Capitolo 10. La follia di George

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Hermione osservava il cielo con sguardo apprensivo, il cuore in tumulto e le mani sudate; si rigirava la bacchetta tra le dita con nervosismo, e di tanto in tanto lanciava uno sguardo preoccupato a Draco, che, al contrario di lei, sembrava perfettamente padrone della situazione, persino indifferente a ciò che di lì a poco sarebbe successo. Erano partiti all'alba dalla Rocca del Serpente, e celati dal Mantello dell'Invisibilità avevano camminato a lungo tra le vie di Godric's Hollow, accompagnati dalla calura estiva, da una vicinanza obbligata ma che a nessuno dei due dispiaceva, e dai lamenti di Malfoy, che trovava disgustoso il fatto che si trovasse nel villaggio natio del fondatore della Casa a lui più avversa. Avevano passato ore a camminare sotto il sole cocente, coperti da quella stoffa troppo pesante per la calura estiva, e infine, vinti dall'arsura, avevano deciso di nascondersi in un luogo fresco ed aspettare che succedesse qualcosa, perché erano certi che, se i Mangiamorte fossero arrivati, la cosa non sarebbe passata affatto inosservata. In realtà, era stato più che altro Malfoy a trascinarla fuori dal villaggio, su per una collina isolata e poi dentro una grotta fresca e umida ai piedi della quale si snodava Godric's Hollow: da quella prospettiva potevano vedere il paesino e tenere d'occhio la situazione senza essere visti. Non avevano parlato tutta la mattina: Malfoy l'aveva decisamente ignorata, e alla fine Hermione, spazientita e provata da quel silenzio teso e imbarazzato che si era creato dopo la notte precedente, aveva afferrato il Mantello dell'Invisibilità ed era scesa sino al villaggio per procurarsi qualcosa da mangiare. Aveva avuto tutto il tempo di rimuginare sulla sera prima, senza l'opprimente presenza di Malfoy, che gli rendeva impossibile pensare lucidamente. Si era persino resa conto che, nonostante la grotta fosse decisamente più fresca del Mantello dell'Invisibilità, aveva molto più caldo dentro quel nascondiglio improvvisato che non celata da quella stoffa – lontana da lui. Quando era tornata, con sua grande sorpresa, Malfoy non solo l'aveva guardata ma le aveva anche rivolto la parola.
«Non saresti dovuta venire» Il suo sguardo distaccato era fisso su di lei, ed Hermione era certa di leggervi qualcosa di molto simile alla preoccupazione. Quel cambiamento repentino l'aveva spiazzata. Le sue parole le erano parse assurde, in quel momento, molto più che la sera prima, quando, presa dalla situazione, aveva solo provato un profondo moto d'affetto – affetto, chiamiamolo affetto – e di compassione, e di gratitudine, per lui. Ma ripensando a mente lucida a questa sua affermazione, risultava alquanto dissonante con il suo carattere, soprattutto considerando che non aveva dimostrato il benchè minimo interessamento a lei, durante il giorno: l'aveva trattata con il solito sprezzo, forse persino con una punta di indifferenza in più rispetto al solito.
Sembrava quasi che il loro rapporto procedesse a rilento: un passo avanti, due indietro. Hermione si trovò a domandarsi dove sarebbero arrivati continuando in questo modo; scosse il capo, e arrossendo appena per nessun motivo in particolare, sbuffò.
«Non dureresti nemmeno un minuto senza di me» disse con tono serio, porgendogli un paio di mele. Lui fece una smorfia, ma accettò senza dire una parola, a differenza della ragazza che si trovò in diritto di replicare.
«Non fare quella faccia, la cucina non può offrire di meglio al momento» sbottò acida. Lo sguardo di Draco, prima puntato sul frutto dalla buccia rossa e lucida, si spostò sulla giovane, quasi sgranato dalla meraviglia di quell'affermazione, vuoto e un po' sorpreso. La credeva più intelligente. Perché in realtà, quella smorfia era dovuto alla sua asserzione, e non al cibo da lei offerto. Anzi, aveva quasi avuto la tentazione di ringraziarla, ma il fatto che lei fosse convinta che fosse un bambino viziato – cosa che, in effetti, era – gli aveva fatto passare la voglia. Sbuffò, dopodichè diede un morso a una delle mele, sbocconcellandola sotto lo sguardo attento e un po' confuso della giovane.
Si avvicinò a lei dopo molti minuti di silenzio, e le si sedette accanto senza dire una parola. Hermione lo fissò a lungo, spaesata, aspettando che lui dicesse qualcosa, il cuore improvvisamente palpitante per motivi del tutto diversi dalla paura.
«Penso che sia il caso che mi insegni quella magia» mormorò con tono incolore, senza nemmeno guardarla negli occhi: aveva lo sguardo perso, dritto dinnanzi a sé. La ragazza, invece, lo fissava confusa e spaesata.
«Quale magia?» domandò incerta. Draco spostò finalmente gli occhi su di lei, ma la sua espressione non mutò: rimase imperturbabile, eppure in fondo a quelle iridi cineree sembrava agitarsi una tempesta di contrastanti pensieri.
«Il Patronus» replicò in un sospiro stanco. Hermione sgranò gli occhi, e il suo viso si illuminò di consapevolezza, anche se la sorpresa per quella richiesta era ben visibile nell'espressione di stupore che le aveva contratto il volto. Tuttavia, senza commentare minimamente, si alzò in piedi e gli fece segno di fare altrettanto. Il ragazzo obbedì senza repliche, e la affiancò, il corpo rivolto verso l'uscita della grotta ma lo sguardo puntato su di lei.
«Il Patronus è un guardiano che...» cominciò a spiegare con tono saccente, ma Draco sbuffò e la interruppe.
«Ti prego, risparmiati Granger. Odio ripetere che sei un'insopportabile sotuttoio» commentò con tono acido, fissandola con aria di sfida. La giovane si corrucciò, ma non si scompose più di tanto.
«E invece se vuoi imparare devi ascoltare» replicò con sussiego, e nel suo sguardo c'era la stessa provocazione che aveva lui, poco prima di vederla negli occhi di lei; forse fu quello a fargli abbassare la guardia: sembrò sparire quell'intimidazione insita in lui, in ogni suo gesto, e si placò. Il ragazzo strinse le labbra, per costringersi a non rispondere, e le sue iridi si spostarono sul cielo luminoso del primo pomeriggio. Hermione, sorpresa da quell'insolita obbedienza, trasse un respiro profondo.
«Il Patronus è magia molto avanzata. A volte si manifesta sotto forma di uno scudo argenteo, ma più spesso assume una struttura ben definita. In questo caso di definisce Patronus corporeo, e assume una forma diversa per ciascuno di noi, una forma che spesso definisce le nostre note caratteriali e comportamentali, o che più semplicemente ha un significato particolare. Si tratta di un guardiano evocato per proteggerti» spiegò con professionalità, guardandolo fisso negli occhi. Draco inarcò un sopracciglio, ricambiando il suo sguardo con scetticismo. Hermione sbuffò, e roteò gli occhi scocciata, poi, tentando di ignorarlo, continuò: «Per evocarlo non devi far altro che concentrarti su un ricordo. Deve essere un ricordo particolarmente felice, il più felice che riesci a trovare dentro di te. Poi pronuncia la formula»
A quelle parole, Draco sgranò gli occhi e spalancò la bocca, incredulo. Inarcò a tal punto le sopracciglia, che queste sparirono sotto un ciuffo di capelli biondissimi.
«Ricordi felici?» ripetè scandendo le parole con una lentezza incerta e dubbiosa: adesso la guardava davvero negli occhi, con profondità, con scetticismo.
«Ricordi felici» annuì Hermione, e sul suo volto si aprì un leggero sorriso.
«Stai scherzando» il ragazzo scoppiò a ridere, certo che le parole appena pronunciate dalla giovane fossero solo uno scherzo ideato per prenderlo in giro e vendicarsi dell'offesa di poco prima. Quando, però, dopo che anche l'ultima eco della sua risata si fu spento, la guardò di nuovo negli occhi, la sua espressione furba e divertita gli fece sorgere il dubbio che non fosse proprio come pensava. «Per le mutande di Merlino, Granger, è una talestronzata» sbottò, scandalizzato dalla nuova consapevolezza. Stavolta fu Hermione a scoppiare a ridere.
«Avanti, prova» propose tra una risata e l'altra. Quella situazione la divertiva più di quanto fosse lecito alla loro situazione: la paura sembrava svaporata in quella complicità un po' distaccata, pareva sepolta sotto strati di improvvisa, quieta dimenticanza. Era quasi rilassante tornare nel suo territorio: quello della conoscenza. Per di più, quei battibecchi, insieme agli atteggiamenti distaccati e sprezzanti che entrambi assumevano l'uno nei confronti dell'altro, facevano naufragare gli avvenimenti della sera prima in una nebbia confusa e distante; sembrava quasi che fosse tutto stato dimenticato, che non fosse mai accaduto niente. Ma era accaduto, e la lontananza che entrambi cercavano di mantenere tra i loro corpi, che pur si cercavano inconsapevolmente in ogni gesto, lo testimoniava.
«Expecto Patronum» scandì Draco a voce alta, agitando la bacchetta in aria con un movimento fluido e disinvolto: il suo volto era contratto dalla concentrazione, il suo sguardo fisso su un punto imprecisato del cielo. Un lieve lampo argenteo illuminò la grotta, ma fu un chiarore appena accennato che si spense prima ancora di poter brillare nella sua pienezza. Il ragazzo sbuffò, e le lanciò un'occhiata, infastidito da quel fallimento, da quella debolezza. Ma lei non sembrava affatto soddisfatta, o compiaciuta per quel piccolo fiasco: lo guardò con un sorriso, e lo incitò, paziente, gentile, a provare ancora.
«Ci vuole un ricordo più felice» si limitò a dire, e lui sospirò, insolitamente sottomesso. Si concentrò di nuovo, e scavò nella sua mente alla ricerca di qualcosa di efficace, deciso a riuscire in quello scoglio: sentiva, tangibile, la possibilità che i Dissennatori fossero presenti, quel giorno. Questo riempì il suo cuore di un'angoscia nuova che gli rese impossibile concentrarsi su ricordi felici. Ricordi felici, che stronzata! E poi, che ricordi? Non aveva ricordi felici, lui. Non riusciva a ricordare un solo momento felice. Forse una pallida gioia, ogni tanto, magari quando era riuscito a mettere nei guai Potter, a vincerlo in qualche modo. Ma era più che altro una crudele soddisfazione, durata il più delle volte meno che qualche minuto.
«Expecto Patronum» ripetè ancora una volta, benchè fosse consapevole che non stesse pensando a niente in particolare, men che meno a qualcosa di felice. Questa volta, fu Hermione a sbuffare, perciò lui la guardò con le sopracciglia inarcate, nello sguardo una muta domanda per quella smorfia.
«Non ti stai impegnando abbastanza» poggiò le mani sui fianchi, leggermente infastidita dal suo atteggiamento svogliato e menefreghista.
«Questa storia dei ricordi felici è ridicola. È ovvio che non riesca a farlo» sospirò pigramente, lo sguardo perso tra le nuvole candide del cielo luminoso.
«Oh, andiamo, Malfoy. Devi solo concentrarti. Hai diciotto anni di ricordi a disposizione, ce ne sarà pure uno particolarmente allegro, no?» sbottò stizzita, le mani ancora sui fianchi in quell'espressione di collera che tuttavia non riusciva a intaccare più di tanto il viso, ancora disteso dalla pazienza. Gli occhi cinerei di Draco si spostarono con intensità in quelli castani di lei: si incontrarono a metà strada, scambiandosi mute parole, spiegazioni che improvvisamente non avevano bisogno di essere dette, perché potevano essere facilmente intuite. Hermione sussultò, e la sua bocca si spalancò dallo sconcerto. Lo sguardo di Draco, vuoto e distaccato, era improvvisamente diventato triste.
«Nemmeno» esitò, mordicchiandosi con nervosismo il labbro inferiore e abbassando gli occhi, improvvisamente incapace di sostenere la vista delle sue iridi «nemmeno uno piccolo piccolo?» si azzardò a lanciargli un'occhiata, ma lui aveva distolto lo sguardo, ed era tornato a fissare il cielo.
«Come vedi» replicò gelido «quello piccolo piccolo non ha funzionato» grugnì, infastidito da quell'ammissione.
«Oh» disse soltanto lei, incapace di trovare parole adatte a quel momento. Senza sapere perché, e senza che fosse comandata direttamente dal suo cervello, la sua mano andò a sfiorare il braccio di Draco, in un chiaro gesto consolatorio. Tuttavia, lui, inaspettatamente – o forse se l'aspettava – si ritrasse, lanciandole un'occhiata carica di astio e disprezzo.
«Non ho bisogno della tua pietà, Granger» sibilò con rabbia. Hermione aggrottò le sopracciglia, leggermente infastidita da quella reazione.
«Non è pieta» si scaldò. «Stavo solo cercando...» il tono si affievolì ad ogni parola, fino a quando si spense. Cosa stava cercando di fare? Abbassò lo sguardo, vinta da un calore che le accese le gote, e, imbarazzata, lasciò che il braccio ricadesse lungo il fianco, inerme.
«Qualsiasi cosa fosse, non ne ho bisogno» replicò lui con rabbia, fissandolo con sguardo di fuoco. Hermione si sentì ferita da quell'ira del tutto ingiustificata, pur essendo consapevole che, in fondo, quella cattiveria gratuita fosse semplicemente il suo modo di sfogare l'ansia. Lui fece per voltarle le spalle, ma poi parve ripensarci. «Anzi, non ho bisogno di niente e di nessuno. Faresti meglio a tornartene a casa tua, Granger...» Sembrava che stesse per aggiungere qualcosa, invece lasciò la frase a metà, e, sbuffando, si allontanò da lei.
Hermione non osò alzare lo sguardo su di lui; non seguì i suoi movimenti con gli occhi, non si mosse. Adesso la paura, unita a un nuovo, stranissimo e inaspettato dolore dettato da quella collera assurda e inaspettata, la faceva sentire fragile. Aveva voglia di piangere, ma ovviamente non poteva dargli questa soddisfazione, né aveva intenzione di piagnucolare come una stupida bambina. Così, trasse un respiro profondo, domandandosi per quale logico motivo non seguisse il suo consiglio e non tornasse tra le braccia sicure dei suoi amici, che oltre a proteggerla, l'avrebbero consolata e capita. Sebbene fosse nota per il suo sangue freddo e la sua razionalità – dimostrata anche nei momenti peggiori – in quel momento le emozioni le impedivano di pensare lucidamente. Perché in caso contrario avrebbe visto quel gelido consiglio come quello che era: la paura che potesse succederle qualcosa.

IL FANTE DI PICCHE E LA DAMA DI CUORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora