Capitolo 16. Droga e ossessione

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Se c'era un posto che Hermione Granger potesse considerare casa, quello era Hogwarts. Non poteva essere diversamente, poiché aveva passato la metà della sua vita in un mondo che aveva poi scoperto non appartenerle. A undici anni, un gufo dagli occhi color ambra, con una lettera stretta nel becco, le aveva comunicato la sua appartenenza al Mondo Magico, e da allora la ragazza si era sempre sentita un po' fuori posto in quello Babbano, stretta in catene che non le permettevano di esprimere appieno il suo potenziale. Quando, invece, era arrivata in quella scuola, non solo aveva trovato un clima amichevole e sereno – a parte alcune rarissime eccezioni, che rientravano sotto il nome di Malfoy, attualmente mutato da acerrimo nemico a desiderato amante – ma era riuscita a sviluppare il suo talento, l'ingegno di cui la natura l'aveva dotata, nonché la smodata curiosità che l'aveva sempre contraddistinta. Poter parlare liberamente di vasi magicamente ricostruiti, e di libri che, una volta finiti, mutavano la propria storia offrendo sempre una lettura diversa, era per lei una liberazione: non doversi più nascondere significava provare un senso di pienezza e serenità che non le apparteneva più da quando, a cinque anni, aveva fatto cadere con la sola forza del pensiero una mensola addosso a Michelle Darren – perché lei si era permessa di criticare i suoi capelli, definendoli "orridi e cespugliosi". Hermione Granger aveva insomma trovato ad Hogwarts quello che non aveva ricevuto nemmeno dai suoi preoccupatissimi genitori: comprensione.
Non c'era dunque da meravigliarsi se alla fine del banchetto, subito dopo la presentazione della nuova professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure, Pallida Dumont – il cui nome rendeva giustizia alla sua carnagione, rispecchiata anche dalla figlia quindicenne che si era portata dietro dalla Francia – Hermione era sgattaiolata via in direzione del parco, lasciando al nuovo Prefetto di Grifondoro il compito di guidare gli studenti del primo anno su nel dormitorio.
Camminava con lo sguardo perso in quell'erba che aveva visto consumarsi tragedie ben peggiori della rottura di una coppia: sebbene ad ogni angolo ci fossero dolcissimi ricordi, ogni qual volta la ragazza si soffermava troppo a lungo sulla pietra antica dell'edificio notava qualche bruciatura scura o qualche sbreccatura nel muro che rendeva giustizia ai morti, riportando in vita la loro memoria e quella di una battaglia troppo recente per essere dimenticata. Un brivido attraversò la schiena di Hermione, e lei non era certa se fosse stata il recente refolo di vento, oppure quelle memorie violente che si avvicendavano nella sua mente.
«In qualità di Caposcuola, dovresti accompagnare i marmocchi nel vostro dormitorio» La sua voce, fredda e quasi annoiata, la strappò a riflessioni tristi che le avevano offuscato lo sguardo con un velo di lacrime. Lui non mancò di notarlo, però non ne fu soddisfatto, o compiaciuto; anzi sembrò abbassare la guardia e svestirsi della sua algida alterigia, in favore di un'espressione pur sempre distaccata ma un po' meno superba.
«E tu allora?» replicò lei con sussiego, traendo un respiro profondo per intimarsi la calma così da non crollare davanti a lui: glielo impediva il suo orgoglio, e la volontà di non farsi mai vedere fragile, soprattutto non davanti a lui, che aveva già visto troppo, scoperto troppo, distrutto – e al tempo stesso costruito – troppo.
Draco fece spallucce, sul volto un'espressione neutra, negli occhi una luce curiosa: osservava con intensità la ragazza, come se stesse cercando di sondarne l'anima, per carpire quelle emozioni che le avevano agitato il cuore fino a far straripare quel fiume che si era infine trattenuto sull'orlo delle ciglia scure. Avanzò di un passo, mentre lei, immobile e con lo sguardo dignitosamente puntato sul suo volto, lo fissava profondamente, ma con animo combattivo e ostile: sapeva che era solo questione di tempo prima che lui tirasse fuori il suo lato infido e meschino.
Hermione attese un minuto, poi due, poi tre; passarono istanti silenziosi, attimi strappati a una notte quieta e fresca che assisteva tacitamente a quello scambio di sguardi profondi. Hermione aspettò, ma non successe nulla: lui continuava a fissarla con una specie di indecisione inusuale negli occhi cinerei, e quando alla fine distolse lo sguardo per fissare le iridi nel cielo scuro, lei si sentì come svuotata di ogni volontà. Fece scivolare lo sguardo sui suoi zigomi decisi e pallidi, lungo il naso dritto e sottile, e si soffermò a lungo sulle labbra, appena socchiuse in un'espressione indecifrabile: sembravano morbide e umide, e lei si immaginò – si ricordò – il suo sapore, e desiderò sentirlo ancora sulle sue labbra. Sapeva di non poterlo baciare – avrebbe permesso che lui scoprisse sentimenti con cui lei stessa non era ancora pronta a fare i conti – eppure sperò intensamente di avere il coraggio di farlo. E nell'istante in cui lo pensò, lui, come se avesse intuito i suoi pensieri, si voltò verso di lei, la raggiunse con una falcata decisa e si impossessò delle sue labbra con violenza. Quel bacio prepotente, estorto senza gentilezza, spense sul nascere il gemito di sorpresa di Hermione, che si abbandonò un po' troppo languidamente, e in modo troppo rapido, tra le sue braccia, ricambiando l'abbraccio della sua bocca con un'intensità tale che lui si staccò per un attimo, guardandola con lo stesso stupore che aveva colto lei quando lui aveva accennato quel gesto. Fu un istante, un breve scambiarsi di sguardi rubati a momenti fugaci tra labbra troppo vicine – il castano scuro di lei che tremava tra i ghiacciai delle sue iridi tempestose – poi ancora una volta lui affondò tra le sue labbra, e senza attendere risposta si fece strada tra i suoi denti, dentro la sua bocca, e con la lingua accarezzò ogni angolo recondito della sua cavità orale, in un violento ma ricambiato gioco di lussurioso desiderio.
Il cuore di Hermione accelerò i battiti quando il respiro del ragazzo le si spezzò dentro la bocca, e quando lei sentì il suo braccio cingerle i fianchi e tirarla verso di sé con prepotenza e possesso gli circondò il collo con le braccia, lasciando affondare le dita tra i suoi capelli e ricambiando quel bacio con tanta intensità che per un attimo le mancò il fiato. Fu lui a concederle respiro, scacciandola con la stessa violenza con cui l'aveva presa: la spinse indietro, e la guardò con gli occhi sgranati, quasi incredulo per ciò che era successo. Aveva le labbra gonfie, e sul volto si era diffuso un rossore inusuale per la sua carnagione; ma ciò che più disturbò Hermione fu l'espressione sgomenta con cui la guardava, la stessa con cui lei ricambiò quello sguardo stupito. Entrambi con il respiro affannoso, si studiarono a lungo, nella mente pensieri diversi eppure complementari.
Hermione non capiva cosa l'avesse spinto a baciarla, e ancora di meno riusciva a spiegarsi il motivo per cui, dopo averla cercata, l'aveva respinta; eppure, continuava a desiderarlo ancora, forse in modo ancora più bruciante di prima. Draco Malfoy era come una droga: una volta assaggiato, non se ne poteva più fare a meno. Solo che evidentemente non era a conoscenza di questa sua capacità di creare assuefazione, perché dopo qualche minuto di intenso scrutare, sul volto quell'espressione incredula, le voltò le spalle e con passo rapido si allontanò da lei, lasciandola sola nel bel mezzo del prato di Hogwarts, sulla pelle il suo profumo, e sulle labbra il suo sapore – a ricordarle per sempre la promessa silenziosa di un amore che, forse, lui non avrebbe mai ricambiato.

IL FANTE DI PICCHE E LA DAMA DI CUORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora