui suoi passi, la bacchetta alzata dinnanzi a sé a illuminare di un bagliore bianco il corridoio spoglio e buio.

IL FANTE DI PICCHE E LA DAMA DI CUORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora