Capitolo 29. Il lupo d'argento

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La settimana successiva cominciò, per Hermione, in modo meraviglioso: Harry l'aveva perdonata, con Draco andava a meraviglia, e domenica, durante la partita, Grifondoro aveva stracciato Corvonero duecentottanta a venti.
Benchè Hermione non avesse chiuso occhio tutta la notte – di certo aveva fatto qualcosa di molto più piacevole – si sentiva arzilla e pimpante, e non riusciva a smettere di sorridere. La sera prima aveva abbondamente ringraziato Draco per quello che aveva fatto – e l'aveva fatto a modo loro. Sapeva benissimo che per il Serpeverde doveva essere stato estremamente difficile deporre le armi e cercare di parlare civilmente con Harry, sia per i trascorsi tra lui e il suo – di nuovo – migliore amico, sia a causa del suo orgoglio. Dato che sabato sera il ragazzo aveva dovuto scontare la punizione che Lumacorno gli aveva inflitto a causa dello scontro di settimane prima con Zabini e Pansy nella Sala Comune di Serpeverde, Hermione aveva provveduto ad esprimere la sua gratitudine domenica sera, in un'aula vuota che sarebbe stata piuttosto scomoda, se lei non si fosse applicata in Trasfiguazione sin dal primo anno. Il morbido letto che aveva accolto i loro sospiri notturni era scomparso la mattina seguente, quando le prime luci dell'alba avevano stanato i due amanti, e ognuno di loro era stato costretto a far ritorno al proprio dormitorio per evitare altre punizioni.
Persino quando Ginny, cautamente, le si era avvicinata al tavolo della colazione per parlarle della festa di Halloween, lei non aveva storto il naso e anzi aveva concesso il suo aiuto nell'allestire incantesimi anti-professori. Sebbene la sua migliore amica fosse sinceramente allibita che l'idea di un centinaio di studenti che infrangessero le regole non scandalizzasse Hermione, ne fu felice, consapevole che quell'allegria ritrovata aveva una sola causa.
In realtà, Hermione non aveva molto di che gioire: era vero che Harry l'aveva perdonata, accettando la sua relazione con Draco, ma era anche altrettanto vero che c'era ancora un grosso problema da risolvere, e quel problema aveva i capelli rossi, esattamente come la ragazzina esile che le stava di fronte. Tuttavia, almeno per il momento, quel pensiero non sfiorava minimamente la mente della Grifondoro: ogni volta che il viso di Ginny le riportava alla mente Ron, lei cacciava quell'immagine in un angolo recondito della sua mente, perché quella fuggevole felicità non sparisse subito. Voleva prima godere di quella serenità, poi si sarebbe preoccupata del resto. Non era da lei tergiversare in quel modo, e rimandare una cosa tanto importante, soprattutto perché voleva bene a Ron, ed aveva anche un dovere nei suoi confronti; ma d'altra parte non le sembrava il caso di guastare quel sorriso allegro che le accendeva il volto. In fondo, non aveva modo di vedere il ragazzo, e comunicargli il tutto tramite una lettera era quanto di più inappropriato potesse fare. Dato che mancava poco più di un mese e mezzo alle vacanze natalizie, e considerato che con ogni probabilità non sarebbe stata esclusa una visita alla Tana, Hermione si era ripromessa di dare la notizia a Ron per allora – sempre sperando che Harry non avesse la brillante idea di informare prima il suo migliore amico.

Quando Hermione giunse nei pressi dell'aula di Difesa contro le Arti Oscure, quella mattina, notò una calca di studenti del suo anno sull'uscio. Aggrottò le sopracciglia, incerta, domandandosi per quale motivo i suoi compagni di classe non entrassero, ed era già pronta a rimproverarli per quel baccano che stavano facendo nel corridoio, quando una folata di aria gelida le punse il viso. La ragazza si voltò a destra e sinistra, ma notò che le finestre erano chiuse; sempre più confusa, ma con una folle idea che le frullava nella testa, si avvicinò quasi di corsa all'aula.
«Questa è pazza» stava sussurrando Calì a Natalie, il volto pallido e l'espressione sconcertata.
«Si può sapere cosa sta succedendo qui?» domandò ad alta voce Hermione. Il mormorio cessò all'improvviso, per poi esplodere ancora più assordante di prima. Grifondoro e Serpeverde si lanciarono verso di lei, implorandole qualcosa che lei non riuscì a comprendere.
«Uno alla volta, uno alla volta. Cosa? Non capisco. Zitti. Silenzio. Insomma... Silencio!» sbottò la ragazza inviperita, agitando la bacchetta in aria e ammutolendo con un solo incantesimo tutti i poveri studenti, che le lanciarono occhiate torve e rancorose.
«Ora» Hermione schioccò le labbra, soddisfatta. «Qualcuno sarebbe così gentile da dirmi cosa sta succedendo?» domandò, passando in rassegna la muta folla di studenti.
«A quanto pare la professoressa Dumont ritiene che sia necessaria una lezione pratica sui Patronus» rispose una voce annoiata dal fondo del corridoio. Gli alunni che Hermione aveva zittito con l'incantesimo si aprirono in due ali distinte, così da mostrare alla ragazza il giovane biondo che aveva parlato. Draco era appoggiato al muro, le braccia conserte e un'espressione distaccata e fredda sul volto.
«Una lezione pratica?» ripetè la Grifondoro, senza capire. Accanto a lei, Calì annuì vigorosamente e aprì e chiuse la bocca più volte, senza che da essa uscisse alcun suono. «Come?» borbottò Hermione, poi, scuotendo la testa, puntò la bacchetta alla gola della sua compagna e mormorò un veloce "Finitus".
«Devi fare qualcosa» pigolò immediatamente Calì, riacquistata la sua voce. «È pericoloso. Dissennatori ad Hogwarts. Dentro la scuola. Nell'aula in cui facciamo lezione. È... è...» la sua voce si spezzò, e lei emise un singulto terrorizzato.
In quel momento, la professoressa Dumont uscì fuori dall'aula con un sorriso allegro, e con un cinguettio invitò i suoi suoi studenti ad entrare. Hermione lanciò un'occhiata all'interno dell'aula: un baluginio argenteo proveniva da un angolo, ma prima che lei potesse chiedere una qualsiasi spiegazione, l'insegnante li sospinse tutti dentro. Stranamente, benchè buia, la stanza in cui si teneva la lezione non era fredda. Uno scimpanzè argenteo camminava avanti e indietro, tenendo lontano dagli studenti l'oscuro Dissennatore che occupava la parete opposta all'ingresso, e che sembrava del tutto intenzionato a infrangere la barriera di protezione per fiondarsi su tutte quelle succulente anime spaventate.
Come Calì Patil potesse essere finita in Grifondoro, era un mistero: la ragazza era nascosta dietro la spalla di Neville, aggrappata alla divisa del giovane con un'espressione di puro terrore sul volto. Fissava la creatura con volto cereo e sguardo vacuo. I suoi compagni di Casa non avevano un aspetto migliore, ma perlomeno tentavano di apparire sicuri di sé e poco spaventati; i Serpeverde, invece, non facevano nulla per cercare di mostrarsi coraggiosi. Quasi nessuno di loro si era trovato a dover usare la magia in circostanze pericolose o in battaglia, per cui quella era una novità rara e apparentemente folle.
Hermione lanciò occhiate a destra e sinistra: a eccezione di Neville, nessuno sembrava entusiasta all'idea di dover affrontare quel Dissennatore. Persino Draco, che pure si era già trovato in una situazione di estremo pericolo, sembrava teso e nervoso. La Grifondoro alzò la mano.
«Sì, signorina Granger?» L'insegnante le concesse la parola. Hermione esitò un attimo, avvertendo gli occhi di tutti puntati su di sé; prese un respiro profondo, e parlò.
«La Preside sa di questa... ehm... iniziativa?» chiese con un tono autorevole, che tentava in tutti i modi di essere umile. La professoressa Dumont annuì vigorosamente, e battè le mani per una volta, producendo uno schiocco che fece sobbalzare Calì.
«Allora, chi vuole cominciare?» La donna non sembrava notare il terrore generale; guardava tutti con allegra aspettativa, e quando Neville, dopo aver deglutito, fece un passo avanti, la bacchetta in pugno, lei gli sorrise amorevolmente, mentre tutti gli studenti trattenevano il fiato.
«Dieci punti a Grifondoro per il coraggio del Signor Paciock!» esclamò contenta la professoressa. Dopodichè, impugnò la bacchetta e lanciò uno sguardo d'intesa al suo alunno, come se volesse chiedergli, in silenzio per non deconcentrarlo troppo, se fosse pronto. Neville annuì e alzò la bacchetta, puntandola contro il Dissennatore. Nello stesso momento in cui la professoressa agitò la bacchetta, il suo scimpanzè argenteo scomparve, il Dissennatore, finalmente libero, si lanciò verso Neville – Calì lanciò un urlo spaventato – e il Grifondoro urlò: «EXPECTO PATRONUM». Il leone d'argento corse verso la creatura, ricacciandola indietro.
La professoressa Dumont evocò il suo Patronus, così da permettere a Neville di riposarsi, e poi battè le mani, contenta del risultato.
«Il prossimo. Un Serpeverde, magari?» lo sguardo dell'insegnante si spostò verso l'ala della Casa verde-argento. Tutti fecero un passo indietro. La professoressa sospirò. «Signor Malfoy, se non sbaglio lei l'altra volta è riuscito a evocare un Patronus corporeo, vorrebbe provare?» propose la donna al giovane biondo.
L'espressione di Draco non sembrò mutare più di tanto, eppure Hermione era sicura di aver visto un guizzo sul suo volto, come una breve contrazione della mascella. Il ragazzo fece un passo avanti, stringendo la sua nuova bacchetta – gli era stato permesso di andare per un paio d'ore a Diagon Alley, in via eccezionale, dato che la sua era ormai inutilizzabile – nel pugno pallido. Trasse un profondo respiro, preparandosi ad affrontare l'oscura creatura: il Dissennatore non ebbe nemmeno il tempo di lanciarsi verso di lui, una volta liberatosi dal guardiano della professoressa Dumont, che lui aveva già evocato il suo lupo bianco, con un fluido e sicuro gesto. Con un ghigno, Draco tornò al suo posto dopo quella che riteneva una splendida performance, seguito dallo sguardo di approvazione dell'insegnante, che fece cenno verso i Grifondoro per spingerli a tentare.
Hermione, a quel punto, fece un passo avanti: d'altronde, non aveva nulla da temere. Aveva eseguito quell'incanto più di una volta, nelle più diverse situazioni, e non credeva che sarebbe stato un problema. Per di più, quella mattina, concentrarsi sui pensieri felici era incredibilmente semplice: si era svegliata di buonumore, e persino quel piccolo incidente di percorso non era riuscito a influire più di tanto sulla sua gioia. Così, a un cenno della professoressa, annuì, strinse la bacchetta e, la mente immersa nei ricordi di quella notte, scandì: «Expecto Patronum». Non ebbe bisogno di gridare l'incantesimo: una potente luce argentea si sprigionò dalla punta della bacchetta. La Grifondoro si attendeva di vedere la sua lontra sgusciare via e dirigersi con una rapida corsa verso il Dissennatore, così da respingerlo. Invece, a dispetto delle sue aspettative, la sua lontra non comparve. L'animale che uscì dalla punta della bacchetta di Hermione era decisamente più grosso, decisamente più peloso e di sicuro con un sacco di denti in più.
Era un lupo.

La bacchetta le scivolò dalle dita, e il Patronus si dissolse all'istante. Hermione avvertì solo vagamente l'ondata gelida che le investì il viso, subito attenuata dal pronto intervento della professoressa, che la fissò con sguardo preoccupato. Gli occhi della ragazza erano opachi, il suo viso pallido, e tutto ciò che l'insegnante riuscì a pensare, fu che il Dissennatore era riuscito in qualche modo a ghermirla con i suoi effetti.
«Prenda un po' di cioccolato, Signorina Granger... Granger?!» La professoressa si girò verso la scrivania per prendere una tavoletta di cioccolato, ma quando si voltò, Hermione era già corsa fuori dall'aula.

Hermione aveva il cuore in tumulto. Non poteva credere a ciò che aveva visto, non poteva credere a ciò che aveva fatto. Se il suo Patronus si era trasformato, questo poteva voler dire solo una cosa. Ed era una cosa che non riusciva ad accettare.
Sì, lei lo sapeva. Era stato sul punto di dirglielo più di una volta, quando, tra le sue braccia, si era sentita così protetta; ma poi si era riscossa, come ci si risveglia da un sogno particolarmente dolce, e aveva optato per un più prudente silenzio. Lei lo sapeva; ma un conto è saperlo, e tenerlo nascosto negli angoli più oscuri e dimenticati della propria mente – del proprio cuore; un conto, invece, è scontrarsi con una realtà piuttosto scomoda, davanti a metà della scuola e soprattutto davanti a lui. Un conto è saperlo, un'altra è accettarlo. Quell'idea la terrorizzava: la esponeva a troppe emozioni pericolose.
Hermione si appoggiò al muro, le gambe troppo deboli e tremanti per poterla sorreggere. Chiuse gli occhi e respirò a fondo. Quando li riaprì, due occhi grigi la fissavano con intensità.
Draco l'aveva seguita fuori dall'aula senza aspettare nemmeno un attimo, consapevole di quanto ciò che aveva visto significasse. L'aveva osservata per un istante – gli occhi chiusi, le gambe tremanti, il volto pallido – e poi si era avvicinato a lei, senza sapere cosa dire, senza sapere cosa fare. Ora, davanti a quella ragazza che lo fissava con occhi terrorizzati e imploranti, si ritrovò a pensare di essere, non per la prima volta, inadeguato. Poggiò la fronte sulla sua, e chiuse gli occhi. Lei era bollente, come se quella verità troppo a lungo negata l'avesse scioccata a tal punto da farle venire la febbre.
Draco prese un respiro profondo. Poi un altro. Poi un altro ancora. Ogni volta che apriva la bocca, era per dire qualcosa – per dire quella cosa – ma ogni volta non riusciva a far altro che sospirare. Ancora, e ancora, e ancora. Alla fine, tirò fuori la voce.
«Anch'io» disse soltanto. Ma il suo tono era malfermo, tremante almeno quanto le gambe di Hermione. La ragazza avvertì una lacrima salata scivolarle lungo la guancia. Non sapeva perché. Un groviglio di sentimenti le artigliò lo stomaco, e le bloccò le vie aeree. Quel nodo di emozioni si fermò in gola e lei deglutì incapace di aggiungere altro. Quando le loro labbra si incontrarono, lei ebbe la certezza che quelle parole, rimaste sospese sulla bocca di entrambi, fossero state dette grazie al semplice contatto delle loro lingue – dei loro cuori.

IL FANTE DI PICCHE E LA DAMA DI CUORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora