Capitolo 25. Il sacrificio di Draco

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Uscire fuori dalle mura di Hogwarts in quel momento era quanto di più irresponsabile Hermione potesse fare. Il raziocinio avrebbe suggerito una saggia ritirata all'interno dei locali della scuola, che già una volta si era dimostrata capace di difendere i suoi studenti. Per di più, i professori li avrebbero certamente rassicurati e protetti, così che attendere lo svolgersi naturale degli eventi sarebbe stato più dolce e rassicurante.
Tuttavia, la stessa Hermione Granger aveva già intuito quanto la sua capacità di giudizio fosse stata compromessa e incrinata dalla paura, tanto che, l'istante dopo che il suo cervello aveva prontamente realizzato cosa davvero stesse succedendo, le sue gambe avevano cominciato a muoversi automaticamente verso il villaggio di Hogsmeade. La ragazza non era sicura di cosa l'avesse spinta verso il luogo del delitto: se un intimo desiderio di dolore e morte – manie suicida che aveva già affinato durante quella giornata d'inferno – o il terrore che le aveva attanagliato le viscere al pensiero che il suo migliore amico potesse trovarsi nel bel mezzo di una battaglia da solo – quando da sempre era stato affiancato da lei e Ron, uscendone vincitore. Oppure, magari, era stata l'occhiata che si era scambiata con Ginny, a convincerla a correre più veloce di quanto avesse mai fatto: perché negli occhi scuri dell'amica aveva letto al tempo stesso decisione, coraggio e paura – la stessa che sentiva lei, ma amplificata. E a nulla erano valsi i tentativi di Neville di fermare la giovane Weasley: si era liberata dalla sua presa dopo pochi minuti, partendo alla volta di Hogsmeade. E Hermione e il Grifondoro l'avevano seguita senza pensarci due volte, le bacchette già strette in pugno.

Quando Draco abbassò lo sguardo, per cercare il volto della Granger, tutto ciò che percepì fu la sua esile figura ormai lontana, e la scia del suo profumo ancora impressa nell'aria fredda. Il Serpeverde imprecò a bassa voce, e maledisse l'erosimo di quella dannatissima ragazza; poi, in uno sprazzo di intimidita lucidità, si ricordò di tutto ciò che era appena successo, e si rese conto che probabilmente lei non era nelle condizioni di affrontare un duello. Così, con un sospiro e un grugnito presto soffocato tra i denti, si affrettò a seguirla.
Mentre correva, non faceva altro che tenere lo sguardo fisso su di lei. Il suo cuore era lanciato in una corsa frenetica non dissimile da quella in cui erano impegnate le sue gambe, e nella sua testa vorticavano pensieri confusi.
Stava andando incontro alla morte. Appena i Mangiamorte l'avessero visto, si sarebbero vendicati sia per il suo voltafaccia, sia per la manovra di mesi prima, che era costata l'incarcerazione a molti di loro.
Stava cominciando a diventare simile a Potter, con le sue patetiche manie di eroismo. Perché non si spiegava per quale motivo stesse correndo verso il pericolo, quando lui era sempre stato uno di quelli che, di solito, vanno esattamente nella direzione opposta ad esso.
Ma il fatto era che aveva paura che le succedesse qualcosa. Quella era l'unica ragione logica – no, non aveva proprio niente di logico – l'unica ragione per cui si stava dirigendo ad Hogmseade, dritto tra le braccia dei suoi nemici; nemici che lo volevano morto. Ma, se i seguaci del fu Signore Oscuro volevano vendicarsi di lui, allora era logico pensare che volessero anche prendersi la loro personale rivincita su Hermione, e con ogni buona probabilità, quella era una trappola in piena regola, e loro ci stavano andando incontro.
Idioti.
Ciò non gli impediva di continuare a correre, nel tentativo di raggiungerla, anche se lei era parecchi metri davanti a lui e spariva alla sua vista ogni volta che la strada curvava. Era la prima volta in vita sua che temeva per una vita che non fosse la propria; ma il fatto è che stando con lei, aveva imparato un sacco di cose, e ora persino quel gesto gli sembrava giusto, addirittura naturale. Non avrebbe mai potuto sopportare la sua mancanza: non stringerla più, non sentire il suo odore, non avere il suo corpo, non poter accarezzare la sua pelle, non poter avvertire il suo calore. Erano negazioni che non avrebbe potuto accettare. Per questo correva. Aveva paura di perderla.

La neve era scivolosa, e ogni tanto Hermione si ritrovava a slittare su un sottile strato di ghiaccio, scoperchiato dal vento gelido che soffiava lungo la strada. Allora era costretta a fermarsi, barcollava, rischiando di cadere, e una volta ottenuto di nuovo l'equilibrio, riprendeva a correre più velocemente, per recuperare il tempo perduto. I polmoni le stavano andando a fuoco, eppure lei non sentiva stanchezza e non conosceva quiete. Manteneva lo sguardo fisso sulla chioma rossa di Ginny, una scia di fuoco che la guidava; di tanto in tanto, osava alzare lo sguardo verso il cielo, e la luce verde e sinistra del Marchio Nero le faceva temere il peggio.
Con la coda dell'occhio, Hermione vide Neville scivolare e finire lungo disteso per terra, sulla coperta di neve che copriva la strada; sperò che la morbidezza di quella distesa candida avesse attutito la caduta, ma non si fermò ad aiutarlo: aveva troppa fretta di raggiungere il villaggio. Gli lanciò solo un'occhiata, per sincerarsi che stesse bene e fargli capire che lei sarebbe andata avanti, e solo allora si accorse della presenza di Draco. Il Serpeverde superò con un balzo Neville, accorciando le distanze tra di loro.
Hermione provò una rabbia inspiegabile, quando lo vide; che diritto aveva, lui, di stare lì? Di correre così, con quello sguardo acceso di paura, la bacchetta in mano come se fosse pronto a dar battaglia?
La ragazza accelerò quando si rese conto che lui la stava raggiungendo, così da aumentare le distanze tra di loro; con la coda dell'occhio, vide Draco aprire la bocca e urlare qualcosa, ma il vento nelle orecchie e il rifiuto che in quel momento aveva nei suoi confronti, le impedirono di capire cosa. Udì solo una voce femminile, che riconobbe come quella di Ginny, urlare il suo nome. Poi impattò contro qualcosa di maledorante e duro, e in men che non si dica si ritrovò le braccia imprigionate da una stretta d'acciaio, e le mani vuote: le avevano appena tolto la bacchetta.

Draco fu costretto a frenarsi prima di finire dritto tra le braccia di Rowle, che sembrava non aspettare altro che il momento in cui avrebbe potuto mettere le mani su di lui. Scivolò sulla neve, ma riuscì a bloccarsi in tempo, spruzzando una manciata di fiocchi infangati sul viso del Mangiamorte. Approfittando della momentanea cecità del suo nemico, il Serpeverde eseguì un Incantesimo Petrificus su di lui. Tuttavia, non riuscì a gioire di quella piccola vittoria, perché era troppo preoccupato per Hermione.
Dannazione! Se gliel'avessero detto qualche mese prima, che un giorno si sarebbe preoccupato per quella Mezzosangue, probabilmente avrebbe creduto che fossero tutti pazzi. Sapeva di non doversi legare; aveva sempre pensato che i sentimenti fossero roba da cui tenersi lontani; e aveva ragione. Che motivo aveva il suo stomaco di aggrovigliarsi in quel modo, o il suo cuore di battere velocemente?
Con la paura negli occhi, Draco analizzò la situazione: la Granger stava cercando di divincolarsi dalla presa di Yaxley, che la teneva così forte da non lasciarle nemmeno modo di respirare. Poco più indietro, un uomo che non aveva mai visto e che sembrava avere pochi anni più di lui, teneva allo stesso modo la piccola Weasley. E intorno a lui, c'erano una decina di Mangiamorte. Era circondato.
Draco aveva il respiro affannato, e i suoi occhi erano fissi su Yaxley, iniettati d'odio e d'ira. Stava tenendo Hermione un po' troppo stretta a sé, per i suoi gusti, e la rabbia stava cominciando a salire in spirali ardenti, annebbiandogli il cervello; tanto che non si rese nemmeno conto che Paciock era appena arrivato, trafelato e bagnato, e che ora lo stava affiancando. Merlino, come si era ridotto: costretto a duellare in coppia con il ciccione!
Non ebbe neanche il tempo di formulare quel pensiero che avvertì la bacchetta sgusciargli via dalle dita. Atterrito e confuso, Draco si voltò, seguendo la traiettoria della sua arma, che, riunitasi in aria con quella di Neville, compì una parabola e concluse la sua levitazione nelle mani di Avery.
«Vi stavamo aspettando» esordì quest'ultimo, con un sorriso beffardo sul volto.

Hermione si sentiva una stupida per essersi fatta catturare così. Come aveva potuto distrarsi in quel modo? La Grifondoro non faceva altro che agitarsi, stretta nella morsa implacabile di Yaxley, che ogni volta che lei tentava di divincolarsi, o scalciare, stringeva più forte la presa, mozzandole il respiro. Quietata dalla mancanza d'aria, Hermione osservò impotente Goyle e Selwyn che imprigionavano Neville e Draco con un saldo Incarcemarus; il Serpeverde tentò di ribellarsi sferrando un pugno al suo assalitore, ma questo riuscì comunque a catturarlo.
Cercando di non perdere la calma, la ragazza studiò a fondo la situazione, ma dopo interminabili minuti di osservazione, non potè fare a meno di emettere un singulto disperato: erano in trappola, e non c'era modo di fuggire. Lei, Ginny, Draco e Neville erano disarmati, e tutti e quattro tra le braccia dei loro nemici: non c'era speranza di riuscire a cavarsela.
«Sapevamo che sareste venuti» continuò Avery, rigirandosi tra le mani le bacchette dei ragazzi. Aveva sul volto un'espressione soddisfatta, sardonica; non li guardava direttamente, e con il suo atteggiamento di superiorità risultava ancora più odioso. Con qualche passo, si avvicinò ad Hermione, ed i suoi occhi si poggiarono su di lei; la fissò con compiacimento, poi, gettando le bacchette per terra, le prese il mento tra le mani. Hermione ricambiò quel gesto con uno sguardo di sfida colmo di odio e disgusto, ma il Mangiamorte non sembrò esserne intimorito.
Draco scattò in avanti, tentando di raggiungerlo prima che potesse anche solo permettersi di toccarla, ma Selwyn gli sferrò un pugno nello stomaco che gli fece mancare il respiro.
«Ci hai dato non pochi problemi, l'ultima volta, ragazzina» disse, e sul suo volto comparve una smorfia vagamente infastidita, che si trasformò ben presto in un sorrisetto malvagio. «Ma questa volta» schioccò le labbra, voltandosi verso uno dei suoi seguaci, e annuendo brevemente nella sua direzione «non la passerai liscia». Il suo sguardò vago brevemente su Draco, come se volesse fargli intendere che presto la vendetta sarebbe giunta anche su di lui, poi si spostò nuovamente su Hermione.
Il cuore della ragazza accelerò i battiti, eppure lei continuò a sostenere fieramente lo sguardo arcigno e ironico di Avery, che sembrava sbeffeggiarla solo con la forza dei suoi occhi spietati. Probabilmente aveva in servo per lei le torture peggiori; questo la spaventava, ma nonostante il pericolo a cui stava andando incontro, Hermione continuava a mantenere la calma. Il suo cervello stava analizzando la situazione, per cercare di capire cosa avrebbe potuto fare per salvare se stessa e i suoi amici. La sua bacchetta era abbandonata a terra, a pochi metri da lei. Se solo fosse riuscita a liberarsi dalla presa di Yaxley, probabilmente sarebbe riuscita a sgusciare via abbastanza in fretta da appropriarsene e...
Prima che potesse anche solo tentare di divincolarsi dalla morsa del Mangiamorte che la teneva prigioniero, quest'ultimo, dietro ordine di Avery, la lasciò andare. Hermione impiegò un solo istante per rendersi conto che era libera, e l'aria che le penetrò i polmoni fu tanto inebriante da avere il potere di risvegliarla; non perse un solo minuto. Si lanciò verso le bacchette prima ancora che i suoi nemici avessero il tempo di capire cosa stesse facendo. Il contatto con la neve gelida le strappò un mugolio, ma la ragazza non si fece distrarre da nulla: allungò la mano, per tentare di prendere la sua arma, ma proprio quando le sue dita sfiorarono il legno, Avery le sferrò un calcio sulla schiena tanto forte da annebbiarle la vista e rendere tutto più confuso per qualche minuto. Nella sua testa si accesero stelle di dolore, e tutto sfocò in quella sofferenza che le fece mancare il fiato. Hermione rotolò sulla neve, e un rantolo le sfuggì dalle labbra; avvertì il suo corpo immobilizzarsi a causa di un incantesimo, e capì che non avrebbe più potuto muovere un muscolo. La sua fine sembrava inesorabilmente vicina.

«Lasciala stare» L'urlo di Draco spezzò il silenzio teso che avvolgeva il villaggio. Tutti si voltarono verso di lui, quando il suo grido di rabbia perforò il cielo. Avery lo guardò negli occhi, in silenzio, per un attimo, poi scoppiò in una risata bassa e dura. Il Serpeverde lo sfidò con lo sguardo, impotente e collerico, mentre lui, ignorando le sue parole, o forse spinto proprio da esse, affondò la mano destra tra i capelli di Hermione e le tirò su la testa, strattonando forte. La ragazza urlò, e una lacrima di dolore le scivolò lungo la guancia, nonostante lei avesse fatto di tutto per arrestarla.
«Thompson» disse severamente Avery, rivolgendosi al giovane che Draco aveva notato una volta giunto al limitare del villaggio. Il ragazzo aveva lo sguardo vacuo, perso nel vuoto, ma eseguì immediatamente il silenzioso ordine del suo capo. Schioccò le dita mentre Avery si allontanava da Hermione, come se temesse a starle vicino ancora; e così fecero anche gli altri Mangiamorte, creando un cerchio attorno alla ragazza, immobilizzata sulla neve, impotente e ancora dolorante.
Draco, Ginny e Neville rimasero in silenzio, in attesa. Per qualche minuto, non successe nulla. Una folata di vento particolarmente freddo li fece rabbrividire, ma i tre non si mossero, né protestarono. Solo quando il cielo si fece improvvisamente scuro, e il gelo talmente intenso da non lasciar modo di respirare, con un rantolo d'orrore, capirono.
«No» Ginny fu la prima a urlare, lo sguardo fisso sulla sagoma scura di quella creatura che emanava un orrendo odore di morte, e che portava con sé tanta disperazione da non lasciare scampo, né modo di pensare che una speranza c'era, che tutti e quattro sarebbero usciti di lì, vivi.
«Hermione, scappa» Neville tentò di liberarsi dalle corde, ma l'unico risultato che ottenne fu quello di cadere a terra, tra la neve e le risate generali dei Mangiamorte.
Il respiro di Draco accelerò quando lui vide il Dissennatore avvicinarsi inesorabilmente a Hermione. Non poteva essere. Non poteva finire così. Non poteva lasciare che la sua anima venisse risucchiata da quel mostro. Non poteva lasciar vincere in questo modo quei bastardi, che se la ridevano ad ogni centimetro che la creatura divorava, già quasi china sul volto della ragazza.
«Aspetta» Senza sapere cosa fare, Draco urlò quell'avvertimento, che suonava come una preghiera. Il Dissennatore non sembrò farci caso: continuava a scivolare verso la Grifondoro, i cui occhi, colmi d'orrore, saettavano dalla creatura al cielo, come in cerca di un appiglio, o di un aiuto. Era evidente che non riusciva a muoversi, e il senso di frustrazione che provava in quel momento si rifletteva sul viso, contratto in una smorfia.
Avery, sorpreso, voltò lo sguardo verso il Serpeverde.
«Aspetta» ripetè Draco, ancora più ad alta voce. «Non farlo. Non farglielo fare» disse, alternando lo sguardo dalla creatura ad Avery, la preoccupazione ad illuminargli i lineamenti.
«Altrimenti?» lo provocò il Mangiamorte, che sembrava godersi la paura che gli si leggeva in volto.
«Altrimenti un accidenti! Non puoi farlo!» urlò il ragazzo, che sembrava in preda a una crisi isterica. Avery scoppiò in una risata che contagiò ben presto il resto dei suoi seguaci. Draco strinse la mascella, ancora più arrabbiato: si sentiva impotente, e spaventato. Il Dissennatore era ormai vicinissimo ad Hermione, e sembrava già pregustare il momento del bacio.
No. Era disgustosto, non poteva nemmeno pensarci. Quella creatura non poteva baciarla; solo lui aveva il diritto di farlo. In preda alla disperazione, Draco cercò di pensare velocemente a qualcosa da fare – qualsiasi cosa.
Opzione uno: correre verso il Dissennatore legato come un salame, buttarsi addosso alla creatura, salvare la sua donna. Pro: avrebbe ritardato la condanna di Hermione. Contro: sarebbe finito come un vegetale per il resto della sua vita. Ok, forse non era una delle sue idee più geniali.
Opzione due...
«Prendi me al suo posto» Ginny urlò quella preghiera, guardando Avery fisso negli occhi. Una nuova, folle speranza si accese nel cuore del Serpeverde. Spostò lo sguardo dalla Weasley al Mangiamorte, poi annuì vigorosamente.
«Sì. Prendi lei al suo posto» acconsentì Draco ad alta voce, rischiando di beccarsi un calcio da parte di Neville, disteso per terra nei pressi del ragazzo.
Al Seperverde quella sembrava un'ottima soluzione: d'altronde, meno Weasley c'erano al mondo, meglio era. Ma l'occhiata che la ragazzina gli scoccò, gli fece intuire che non aveva gradito il suo intervento, e la smorfia collerica di Paciock sembrava accordarsi perfettamente ai sentimenti dell'altra Grifondoro.
Avery, comunque, non era dello stesso avviso di Ginny: le sorrise, scuotendo il capo, e poi, con tono mellifluo, rispose: «Non avere fretta. Verrà anche il tuo turno». La sua sembrava una rassicurazione piuttosto macabra, e la ragazza non potè fare a meno di rabbrividire a quelle parole.
Draco sbuffò: il suo piano geniale – quello di sacrificare la Piattola dai capelli rossi, al posto della sua donna – era miseramente fallito. E, cosa peggiore, il Dissennatore si era appena piegato su Hermione. Il ragazzo sgranò gli occhi, e trasalì.
«No. NO! FERMALO» Draco non sapeva cosa fare, combattuto tra la paura e il desiderio di fare qualcosa. Cercò di muovere le braccia e i polsi, ma le corde gli serravano così strettamente il torace, che non gli lasciavano spazio nemmeno per un minimo movimento. «Non... non puoi! Hermione!».
Che fosse impazzito, ormai Draco l'aveva capito da tempo. Ma darne prova a tutti i presenti, quella non era esattamente una buona idea. Va bene, si trovava in una situazione indubbiamente pericolosa, e potenzialmente fatale; probabilmente da lì a qualche ora – qualche minuto – sarebbe morto, o peggio, e magari in quel momento il suo cervello non era proprio nelle migliori condizioni, confuso da paura, impotenza, rabbia e frustrazione. Però chiamarla per nome proprio davanti a tutti, non era una cosa normale. Ne ebbe conferma quando vide lo sguardo scandalizzato della Weasley. Si morse la lingua con un attimo di ritardo, ma ormai quel nome, che gli era sfuggito in modo del tutto naturale, come se fosse abituale il suo uso, era già giunto alle orecchie di tutti i presenti.
«Draco, come sei caduto in basso» Avery gli lanciò un'occhiata disgustata: sembrava sinceramente sorpreso. Dietro di lui, un Mangiamorte ringhiò in modo minaccioso. Greyback si avvicinò a Draco con un balzo, e gli urlò addosso tutta la sua disapprovazione.
«Se ti sentisse tuo padre» L'alito fetido del licantropo punse le narici di Draco, costringendolo ad arricciare il naso; tuttavia, il ragazzo sostenne il suo sguardo. «Mischiare il tuo purissimo sangue con quello di una Babbana qualsiasi» sputò con rabbia. Poi, accecato dalla nausea e dalla ripugnanza per quello che riteneva, evidentemente, un gesto riprovevole, alzò il braccio in alto e sferrò al Serpeverde un'artigiliata in pieno di petto.
Draco non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo: un attimo prima gli occhi gialli e iniettati di sangue di Greyback lo stavano guardando con odio; l'attimo dopo, un forte e bruciante dolore esplose all'altezza del suo torace, spingendolo indietro. La sua schiena impattò forte contro il suolo, e il contatto con la neve lo fece fremere: era strano avvertire il petto in fiamme e la schiena preda del gelo. Draco avvertì il calore vischioso del sangue, che gli imbrattava le vesti e la divisa ormai squarciata. Inizialmente, fu tentato di rimanere immobile, disteso di schiena sulla neve, a morire. Il dolore era tanto forte da togliergli il respiro, e le risa malvagie attorno a lui lo facevano sentire umiliato, e gli facevano venir voglia di passare all'istante a miglior vita, pur di non subire la vergogna di sopportare quella sconfitta.
Tuttavia, in un secondo momento, Draco ricordò. Ricordò Azkaban, e il terrore e la disperazione provati in quei giorni di prigionia; ricordò le lezioni sui Dissennatori; ricordò che quel desiderio era solo dovuto alla loro influenza. E ricordò Hermione. Il suo calore, il suo odore, il suo sapore. La sua pelle, il suo sorriso, il rossore sulle sue guance, la sua voce. La sua rabbia ogni volta che faceva qualcosa di sbagliato. Il suo modo di ignorarlo. Persino quello era bello: quando lei sfilava davanti a lui senza degnarlo di uno sguardo.
Così, rimergendo dalle tenebre della sofferenza, Draco si rese conto che l'artigliata, oltre ad avergli lacerato il petto, aveva anche divelto le corde che lo tenevano legato. Era libero.

L'unica cosa che Hermione riusciva ad avvertire era freddo. Sentiva l'impellente e innegabile desiderio di piangere: di accucciarsi al pavimento e sciogliersi in lacrime, e non smettere più. Il cielo era scuro come i suoi pensieri: era sicura che non sarebbero mai usciti da quella situazione. Lei e i suoi amici erano condannati: sarebbero diventati presto dei vegetali, senza altro pensiero nella vita che non fosse quello di attendere la fine.
D'altronde, la vita non valeva la pena di essere vissuta: c'era in giro troppo dolore. Le menzogne di Draco, il dolore che le aveva inflitto, la disperazione che aveva provato durante quel giorno, e la rabbia che l'aveva colpita quando l'aveva visto con la Greengrass, erano stati ingredienti sufficienti a farle desiderare la fine. E ora che questa stava arrivando, sembrava incredibilmente soffice. Persino desiderabile. In fondo era semplice: bastava arrendersi a quel freddo, a quella paura, a quella sensazione. Non c'era altro da fare.
Hermione chiuse gli occhi, e aprì leggermente la bocca, come se volesse accelerare il processo di dipartita. Sentiva già il calore abbandonarla, e la punta delle dita e delle mani formicolare. Non stava più respirando: era come essere risucchiata in un vortice dove non c'era altro che gelo: niente aria, nessuna sensazione, nessun suono, colore e odore. Persino i pensieri stavano diventando confusi, e l'unica cosa che, in lontananza, riuscì a percepire, fu un ricordo, sfocato tanto era lontano, che riafforò dalle tenebre della sua mente come un pezzo di legno che risale a galla durante una tempesta, dopo essere stato soffocato da un'onda.
Hermione aveva aperto gli occhi senza nemmeno rendersene conto, e oltre ai contorni orridi e putrescenti del Dissennatore, vedeva il cielo. Era grigio.
Grigio.
C'era qualcosa, in quel colore; qualcosa che l'aveva risvegliata da quell'incubo. Ma era un ricordo distante, impreciso e sfuggevole, che non riusciva a far proprio.
Intanto, la sensazione di freddo e formicolio si era esteso anche alle gambe e alle braccia. Da qualche parte, in lontananza, Hermione sentiva il suo cuore battere piano, in modo disperato, come se si stesse aggrappando all'ultimo alito di vita che le rimaneva. E, sempre in lontananza, Hermione avvertì una voce che diceva qualcosa di vago.
«EXPECTO PATRONUM»
Expecto Patronum, ripetè Hermione tra sé. Chissà che significa, si domandò.
Poi, in un attimo, quella voce vaga e lontana, diventò un urlo assordante; il freddo le penetrò le ossa tanto da farle mancare il fiato, il mondo venne risucchiato da un vortice di frastuoni fragorosi, odori pungenti e colori accecanti; attorno alla ragazza, esplose un universo che era scomparso. E il suo corpo riacquistò vigore e lucidità.
Hermione trasse un respiro profondo, e in un attimo il sangue affluì alle gambe e alle braccia, perché il cuore aveva cominciato a pompare potente, probabilmente fiero di essere ancora perfettamente funzionante. I pensieri cominciarono a diventare lucidi e sensati, e allora la ragazza si ricordò perfettamente il significato di quella formula. Con la coda dell'occhio, Hermione vide un cervo d'argento galoppare verso la sagoma ormai vicina del suo migliore amico. Prima che lui potesse raggiungerla, tuttavia, la Grifondoro avvertì un paio di mani che la tiravano su, e la trasportavano lontano da tutto quel trambusto. Quella presa era salda, ma gentile e calorosa; e dopo tutto quel freddo, Hermione si ritrovò ad aggrapparsi a quelle mani calde come si stava aggrappando alla sua stessa vita, in quel momento. Quando voltò il capo alla sua destra, e incontrò il profilo dritto di Draco, non si meravigliò; ciò che invece la sorprese, fu il sollievo che intravide nel grigio dei suoi occhi.
Grigio.
Ora ricordava perfettamente cosa quel cielo volesse suggerirle. E lei si vergognò profondamente di essersi lasciata andare in quel modo, di non aver lottato. Trasse un respiro profondo, cercando di riprendere il possesso del suo corpo: ora correre non era più così difficile, ed Hermione si rese conto che non aveva bisogno di sorreggersi a lui per continuare a stare in piedi. Insieme, giunsero nei pressi di un vicolo, e senza badare alla battaglia che imperversava alle loro spalle – la ragazza avvertiva distinamente le urla dei contendenti e gli scoppi degli incantesimi – si rifugiarono in quella via buia.

Draco quasi la scaraventò al riparo, senza riuscire a districarsi in quel groviglio di sentimenti che gli stavano accendendo il corpo. Era sollevato, in un modo che non si sarebbe aspettato. Era arrabbiato, perché doveva la vita della sua donna a nientemento che Potter. Era eccitato, perché sentire di nuovo il calore della sua pelle sui polpastrelli, lo investiva di emozioni uniche e in quel momento inappropriate. Aveva avuto una paura incredibile, e in quel momento l'adrenalina scorreva così velocemente nelle sue vene da renderlo vigile e attivo.
Draco la prese per mano con delicatezza, e la fece sedere su un grosso scatolone di legno, abbandonato nell'angolo del vicolo da chissà chi.
«Rimani nascosta qui» le ordinò, senza guardarla negli occhi. Non voleva ancora farlo: temeva di trovare una luce vuota e impersonale, nel suo sguardo, e in quel momento aveva bisogno solamente del suo calore, quello che aveva sentito al di sotto della sua pelle. Non avrebbe potuto sopportare la verità; e lei non aveva spiccicato una sola parola, da quando l'aveva tratta in salvo. Erano passati solo pochi minuti, ma sembrava ancora confusa e stordita; forse persino morta dentro. Il solo pensiero fece sussultare Draco; deglutì, poi le voltò le spalle e fece per andarsene. Ma lei lo fermò prima che lui potesse andarsene.
«La bacchetta» disse con tranquillità. Il Serpeverde trasse un profondo respiro, e si girò nuovamente. Si trovò il suo sguardo, deciso e fermo, davanti agli occhi, e quella vista lo riempì di una sicurezza che non si seppe spiegare. Provò il desiderio di rimanere lì nascosto insieme a lei; a che serviva, in fondo, tornare lì in mezzo? Lei era salva, e non c'era nient'altro che importasse. Tuttavia, il desiderio di vendetta bruciava ancora dentro di lui. Il pensiero che qualcuno avesse provato a ucciderla, il ricordo di Avery che le sferrava quel calcio sulla schiena, le braccia di Yaxley che la stringevano come solo lui poteva fare: tutto quello contribuiva a rendere impellente il suo bisogno di vendicarsi.
Draco esitò. Aveva la bacchetta di Hermione stretta tra le mani, insieme alla sua: le aveva recuperate entrambe poco prima di correre verso di lei per trarla in salvo. Tuttavia, non voleva riconsegnargliela: sapeva che ne avrebbe fatto un pessimo uso – e per pessimo uso intendeva tornare in battaglia e rischiare di nuovo la vita.
«No» disse con decisione Draco. Sul volto di Hermione comparve una smorfia arrabbiata, e il ragazzo dovette lottare contro se stesso per non sorridere: adorava vedere in lei quelle espressioni, anche se era furiosa con lui; ma era viva, ed era tutto ciò che contava.
«Malfoy, dammi la bacchetta» La Grifondoro tese la mano destra in avanti, in attesa, gli occhi fiammeggianti e lo sguardo acceso di sfida. Era tornata perfettamente in sé, e quel diniego la disturbava non poco, soprattutto perché insieme alla lucidità erano tornati i ricordi, e quindi la rabbia verso Malfoy.
«Giurami che non la userai» propose alla fine Draco, con orgogliosa fierezza. Hermione sgranò gli occhi, e scattò in piedi: si lanciò su di lui, tentando di riprendersi la sua bacchetta, ma il ragazzo fu più veloce e si allontanò dalle sue grinfie. Cominciò una lotta silenziosa, ma che lui trovò incredibilmente sensuale: lei era troppo presa dal suo obiettivo, per cui non si rese conto di quanto si fosse avvicinata. Il suo corpo aderiva quasi perfettamente a quello di Draco, e lei si slanciava verso di lui, respirando la sua stessa aria e riversando il suo profumo direttamente sulle sue narici, mentre il ragazzo, la mano destra in alto, portava fuori dalla sua presa l'arma.
«Malfoy, dammi quella dannatissima bacchetta!» urlò Hermione in preda a una crisi isterica. Ora che aveva riacquistato la lucidità, comprendeva in pieno la gravità della situazione, e udire al di là di quel vicolo le urla dei suoi amici e gli scoppi degli incantesimi contribuiva notevolmente a farle perdere le staffe.
Nell'urlare quell'ordine, la ragazza si sporse in avanti; nel tentativo di raggiungere la sua bacchetta, alzata sopra la testa del Serpeverde, si sbilanciò, e per evitare di cadere poggiò una mano sul suo petto. Solo allora si accorse che Draco era ferito. Ritirò la mano con uno scatto, i polpastrelli macchiati di rosso e lo sguardo colmo di orrore. Prima che potesse dire o fare qualsiasi altra cosa, il giovane gli riconsegnò la bacchetta.
«Rimani nascosta» le ordinò, prima di darle le spalle e correre nel bel mezzo della battaglia in cerca della sua vendetta.
Non appena Draco sgusciò via dal vicolo, finalmente certo che lei fosse al sicuro, venne assalito dal boato dello scontro, da una folata di aria gelida e dall'urlo di Avery. Il ragazzo ebbe appena il tempo di voltarsi alla sua sinistra, per rendersi conto del fascio di luce verde che si stava andando a schiantare direttamente sulla sua spalla; lo evitò appena in tempo, scartando di lato mentre il Mangiamorte che l'aveva scagliato si dirigeva a passo di marcia verso di lui, evidentemente infuriato con lui. Draco trasse un respiro profondo, serrò la presa sulla bacchetta, e dopo essersi rialzato in piedi, lo fronteggiò, sul volto un'espressione di odio e disgusto pari a quella che mostrava il suo nemico.

Hermione sfregò brevemente i polpastrelli tra di loro, e il calore vischioso del sangue le punse le dita.
Draco era ferito. Non sapeva come fosse successo, né perché, ma quel pensiero le attraversò la mente nello stesso momento in cui la paura le attanagliò il cuore, e la ragazza non potè fare a meno di pensare che fosse tutta colpa sua. E nonostante tutto, non potè fare a meno di temere per lui: in quel momento Draco si trovava in mezzo a decine di Mangiamorte, a combattere, e perdeva sangue – e probabilmente lucidità – ogni minuto che passava.
La conversazione avuta con Ginny quella mattina le sembrava incredibilmente lontana, inutile, sciocca. Quel dolore che aveva provato – e la delusione, la rabbia – sembrava incredibilmente infantile e stupido in confronto a ciò che aveva appena passato. Le sue pene d'amore, cosa potevano contro la lotta tra la vita e la morte? Forse era vero che Draco le aveva mentito, però era anche vero che quello era un lato del suo carattere che lei non poteva in alcun modo evitare, o cambiare; ed era anche vero che lui l'aveva tratta in salvo, e l'aveva pregata di rimanere nascosta, perché temeva per la sua incolumità.
Hermione era confusa; in un attimo, tutti quei pensieri si aggrovigliarono in una massa senza capò né coda, e lei decise di accantonarli, con rapidità e risolutezza. Non c'era tempo per i sentimentalismi, né per i dubbi, o le pene d'amore: adesso la priorità era salvare i suoi amici.
Senza pensarci due volte, e ignorando volutamente l'ordine di Draco, Hermione percorse con falcate lunghe e decise il vicolo in cui si era rifugiata, e raggiunse ben presto il centro nevralgico dello scontro. C'era un gran confusione, e nonostante lei fosse tornata perfettamente in sé, quel frastuono la stordì per qualche istante. Attorno a lei imperversava la battaglia: gli Auror del Ministero, Harry, Neville e Ginny erano impegnati a lottare, con coraggio e ferocia, contro i Mangiamorte. Quando Hermione si rese conto di non riuscire a individuare Draco, tra di loro, il cuore le mancò un battito. Tanta fu la paura, che si mise immediatamente a cercarlo con lo sguardo, senza rendersi conto che si era immobilizzata al centro della via principale, ed era così un facile bersaglio per chiunque. Difatti, un lampo di luce blu le sfiorò la gamba destra; solo allora la ragazza si decise a muoversi, pur continuando a guardarsi intorno alla ricerca del Serpeverde.
Lanciò un paio di incantesimi alle sue spalle, senza prendere la mira o sapere di preciso contro cosa stesse combattendo; dopo un Incantesimo Esplosivo scagliato senza ragione, dietro di sé udì lo scoppio di un'esplosione, e una ventata di polvere e detriti la avvolse, costringendola a fermarsi. Hermione tossì, la gola in fiamme a causa del pulviscolo che le aveva bruciato i polmoni, e quando la nuvola scura si diradò, vide due cose.
La prima fu Draco, che prendeva a calci con fin troppa violenza un uomo ai suoi piedi.
La seconda fu Greyback, che annusava l'aria con espressione feroce ed affamata.

Draco non riusciva a fermarsi.
Aveva sentito dire, da qualche parte, che la vendetta era un piatto che andava servito freddo. Lui poteva dire, con tutta certezza, che era una menzogna: perché gustare la propria rivincita con la rabbia nel sangue era molto, molto meglio.
Il Serpeverde calciava la schiena di Avery con una violenza inaudita, e ogni volta gli sembrava di sentire la colonna vertebrale del suo nemico spezzarsi sotto i colpi spietati che gli stava infliggendo. E anche se il Mangiamorte era già svenuto da due minuti buoni, lui continuava a infierire, incapace di trovare riposo. Perché stesse continuando a picchiarlo in quel modo, anziché usando qualche Maledizione Senza Perdono, non lo sapeva nemmeno lui; sapeva che tutta la rabbia che aveva in corpo non riusciva a scemare. Il suo sangue ribolliva nelle vene, e la sua mente era offuscata da un groviglio di pensieri di cui non riusciva a trovare il capo.
Si fermò solamente quando udì un urlo femminile risuonare nell'aria fredda. Gli sembrò di sentire quella voce straziante a rallentatore, e l'eco di quel grido di paura rimbombò prima nel suo cervello e poi tra i muri delle case del villaggio. Come risvegliato dalla trance collerica in cui era precipitato, Draco si placò. Il suo piede rimase sospeso a pochi centimetri dalla schiena di Avery, e poi toccò nuovamente il suolo, mentre il suo sguardo vagava rapido tra la folla alla ricerca della fonte di quella voce. Riuscì a individuarla in pochi minuti, e un moto di sollievo gli alleggerì il petto.
La Weasley era stesa a terra, e il suo corpo era scosso da fremiti inconsulti di dolore. A pochi metri da lei, Rabastan Lestrange, la bacchetta ancora puntata verso di lei, rideva malignamente, ignaro dello Schiantesimo che Potter gli aveva appena lanciato. Il corpo del Mangiamorte venne scagliato a circa dieci metri di distanza, e impattò forte contro il muro di una casa, che si sgretolò tanta fu la violenza dell'urto.
Draco non potè fare a meno di leggere un lampo di collera infuocata negli occhi di Potter; ma quella rabbia si trasformò immediatamente in apprensione, quando lui si piegò sulla ragazza. Il Serpeverde scosse il capo. Quell'idiota non era nemmeno capace di proteggere la sua donna. Lui, invece, era stato molto più previdente, e l'aveva nascosta. Perciò lei ora era al sicuro.
«Hermione, dietro di te!»
O no?

La voce di Neville la raggiunse un istante più tardi del necessario. Quando Hermione si voltò, gli occhi gialli e spietati di Greyback erano già a pochi centimetri dal suo viso. Il corpo del lupo mannaro la travolse con una forza inaudita, sbilanciandola. La ragazza perse l'equilibrio, e cadde all'indietro, abbattuta dal peso di quel mostro, che ora la sovrastava con la sua possanza fisica, senza lasciarle modo di replicare o contrattaccare.
Hermione strinse saldamente la bacchetta, unico suo appiglio, e quando la sua schiena urtò forte contro il suolo, emise un involontario rantolo di dolore, ma continuò a mantenere ferma la presa. Cercò di ignorare l'odore pungente di sangue e morte che quel mostro emanava, tentò di non pensare a quel fiato caldo e nauseante che le solleticava il collo, provò in tutti i modi a non guardare quegli occhi accesi di famelico desiderio, ma quando Greyback lanciò nell'aria un ululato, come per inaugurare la sua prossima vittima, il cuore di Hermione non potè fare a meno di accelerare i battiti. Il suo cervello annaspò per qualche istante, alla ricerca della soluzione, e quando si rese conto che le sue dita stringevano ancora la bacchetta, non impiegò più di qualche istante a pronunciare l'incantesimo.
«Everte Statim»

«Stupeficium» Il lampo di luce rossa sprigionato dalla punta della sua bacchetta si infranse sul fianco sinistro di Greyback con una violenza che lo spedì a parecchi metri di distanza. Senza aspettare di vedere dove il volo del Mangiamorte si sarebbe concluso, Draco corse verso Hermione, che si stava già rialzando, l'espressione confusa e spaventata al tempo stesso.
«Ti avevo detto di rimanere nascosta» la rimproverò subito, tradendo la paura e la rabbia con una sfumatura isterica nella voce. La aiutò a rimettersi in piedi, ma quando lei si rese conto che si stava completamente appoggiando a lui, si scostò, e lo guardò con espressione fiera e irata.
«Avevo tutto sotto controllo» precisò Hermione, guardandolo dritto negli occhi. La irritava la sola idea che lui potesse preoccuparsi per lei; in primo luogo perché lei sapeva badare a se stessa, e secondariamente perché lui non aveva più il diritto di interferire nella sua vita. Quando quel pensiero le attraversò la mente, lo stomaco fece una sgradevole capriola.
«E farsi sgozzare da un lupo mannaro sarebbe "sotto controllo" per te?» sbottò esasperato, afferrandole un braccio e scostandola bruscamente di lato. Si parò davanti a lei, e senza lasciarle il tempo di replicare urlò: «Impedimenta».
Greyback, che dopo essersi ripreso dalla potenza degli incantesimi congiunti dei due ragazzi era tornato alla carica, inciampò sui suoi stessi piedi e cadde lungo disteso a terra. Prima che potesse rialzarsi, Draco lo Pietrificò, e lo legò con corde salde e ben strette, cosìcchè non potesse più liberarsi.

Hermione sbattè le palpebre, confusa e sorpresa: si stava lasciando coinvolgere troppo dai suoi sentimenti, e stava perdendo la sua concentrazione. Non aveva né visto né sentito Greyback, e se Draco non fosse stato lì, pronto a proteggerla, probabilmente lei sarebbe morta. Era la seconda volta che scampava alla morte, nel giro di poche ore, e la cosa le faceva un certo effetto. Dentro di lei c'erano un sacco di pensieri e sentimenti contrastanti: fino a poco prima era del tutto decisa a perdonare il Serpeverde, ma quando l'aveva visto accanto a sé aveva provato una tale rabbia che tutti i suoi buoni propositi erano andati a farsi benedire. Adesso che lui l'aveva salvata di nuovo, la ragione le suggeriva che una certa dose di gratitudine non sarebbe certo guastata, eppure c'era ancora una parte di lei che si sentiva in dovere di essere arrabbiata con quel ragazzo che ora gli stava davanti e la guardava come in attesa di qualcosa.
Avrebbe voluto chiarire tutto proprio in quel momento. Chiedergli spiegazioni, urlargli in faccia tutto il suo dolore, la sua umiliazione, la frustrazione provata, la rabbia, l'indignazione; capire cosa l'avesse spinto a quel gesto, comprendere il motivo per cui le aveva mentito, sapere finalmente se davvero l'aveva tradita con Astoria Greengrass. Ma Hermione si rese conto che non voleva nessuna di quelle risposte, perché, qualsiasi cosa lui avesse detto, le avrebbe fatto troppo male, e non era disposta a lasciare che lui la vedesse crollare. Per di più, quello non era decisamente il momento di perdersi in chiacchiere e fare discorsi del genere. La Grifondoro se ne rese conto quando individuò con la coda dell'occhio Harry, impegnato in un doppio duello con Goyle e Rodolphus Lestrange: sembrava seriamente in difficoltà.
Hermione non si fermò nemmeno a dare spiegazioni a Draco: lo superò con un passo e poi corse verso il suo amico, consapevole che il suo sguardo la stava seguendo. Consapevole che lui si sarebbe arrabbiato, perché aveva preferito un suo amico a lui. Consapevole che probabilmente quella era l'ultima possibilità di guardarlo negli occhi e dirgli tutto quanto.
Prima che la verità dei suoi sentimenti affiorasse alle sue labbra, Hermione la cacciò indietro; puntò la bacchetta su Rodolphus Lestrange, e mormorò, piano ma decisa: «Confundus».

Draco la guardò andare via, e l'assenza di uno sguardo a confortarlo, e a dirgli che sarebbe andato tutto bene, e che lei sarebbe rimasta lì accanto a lui, lo ferì più della consapevolezza che la sua rabbia non sarebbe scemata così facilmente. Non ebbe, tuttavia, il tempo di rendersi conto di quanto quell'idea lo destabilizzasse: avvertì le gambe serrarsi tra di loro, e la bacchetta volargli via dalle mani, e un attimo dopo Yaxley lo fronteggiò con un ghigno beffardo sul volto.
Si era fatto fregare come un idiota, e tutto perché si era distratto per pensare a lei. Osservò le mosse lente con cui il Mangiamorte cercava di spaventarlo: il suo modo di aggirarlo, guardandolo da ogni angolazione, senza che lui potesse muoversi, e i movimenti lenti con cui alzava la bacchetta, sussurrando qualcosa e poi bloccandosi, come se stesse decidendo il metodo più doloroso o umiliante per farlo fuori. Alla fine, dopo aver stabilito l'incantesimo letale con cui avrebbe messo fine alla sua vita, levò la bacchetta e aprì la bocca per pronunciarlo. Draco sapeva già cosa lo aspettava, e doveva ammettere che in quel momento la paura lo atterrì a tal punto che pensò seriamente di implorare pietà.
Non avrebbe più potuto baciarla. Non avrebbe più sentito il suo calore sulla pelle, né il suo sapore sulle labbra. Non l'avrebbe più fatta arrabbiare, ma nemmeno avrebbe potuto vederla ridere alle battute dei suoi amici, o arrossire quando la guardava. Forse, in fondo, per lei sarebbe stato meglio così: anche se non avrebbe mai potuto trovare un uomo migliore di lui, naturalmente.
Draco guardò le labbra di Yaxley incurvarsi, per formulare quelle parole che lui aveva tanto temuto pronunciare due anni prima, su quella torre, davanti a quel preside che aveva già capito tutto. Tuttavia, la voce e l'incantesimo che risuonarono nell'aria, non furono quelle che si aspettava.
«Pietrificus Totalus».
Il Mangiamorte davanti a Draco divenne rigido e immobile; la bacchetta gli cadde dalle mani, ora serrate in un pugno, e lui, gelidamente fisso, cadde a terra come un pezzo di legno.
Paciock si avvicinò a lui, e dopo averlo liberato dal Locomotor Mortis, e avergli ridato la bacchetta, gli lanciò un'occhiata che lui non riuscì a decifrare.
«Tutto bene?» domandò, quasi come se fosse preoccupato per lui. Draco, in tutta risposta, grugnì, sinceramente ferito nell'orgoglio. Si era davvero fatto salvare la vita da Neville Paciock? Era quanto di più umiliante avrebbe potuto sopportare. Sperò sinceramente di non dover ricambiare il favore: scegliere se far vivere o morire un idiota del genere era una decisione che avrebbe preso senza pensarci due volte, e che di certo non sarebbe andata a favore di Paciock.
Il Grifondoro non attese che Draco diventasse più loquace: dopo essersi assicurato che stava bene, e che non aveva riportato danni fisici o mentali troppo gravi – se si eccettuava la cicatrice sanguinolenta che gli macchiava il petto – si allontanò di nuovo, lanciando incantesimi a destra e a manca.
Draco non perse tempo, e cercò immediatamente di individuare Hermione, nella mischia: forse lei non aveva nessuna intenzione di parlargli, né di perdonarlo, ma lui avrebbe comunque continuato a proteggerla. Non avrebbe sopportato una vita senza di lei: gli andava bene anche che lo ignorasse per il resto della sua esistenza, ma doveva vivere.
Eh, sì, la lucidità lo aveva decisamente abbandonato; ormai, nella sua testa c'erano solo pensieri folli. Stava addirittura diventando altruista. Che cosa disgustosa. Se ne rese conto quando, tanto per impegnare il cervello in riflessioni che non riguardassero la Granger, ingaggiò un duello con Selwyn.
«Reducto» urlò con quanto fiato aveva in gola. Il Mangiamorte fu sbalzato indietro da un esplosione di neve e detriti, ma riuscì comunque a lanciare, prima che fosse troppo tardi, una Fattura a Draco. Il ragazzo riuscì ad evitarla senza troppe difficoltà, visto e considerato che l'altro non aveva nemmeno avuto il tempo di mirare. La nuvola di polvere sollevata dal suo incantesimo, gli oscurò la vista del suo nemico per qualche minuto. Draco si guardò intorno, osservando con attenzione la situazione: gli Auror sembravano aver domato la resistenza senza troppa difficoltà.
Hermione e Potter stavano Incarcerando Goyle e Rodolphus Lestrange, molti metri più indietro; alcuni Auror avevano circondato due Mangiamorte che lui non aveva mai visto, probabilmente reclutati in quei mesi di silenzio; Paciock aveva appena lanciato uno Schiantesimo a Rowle, mettendolo così fuori gioco; la Weasley, nascosta alla vista degli altri dal tetto spiovente di un edificio ormai andato in pezzi, duellava ferocemente con quel giovane di cui Draco non conosceva l'identità, e sembrava seriamente in difficoltà.
Il Serpeverde, in un primo momento, pensò di lavarsene le mani: toccava a Potter occuparsi di lei, e sarebbe stata tutta colpa sua se lei fosse morta. E poi, un Weasley in più o uno in meno, che differenza faceva? Meno feccia nel mondo.
Poi, però, riflettendoci meglio, si rese conto di molte cose. Innanzitutto, che lui era l'unico capace di vederla, da quella posizione: i suoi amici erano troppo distanti, e i detriti la nascondevano completamente alla vista. Secondariamente, capì che Hermione non gliel'avrebbe mai perdonato, e che di certo sarebbe stata molto triste se lei fosse morta, dato che era una delle sue migliori amiche. Infine, si ricordò del Patronus di Potter: lui aveva salvato Hermione. Quel pensiero dapprima servì solo a far crescere in lui la rabbia: com'era possibile che quell'idiota fosse stato in grado di salvare la sua donna, quando lui per primo non ci era riuscito? Poi, capì che, in ogni caso, era una cosa che non poteva cambiare, e che l'importante era che lei fosse salva. Questo, però, significava che lui aveva un debito con Potter.
Infine, davanti agli occhi di Draco balenò un'immagine che lo atterrì e lo spiazzò al tempo stesso: improvvisamente, i capelli della Piattola si ondularono, e divennero ricci, e crespi; il suo volto cambiò e si trasformò in quello della Granger, e in poco tempo lì, al posto della Weasley, c'era lei, la sua donna. Hermione. Hermione che veniva investita dal fascio di luce verde, Hermione che cadeva a terra come una marionetta i cui fili sono stati abbandonati, Hermione che chiudeva gli occhi, Hermione che moriva. Morta. Perduta per sempre, lontana, inarrivabile com'era sempre stata.
Senza pensarci due volte, Draco corse rapidamente verso la Weasley – la Weasley che era di nuovo la Weasley, e non più Hermione; ma lui era troppo occupato a correre per badare a inezie del genere. Si rese conto solo in quel momento che era disarmata, e che il Mangiamorte aveva appena urlato le due paroline magiche.
«Avada Kedavra».
Non c'era tempo. Draco era ancora troppo lontano da quei due, perché potesse riuscire a fare qualsiasi cosa – frapporsi tra la Weasley e la Maledizione, per esempio. Allora fece l'unica cosa sensata che potesse fare in quel momento, l'unica che gli venne in mente: sollevò la bacchetta e urlò, con quanto fiato aveva in gola: «Protego». Draco avvertì la potenza dell'Incantesimo pungergli le dita e propagarsi lungo il braccio: un formicolio fastidioso gli pizzicò la pelle, ma lui continuò a mantenere salda la presa sulla bacchetta. La luce che si sprigionò da essa quasi lo accecò, eppure lui, socchiudendo gli occhi, riuscì a osservare quel lampo bianco che, dalla punta del piccolo bastoncino di legno, si espanse, andandosi a infilare esattamente tra il Mangiamorte e la Weasley.
La ragazza era a dir poco atterrita, e sembrava aspettare la fine con il terrore negli occhi: immobile e tremante, il suo sguardo era spalancato dalla disperazione, eppure c'era un sorriso quasi inquietante sul suo volto. Quando quella barriera splendente si interpose tra lei e il lampo di luce verde che rapidamente le stava andando incontro, aggrottò le sopracciglia, senza capire cosa stesse succedendo. Draco pensò che probabilmente riteneva di essere già morta.
Il Serpeverde era sorpreso dalla potenza della sua stessa magia, ma non perse tempo a farsi domande, troppo impegnato a mantenere salda la presa sulla bacchetta, di modo che lo scudo non si frantumasse prima di aver assolto il suo compito. Non dovette aspettare molto: quando l'Anatema si infranse sulla barriera di luce, questa esplose in mille frammenti, dissolvendo insieme anche il lampo di luce verde assasina. La mano di Draco tremò, e sia lui che la Weasley furono sbalzati indietro, per motivi diversi ma complementari: l'uno per il rinculo dell'incantesimo, l'altra per la sua potenza distruttrice.
Il ragazzo, confuso, avvertì la bacchetta spezzarsi tra le sue dita. L'impatto con il suolo non fu eccessivamente violento, perché lui si trovava ancora a una distanza di sicurezza rispetto al luogo in cui l'incontro delle due magie aveva provocato quella deflagrazione. Tuttavia, bastò a mandarlo in confusione.
L'unica cosa che vide, fu un'ombra calare su di lui. L'unica cosa che avvertì, fu un dolore intenso al petto. Poi, il buio.

Duellare spalla a spalla con Harry non era mai stato così difficile e sbagliato. Hermione era fisicamente accanto all'amico, ma la sua testa era lontana, sintonizzata su lunghezze d'onda diverse, opposte a quelle del ragazzo. Se un tempo riuscivano a capirsi con uno sguardo, e leggersi nella mente senza bisogno di parlare, in modo da lanciare incantesimi efficaci e complementari, adesso sembravano ostacolarsi a vicenda. Non c'era complicità, non c'era affinità, e la confusione della ragazza sembrava solo essere un peso per la decisione di Harry, che aveva imparato a combattere con nuova ferocia.
Harry Potter non l'avrebbe mai ammesso, ma aver ucciso un uomo, per quanto giusto e salvifico per il mondo avesse potuto essere, l'aveva cambiato per sempre. Si era distrutto qualcosa, dentro di lui, e non era stato solo l'Horcrux che c'era all'interno della sua anima; una parte di essa era andata perduta per sempre. Era quella più pulita e ingenua, quella più pura e distante dalla malvagità, infine corrotta da quell'Anatema rimbalzato verso il suo nemico.
Sarebbe stato facile, a quel punto, uccidere ancora: le sue mani avevano già compiuto il crimine più efferato, le sue dita avevano già ucciso una volta, e sarebbe stato semplice credere che ripetere quell'orrendo atto non era poi così difficile. Ma se c'era una cosa che Harry aveva imparato in quegli anni, era che l'amore poteva sempre fare la differenza. E lui, di amore, ne aveva tanto. Duellava per la sua ragazza, a pochi metri da lui, potenzialmente in pericolo: doveva sbrigarsi a concludere con quell'uomo, per poi correre a salvarla. Duellava per la sua migliore amica, nonostante tutto ancora accanto a lui: l'aveva salvata anche se non condivideva le sue scelte, e avrebbe continuato a farlo fino alla fine. Duellava per i suoi cari, e per il mondo che sarebbe stato: un mondo libero dal male e dalla corruzione, un mondo pulito in cui sarebbe stato semplice, e bello, vivere con un sorriso. Un mondo in cui la crudeltà e il dolore che avevano vissuto sarebbero stati solo un ricordo lontano. Era quello che concedeva al giovane la forza di andare avanti, era quello il motivo per cui ogni giorno si recava in ufficio, era quella la ragione per cui era diventato un Auror.
«Impedimenta» urlò Hermione accanto a lui. Rodolphus Lestrange incespicò e cadde a terra, ma prima di precipitare verso il suolo lanciò alla ragazza un incantesimo, centrandola in viso.
«Diffindo». Sulla fronte della Grifondoro si aprì un lungo taglio, ma le gocce di sangue che le scivolavano lungo la fronte non la distrassero dal suo compito.
Mentre Harry Disarmava Goyle, lei si curò di Pietrificare il Mangiamorte che aveva appena atterrato, rendendolo infine innocuo. Nello stesso momento, però, l'avversario del suo migliore amico, resosi conto di essere inerme senza la sua arma, si lanciò contro il Ragazzo Sopravvissuto, schiantandosi con tutta la sua mole sul suo corpo esile. Harry cadde a terra, sopraffatto da Goyle, e perse la presa sulla bacchetta. Tuttavia, non ebbe tempo di reagire, perché prima ancora di poter anche solo pensare di ripararsi dal pugno che il Mangiamorte stava caricando, intervenne Hermione, che Schiantò il nemico, liberando Harry dal suo peso. L'amica lo aiutò a rialzarsi, rivolgendogli un sorriso sghembo che lui ricambiò con poca enfasi, benchè fosse grato alla ragazza per il suo intervento.
Hermione si rese conto di essere sfinita solamente quando l'ultimo centimetro di corda fuoriuscì dalla punta della sua bacchetta, avvolgendo il corpo nerboruto di Goyle. Avvertendo la testa pulsare in modo fastidioso, si strofinò la fronte, sulla quale aveva un taglio poco profondo, e il suo sangue si mischiò a quello di Draco, che già le macchiava i polpastrelli. Non se ne rese nemmeno conto, e solamente quando gli Auror del Ministero, vinta ogni resistenza, si avvicinarono a lei e ad Harry, capì che era finita.
Neville li raggiunse poco dopo, facendo levitare il corpo privo di sensi di Rowle fino al mucchio di prigionieri che avevano catturato quel giorno.
«Mancano solo Selwyn e Thompson. Saranno riusciti a fuggire, probabilmente» considerò Harry stancamente. Hermione osò lanciargli un'occhiata, ma lui sembrava deciso ad evitare il suo sguardo. Lottare insieme a lei era stato strano: familiare, e rassicurante, ma c'era qualcosa di freddo, tra di loro, come un'intesa spezzata che sarebbe stato difficile ritrovare. La ragazza sospirò, guardandosi intorno: il villaggio riportava i segni evidenti del conflitto, e qua e là c'erano case distrutte e macerie fumanti. Gli abitanti cominciavano, lentamente, a uscire dai loro nascondigli, ancora incerti e spaventati, le bacchette in mano e gli sguardi allucinati e inquieti. Hermione guardò Harry, e poi Neville: entrambi sembravano stanchi almeno quanto lei, ma non volevano in alcun modo darlo a vedere. Erano feriti, e le loro vesti erano sbrindellate in più punti, ma saperli vivi era un sollievo tale che lei non potè fare a meno di sorridere. Spostò ancora lo sguardo, e solo allora si rese conto di aver cantato vittoria troppo presto.
«Dove sono Ginny e Draco?» domandò con il cuore in gola. Il secondo nome le fluì dalle labbra in modo del tutto naturale. Non lo chiamò Malfoy, anche se era arrabbiata, perché in quel momento la collera era totalmente cancellata dalla paura. Nonostante tutto, non potè fare a meno di pensare a lui, di essere preoccupata per lui. Non lo vedeva, non riusciva a individuare né lui, né la sua migliore amica, e una paura tremenda le strinse le viscere quando se ne rese conto.
A quella domanda, Harry sgranò gli occhi, e lei vide la stessa paura che avvertiva nel suo corpo accendersi nello sguardo smeraldino del suo migliore amico. Il Ragazzo Sopravvissuto e Neville scattarono in due direzioni diverse prima ancora che lei avesse il tempo di dire altro, ed Hermione fece lo stesso, pregando dentro di sé di trovarli, entrambi, ancora vivi.
Fu in quel momento che l'urlo del Mangiamorte spezzò il silenzio e risuonò, sinsitro e spaventoso, nel cielo del villaggio. Quando la formula dell'Anatema che Uccide giunse alle orecchie dei presenti, tutti si immobilizzarono, come se non volessero credere alle loro orecchie.
Hermione vide qualcosa di spaventoso, negli occhi di Harry, un dolore antico e inenarrabile che sapeva si stava riflettendo anche nel suo sguardo. Perché in quel momento si sentì morire. Le gambe le cedettero, e lei piombò a terra, lottando contro le lacrime e la disperazione.
«Guardate!» Qualcuno urlò quell'avvertimento e il cuore della Grifondoro balzò in petto e, seppur spezzato, riprese a battere più velocemente che mai; una nuova speranza si accese dentro di lei, prima ancora che il suo sguardo seguisse la traiettoria di quel dito, che indicava un punto poco lontano.
Molti metri più avanti, dietro un muro diroccato e ancora fumante, si sprigionò una luce potente e luminosa, che rischiarò a giorno il cielo di Hogsmeade, ormai scurito dal sopraggiungere del tramonto. Un mormorio sorpreso e inquieto pervase la folla che si era riunita in quel punto. Hermione vide Harry correre verso quella luce il più velocemente possibile; lei avrebbe voluto fare lo stesso, ma non riusciva a muovere un muscolo.
«Che cos'è?» domandò una donna, in mezzo alla folla.
«Un Incantesimo Scudo» rispose Hermione meccanicamente, come se quella fosse una lezione e la sua risposta, preparata e puntuale, potesse diradare in un attimo la paura e l'angoscia. Era un Incantesimo Scudo, sì, e lei l'aveva riconosciuto subito; era, anche, l'Incantesimo Scudo più potente che lei avesse mai visto. Ma la ragazza non potè fare a meno di domandarsi cosa potesse un Incantesimo Scudo contro la potenza distruttrice di una Maledizione Senza Perdono.
La risposta giunse pochi minuti dopo, tra le braccia di Harry.

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Nota dell'autrice:

Eccomi qui, tornata con un nuovo capitolo. Questa volta sono riuscita ad aggiornare in fretta; in realtà avevo già finito di scrivere questo capitolo giorni fa, ma ho preferito revisionarlo e, soprattutto, scrivere qualcosa del prossimo in modo da non lasciarvi troppo con il fiato sospeso, data la fine di questo.
Un solo appunto: il "Thompson" che entra in scena in questo scontro altri non è se non quel Basil Thompson precedentemente citato, rapito dai Mangiamorte per rafforzare le loro fila. E, in caso non fosse abbastanza chiaro, è sotto Imperius!
Un bacione, e alla prossima!

IL FANTE DI PICCHE E LA DAMA DI CUORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora