Capitolo 3. Frustrazione

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  Il buio impenetrabile di quel luogo disturbava i sogni di Draco Malfoy da quasi due mesi, ormai. I sotterranei in cui era costretto a nascondersi, esule in terra autoctona, erano a qualche metro sotto terra, e nessuna finestra alleviava quell'oscurità fitta che era diventata la sua unica compagnia e la sola confidente di sogni e pensieri. Nessuna magia avrebbe mai potuto interrompere l'incubo della notte eterna in cui viveva il ragazzo, tanto più che doveva restare il più nascosto possibile; e in ogni caso, quelle segrete, erano state studiate non certo per ospitare il giovane erede dei Malfoy, che era abituato a dormire tra raffinate sete e lini preziosi.
Eppure, in quel momento, il volto di Draco era appena illuminato da una luce bluastra, proveniente da un'unica fiammella che galleggiava pigramente a pochi metri dalla sua testa, proiettando il suo freddo chiarore in un'aureola di luce che rischiarava di poco lo spazio intorno a lui. Le mani incrociate dietro la nuca, il ragazzo la fissava svolazzare sopra di sé con fredda indifferenza, eppure qualcosa nei suoi alteri occhi grigi indicava chiaramente che non la vedeva davvero; che i suoi pensieri erano persi in una dimensione lontana e intimissima. E infatti la mente del ragazzo era una frenetica officina di sensi di colpa e combattute intenzioni. Da quando, qualche giorno prima, quell'insopportabile e nauseante Mezzosangue aveva illuminato quella che ormai era diventata la sua casa con il suo fuoco magico, gli era sembrato che anche la sua vita fosse rischiarata da una speranza, ardita e lontanissima, ma pur sempre reale. Anche se riluttante, era stato costretto a lasciarla andare: se l'avesse uccisa subito, la sua sparizione avrebbe destato sospetti; in più, l'incantesimo con cui lei aveva sigillato le porte della sala da ballo sarebbe stato spezzato da un suo eventuale decesso, il che avrebbe permesso agli altri Auror di entrare nella grande stanza, individuare il passaggio segreto e, infine, raggiungerlo. E di certo l'omicidio di quella disgustosa So-tutto-io Zannuta non avrebbe attenuato la lista delle sue condanne. Così l'aveva osservata mentre si allontanava, e con lei se n'era andata quell'unica compagnia umana in cui aveva osato sperare, seppur rivoltante e dal sangue sporco. La solitudine fa brutti scherzi: fra le infinite violenze a cui si abbevera la pazzia, la più sottile e inattaccabile è il silenzio, scomodo compagno di una vita vissuta a metà, per il fuggiasco Purosangue che in tempi più appropriati, quando l'adolescenza era ancora alle porte, e gli occhi da bambino gli permettevano di anelare al meglio, aveva sognato per lui un futuro ricco e appagante; ed ora, era costretto a sopravvivere, nascosto da tutti, una condanna ad alitargli sul collo e a ricordargli la sua ingenua follia, e come unica compagnia un'elfa domestica e una madre che, seppur amorevole, era diventata una molesta e inopportuna convivente, con le sue attenzioni muliebri – nonostante l'innegabile senso materno e il premuroso affetto con cui giornalmente lo nutriva.
Ma da qualche giorno, il suo pensiero fisso erano due occhi scuri che gli avevano garantito tacite promesse di un'eventuale e futura libertà. E anche se l'aiuto proveniva da una delle persone che avevano causato il suo crollo e alimentato il suo fallimento, non poteva certo negare che era grazie a Potter e ai suoi amichetti se lui era ancora vivo. L'evidente e sciocco senso civico Grifondoro gli era tornato utile nella Stanza delle Necessità, quando l'onestà e l'immancabile eroismo potteriano avevano sovrastato i pregiudizi e accatastato anni di umiliazioni, lotte e accanimenti in favore della sua vita. Draco Malfoy giustificava il tutto come una sorta di riscatto all'aiuto che lui gli aveva concesso quando, molto tempo prima e qualche piano più su, Potter era capitato tra le grinfie di Greyback e lui aveva negato di riconoscerlo; e quando sua madre, durante la battaglia, l'aveva dichiarato morto barattando la sua salvezza per quella dell'amato figlio. La realtà delle cose era leggermente diversa, ma questo l'altero Purosangue non lo sapeva, o, se lo sospettava, continuava a negarlo fermamente. O forse non aveva tempo per soffermarsi su quegli sciocchi dettagli, troppo occupato a contemplare con disprezzo e un'assidua dose di lamentele la sua situazione di prigioniero innocente.
La meschinità era sempre stata una delle caratteristiche predilette da Salazar Serpeverde, e Draco Malfoy non ne era certo sprovvisto; di sicuro, se avesse visto nelle intenzioni dell'amichetta di Potter una qualche possibilità di salvezza, non avrebbe esitato nell'usare quella sudicia Nata Babbana per raggiungere il suo scopo. Perché di questo si sarebbe trattato: di un subdolo piano da lui, e solo da lui, opportunamente approntato, per torcere a suo favore la situazione che si era creata. D'altronde, aveva ereditato da suo padre la sottile arte della manipolazione. Ma, e quello era il principale motivo della sua perplessità, non era riuscito a leggere le vere intenzioni della giovane Grifondoro. Il che era assolutamente fuori dall'ordinario.
Oh, se c'era una cosa in cui Draco Malfoy eccelleva – oltre al Quidditch, Pozioni, e innumerevoli altre cose che nemmeno si disturbava ad elencare, tanto era certo del suo talento – quella era la Legilimanzia. E difatti, senza che la Mezzosangue se ne fosse minimamente accorta, aveva abilmente frugato in quella sua brillante testolina rivivendo come spettatore la sua discussione con San Potty e Lenticchia – tralasciando la disgustosa scenetta iniziale con quest'ultimo – intuendo il suo progetto. Eppure c'era ancora qualcosa che gli sfuggiva. Probabilmente la sua limitata ed egoista mentalità da Serpeverde gli impediva di vedere le buone intenzioni che animavano i tre coetanei, e al contrario gli consentiva di leggere inesistenti e quanto mai assurde trame più subdole di quanto non fosse lui stesso. Non gli era ancora chiaro il perché di quell'aiuto provvidenziale, ed era certo che ci fosse altro, qualche tornaconto personale per Potter che lui non aveva ancora ben chiaro.
Le continue umiliazioni che aveva subito da quando, su quella torre, non aveva adempiuto al suo compito, bruciavano ancora come cicatrici vive, ferite purulente che infettavano la sua anima e la sua dignità; accettare l'aiuto di una Mezzosangue, per di più Grifondoro, avrebbe significato sottostare a una legge che da sempre sdegnava.
L'eco di un'intima battaglia segreta rimbombava nella testa del giovane, combattuto tra orgoglio e speranza, quando un leggero "pop" interruppe il filo dei suoi pensieri. Il suo sguardo si spostò verso il cancelletto, dietro il quale una minuscola sagoma in ombra dagli enormi occhi color nocciola sostava immobile, attendendo che lui si accorgesse della sua presenza. Quando incrociò lo sguardo grigio del giovane, sembrò quasi sorridere.
«Buonasera, Padrone»una piccola elfa domestica aprì la porticina di ferro con un delicato calcio, e fece il suo ingresso nel cerchio di luce lanciato dalla fiammella, reggendo tra le mani un vassoio carico di cibo dall'aspetto delizioso. Draco si mise a sedere con una minima contrazione degli addominali, senza ricambiare il saluto né aggiungere parole. La creaturina, con uno sforzo notevole, poggiò il vassoio sul traballante tavolino – di una ventina di centimetri più alto di lei – e poi guardò il giovane con un ghigno che ricordava vagamente un sorriso.
«La Signora»c'era un reverenziale timore nella sua voce quando pronunciò quel nome «mi ha chiesto di annunciarla»Flika si torceva le mani con una certa, velata paura intrisa negli occhi castani, le orecchie abbassate come un animale colto in trappola. Il giovane stava per addentare una coscia di pollo, quando la comunicazione gli giunse all'orecchio. Sgranò gli occhi, e fece appena in tempo a stendersi prono sulla branda, allungandosi il più possibile per raggiungere la bacchetta sotto il cuscino, e far sparire la fiammella azzurrognola che fluttuava nell'aria, prima che con passo altero Narcissa Malfoy facesse il suo ingresso, accompagnando la sua trionfale entrata in quel tugurio con voce carica d'affetto.
«Draco»
«Madre»replicò il giovane con un leggero cenno del capo, il timbro educato e rispettoso e gli occhi ciechi nell'improvvisa oscurità, che dopo qualche minuto fu diradata da un globo di luce argentea che scaturì dalla punta della bacchetta di Narcissa e si posizionò a pochi centimetri dal soffitto, esattamente al centro della stanza, come fosse stata la strobosfera di un'affollata discoteca babbana. Chiaramente quel posto non poteva essere più lontano da un luogo del genere, non solo perché era meno che affollato – in quel momento più del solito comunque – ma anche e soprattutto perché niente che somigliasse vagamente a qualcosa di babbano avrebbe mai insozzato la preziosissima casa o il purissimo nome dei Malfoy. Mantenendo sul volto un'espressione imperturbabile, la donna ripose la bacchetta nella tasca interna della veste cremisi che indossava, e si diresse a passi eleganti verso il figlio: lo accolse in un abbraccio che sembrava una pura circostanza, ma egli poteva sentire il calore che la madre cercava di trasmettere in quel semplice gesto. Come coronamento a quell'idilliaco quadretto familiare, Narcissa impresse un bacio leggero sulla fronte bianca del giovane, per poi allontanarsi in uno svolazzo di stoffe: Draco avrebbe giurato di aver visto l'ombra di un sorriso dipinto sul volto distaccato della donna. Ma quando si voltò, il suo viso era di nuovo una maschera di freddezza.
«Quale vergogna dobbiamo subire. Un Malfoy costretto a vivere come un'esule...»sentenziò con astio, gli occhi che soppesavano quella grigia e spoglia stanza circolare. Si soffermò brevemente sulle catene abbandonate, arricciando il naso con evidente disgusto, poi, sospirando, spostò lo sguardo scuro sul figlio.
«Come stai?»domandò schioccando le labbra rosee, prive di qualsiasi belletto ma non della loro naturale beltà. Senza attendere risposta, scosse il capo, lasciando che la chioma dorata ondeggiasse nell'aria: il suo sguardo, con apparente indifferenza, percorse il perimetro della stanza mandando lampi di disprezzo intorno. «Come vuoi stare, in un simile posto»Parlò più a se stessa, che al figlio, e solo allora si rese conto che Flika era rimasta in piedi accanto al vassoio poco prima portato, e li osservava un po' incerta. Gli occhi chiari della donna si posarono con disprezzo sulla creaturina, e con un sopracciglio inarcato e voce aspra, la rimproverò come solo una Black avrebbe saputo fare. «Sei ancora qui? Va' via, stupido essere»Se la serafica calma e il contegno femminile di cui era dotata Narcissa Malfoy non avessero preso il sopravvento, persino in quel luogo dimenticato da Dio e non visto da nessuno, probabilmente nulla avrebbe risparmiato alla povera Flika un calcio ben assestato nel di dietro; ma quella, sicuramente abituata a un trattamento ben peggiore, considerò che fosse più saggio sparire, prima di alimentare ancora la rabbia della sua padrona, e prima che ella perdesse la sua calma e la sua proverbiale compostezza. Dopo che l'elfa si fu Smaterializzata, la donna fissò per un attimo il punto in cui era scomparsa, per poi spostare lo sguardo, addolcito dal miele materno, sul giovane, che gli rivolse un sorriso stentato. Lei rispose a quel pallido fantasma di cortesia con un sospiro, e si avvicinò a lui; facendosi coraggio – forse il Cappello Parlante aveva sbagliato a collocarla in Serpeverde, e se l'avesse vista in quel momento, il naso storto e uno sguardo di puro disgusto sul viso, mentre con ponderata lentezza si sedeva su quella branda pulciosa e sudicia, si sarebbe di certo accorto dell'errore, e avrebbe pensato che in fondo Grifondoro la meritava più di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere – si sedette accanto al ragazzo e gli cinse le spalle in un abbraccio, la testa poggiata sul capo biondo del figlio. Prese ad accarezzargli i capelli chiari, e con tono consolatorio gli parlò in un sussurro mielato.
«Ti prometto che tutto questo finirà presto. Vedrai, Draco, troverò il modo...»lei stessa sembrava pensierosa, forse stava cercando di capire come avrebbe potuto aiutarlo; il suo tono, in ogni caso, non era convinto quanto le sue intenzioni.
«Non devi preoccuparti, madre»sospirò il ragazzo. Per un momento, sembrò indeciso se rivelargli o meno di quell'incontro con la Mezzosangue, ma ci ripensò subito; tuttavia le madri hanno la straordinaria capacità di leggere i cuori dei figli, meglio di quanto la Legilimanzia potrebbe concedere.
«Qualcosa non va Draco?»alzò di poco la testa, cercando di incrociare lo sguardo del figlio, lo stesso che aveva ereditato da Lucius, lo stesso di cui si era innamorata – due volte, una a scuola e l'altra quando per la prima volta l'aveva preso, neonato, tra le braccia. Lui si affrettò a scuotere la testa.
«Sono solo stufo di questa stupida prigionia»il giovane cercò di mantenere un tono neutro, ma la rabbia e la frustrazione di cui era impregnata quell'ammissione di debolezza smascherò i suoi reali sentimenti e strappò un sorriso intenerito a Narcissa, che gli accarezzò la guancia con la mano ben curata. Draco non l'avrebbe mai ammesso, ma poter sfogare quell'umiliazione con qualcuno – e la madre era l'unica persona con cui, per orgoglio, si potesse concedere questo lusso – era più che gratificante; lo faceva sentire leggero, per un minuto o due.
«Mi dispiace tanto.»il suo tono era dolcissimo, ma qualcosa in fondo al suo sguardo prometteva vendetta, e mandava lampi di rabbia che in ogni caso non erano rivolti a lui. La donna sospirò, e si alzò in piedi con indicibile eleganza.
«Dormi bene, figlio mio» si congedò in un sussurro, con la stessa indifferenza con cui era arrivata, eppure in quella stanza aveva lasciato lo strascico di un affetto che solo suo figlio poteva leggerle nel viso. Non appena la sua figura cremisi sparì dietro la curva a gomito del buio corridoio, il globo di luce che lei stessa aveva evocato scomparve lasciando Draco nell'oscurità fitta della sua prigione.

IL FANTE DI PICCHE E LA DAMA DI CUORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora