Capitolo 4. La Rocca del Serpente

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  Quando, la mattina dopo, Hermione si svegliò, ci mise qualche secondo a mettere a fuoco il luogo in cui era, a fare mente locale, ricollegare tutto, e rendersi infine conto di dove si trovasse, e, soprattutto, con chi. Dopo pochi minuti di riflessione, si accorse inoltre di essere terribilmente indolenzita: si era addormentata sul freddo pavimento del salotto, perché Malfoy, da bravo gentiluomo, si era steso sul vecchio divano sdrucito che costituiva l'unico arredamento di quella spoglia stanza, oltre il camino e un ormai cadente tavolino. Benchè rovinato, il parquet resisteva ancora, e aveva assorbito il calore del sole di Luglio, rilasciandolo lentamente durante quella notte sul corpo della ragazza; ciononostante, era piena di dolori. Lanciò uno sguardo di sottecchi a Draco: dormiva ancora beatamente, in una posizione tutt'altro che elegante.
La ragazza si alzò, le braccia che le formicolavano fastidiosamente, e cercando di non fare rumore – non tanto per gentilezza nei confronti di Malfoy, quanto piuttosto per avere a che fare con lui il meno possibile – ispezionò il luogo in cui il ragazzo l'aveva portata.
La sera prima, non era stato difficile, con il favore della notte e la protezione del Mantello dell'Invisibilità – quell'obbligata vicinanza aveva fatto venir voglia a Hermione di Smaterializzarsi all'istante e tornare ai caldi e accoglienti usi della Tana, soprattutto dopo il suo commento sprezzante, "Dio, Granger, puzzi di Mezzosangue" – uscire allo scoperto, attraversare il giardino e raggiungere quel luogo, che da vicino era più evidente di quanto non fosse consigliabile alla loro situazione. Con opportuna prontezza e una buona dose di concentrazione, Hermione aveva pronunciato una serie di Incantesimi che ormai erano diventati ordinaria amministrazione, una litania lenta e costante che aveva imparato a ripetere tante di quelle volte, durante quell'anno alla ricerca degli Horcrux, che non le costava nemmeno più il minimo sforzo. Dopo aver ricostituito e rafforzato l'Incanto di Disillusione, insieme a una serie di magie che avevano leggermente annoiato Draco, erano finalmente entrati nel luogo dal giovane indicato.
La Rocca del Serpente era un antico fortino sorto in tempi immemorabili su un terreno sfortunatamente destinato alle avide mani di Abraxas Malfoy, che pur essendo un Purosangue orgoglioso e sprezzante, ne riconobbe l'antica foggia e la possente tempra, e forse prevedendone un uso futuro – che non fosse certo il nascondiglio del nipote, quanto un possibile utilizzo a scopo di lucro – decise che sarebbe rimasto come simulacro di gloria e prestigio che il suo nome costituiva. Spinto, in seguito, dal Ministero, che si rifiutò di riconoscerne il pregio storico, ad abbatterlo, a meno di non volerne pagare le relative tasse, Abraxas Malfoy pensò bene di nasconderlo opportunamente con Incanti di Disillusione degni del più abile dei maghi, che fecero anche in modo che la sua nomea – già largamente conosciuta – fosse ben apprezzata tra le sfere alte del Ministero della Magia – la pronta esecuzione degli ordini, l'ineccepibile adempimento alle leggi, e una serie di bugie lunga quanto la lista dei debiti di Paperino. Già dall'origine, dunque, si riconoscevano la meschinità, l'arte manipolatoria, nonché una spiccata noncuranza delle regole, alla famiglia che avrebbe dato i natali, a distanza di due generazioni, al giovane che ora si godeva i frutti dell'abilità del nonno – anche se non certo nel modo che lui avrebbe sperato.
In tempi antichi la Rocca si chiamava in tutt'altro modo, ma il suo vero nome era stato perso da una tradizione che aveva visto dimenticato quel titolo pregno di storia in favore di un'onorificenza che Salazar Serpeverde avrebbe certamente apprezzato. Ristrutturato e arredato in vista di tempi futuri – l'alta borghesia avrebbe adorato un pezzo di storia del genere; se ne poteva ricavare persino una sala da tè! – dopo le incursioni del Ministero, la dipartita di Abraxas e la conseguente ascesa al potere di Lucius Malfoy, il fortino era stato abbandonato alle intemperie, più per dimenticanza che per negligenza. Il degrado aveva avvolto le mura, nascoste da incantesimi ben presto affievoliti, e intaccato le pareti preziose, i mobili raffinati, le cornici costose. Ma anche se quel luogo non era che il pallido fantasma della magnificenza di Villa Malfoy, l'impronta della famiglia era visibile in ogni angolo. Guardandosi intorno, spinta dalla curiosità di un mondo che aveva conosciuto solo in alcune sue sfaccettature, Hermione si rese conto che il tempo non aveva logorato né artefatto il pregio raro delle mura, e la magia – o forse il ricco patrimonio dei proprietari – aveva notevolmente contribuito a rendere lo sfarzo tanto sfavillante, che anche se coperto di polvere rimaneva comunque unico.
La porta d'ingresso si apriva direttamente sull'unica stanza del piano inferiore: un ampio salone, arredato in modo semplice ma con gusto. Un camino dall'elaborata fattura, un divano che un tempo doveva essere stato piuttosto comodo, un tavolo, qualche quadro, e splendide, ampie vetrate – che davano una realistica nonché suggestiva vista dell'enorme e profumato giardino – disseminate a intervalli regolari e trafitte dai primi raggi del sole. Quel salone era, grazie a queste finestre che s'innalzavano fino al soffitto, incredibilmente luminoso, così dissimile dai sotterranei in cui Serpeverde riposava, così diverso dall'idea che si era fatta di quella casa la prima volta che vi aveva messo piede – anche se forse, da quest'ultimo punto di vista, la tortura da parte di Bellatrix Lestrange aveva contribuito. Hermione prese le scale che portavano al piano superiore, una semplice rampa dalla ringhiera in ferro battuto riccamente decorata: un leggero scricchiolio denunciò il suo intento. La ragazza gettò uno sguardo distratto e nemmeno troppo interessato allo schienale del divano: la mano bianca e senza vita di Draco Malfoy si mosse con gesto inconsulto, ma un grugnito degno di Gregory Goyle le assicurò che quel rumore non aveva minimamente disturbato il suo sonno – non che le importasse più di tanto.
Il secondo piano era costituito da un unico corridoio, che correva dritto per circa cinque metri, per poi culminare in un'enorme finestra dalle rifiniture dorate, che contrastava fortemente con il muro scrostato e spoglio su cui era collocata. Sul corridoio si affacciavano tre porte: due davano ingresso ad altrettante stanze da letto, una quelle quali era così grande che Hermione pensò che era persino più ampia del salone di casa sua; era di certo la camera padronale. La terza era un minuscolo bagno in disuso all'interno del quale trovavano posto solo i sanitari di prima necessità, e che puzzava almeno quanto un Troll di montagna.
«Non ti illudere, Granger: sei tu che emani questo odore» la voce superba e irritante di Draco Malfoy suonava ancora impastata dal sonno, ma stuzzicò comunque Hermione – l'idea di Schiantarlo pur di non sentirlo parlare ancora venne piacevolmente accolta dalla mente della ragazza. «E non toccare niente, con quelle tue sudice manacce. Potresti appestare qualcosa» La giovane strega dovette appellarsi a tutte le sue forze per non cedere all'istinto. Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e si voltò verso di lui: gli dedicò un sorriso talmente falso che gli avrebbe potuto fare concorrenza.
«Come al solito dimostri un'adorabile gratitudine, Malfoy» sentenziò con marcato sarcasmo. Lui replicò con una smorfia, ed ebbe perlomeno il buon gusto di tacere. Hermione sospirò, e chiuse la porta, non potendo sopportare ancora quel nauseante odore di marcio e fogne. «Dovremo dare una ripulita a questo posto»annunciò con aria afflitta, guardandolo con serietà.
«Stai scherzando, vero, Granger?»il volto del giovane si contrasse in una smorfia disgustata. «E' roba da domestici!»si lamentò con sussiego. Era evidente che non aveva nessuna intenzione di collaborare. Hermione, irritata, alzò gli occhi al cielo. La smorfia di Malfoy si trasformò in un ghigno compiaciuto, che tuttavia scemò nel momento in cui lei gli si rivolse con astio.
«Senti, ho accettato di aiutarti, e già dovresti strisciarmi ai piedi solo per questo»il giovane spalancò lo bocca scioccato, e fece per intervenire, ma lei lo ignorò, continuando a parlare «Non mi aspetto che tu lo faccia»sottolineò con una smorfia eloquente. «Ma almeno cerca di collaborare. Temo che abbiamo davanti una lunga convivenza, e se non vuoi finire Schiantato ogni tre per due, prova perlomeno ad essere civile»La ragazza lo guardò seriamente, analizzando ogni reazione che sfilava sul suo volto pallido.
«Non riusciresti a Schiantarmi nemmeno se fossi un poppante, senza bacchetta, bendato e che di nome fa Potter»replicò lui altezzoso. Hermione inarcò un sopracciglio, ed estrasse la bacchetta dalle tasche.
«Non mettermi alla prova, Malfoy»la ragazza si beò del lampo di paura che trapassò lo sguardo del giovane, per un attimo, prima che egli riprendesse il solito, arrogante contegno. Le sue narici si dilatarono per la rabbia, mentre la osservava aprire la porta del bagno, gli occhi castani ostinatamente fissi sul suo volto, dritti nei suoi – colmi d'ira al punto che avrebbero ben presto traboccato. Lei non aggiunse altro, ma l'ordine implicito sul suo viso era chiaro; così come era lampante l'astio in quello di lui, e la futura vendetta cui l'avrebbe sottoposta.
Così, mentre lui progettava il miglior metodo per ucciderla – soffocarla con un cuscino mentre dorme, sgozzarla nel sonno e vedere il suo schifoso sangue sporco macchiare il pavimento, torturarla fino alla pazzia, "Per rinnovare il vizio di famiglia", pensò sogghignando – lei godeva segretamente dell'ebbrezza del suo potere sul giovane profugo. Entrò in una delle camere da letto, quella più piccola: l'ambiente era caldo e familiare, nonostante il tempo avesse scollato la carta da parati, fatto saltare le molle dal maestoso letto a baldacchino, e rotto il vetro della grande finestra – che costituiva un'intera parete – offrendo così la stanza agli agenti atmosferici. Era quieta mentre, con fluidi movimenti della bacchetta e i capelli legati in una coda severa, ripuliva dalla polvere, rattoppava, sistemava, e rendeva vivibile quell'ambiente. Di tanto le sfuggiva pure un sorrisino soddisfatto: le giungevano i lamenti soffocati e stizziti di Draco, che non risparmiava gli insulti nei suoi confronti; e che, di tanto, lanciava urletti disgustati – degni della più isterica donnetta. Era certa che il risultato finale sarebbe stato pessimo: Malfoy era incapace di usare la bacchetta per qualsiasi cosa riguardasse le faccende domestiche; in effetti, a pensarci bene, era incapace di usare la bacchetta, e basta. Forse avrebbe dovuto dargli una mano, o magari – meglio – porgergli uno straccio e spingerlo ad usare un po' di olio di gomito. Hermione ridacchiò tra sé a quell'idea, ricucendo la tenda e posizionandola nel posto che gli spettava, cioè a riparare la stanza dagli ormai accecanti raggi del sole. Subito dopo si dedicò al letto – le molle rientrarono con un cigolio morbido, le piume dei cuscini sparse sulle lenzuola untuose si rintanarono nella federa – e poi al comodino – la gamba ritornò in piedi con un sonoro schiocco – e ai quadri – due vecchie suore la guardarono con un sorriso grato – e infine al pavimento coperto da uno spesso strato di polvere. Quando il risultato le sembrò soddisfacente, raccolse con un gesto frettoloso le lenzuola sporche, e ne fece un fagotto; reggendo tra le braccia quel pacco morbido come fosse un delicatissimo neonato, si diresse in corridoio, e abbandonò ai piedi delle scale il suo frugoletto, interpretando la parte della peggiore delle madri. Stava per raggiungere Malfoy, con la spassionata, folle e altruistica idea di aiutarlo, quando udì un leggero ticchettare venirle incontro; sembravano dei passi, e la giovane non tardò a mettersi in posizione di guardia, la bacchetta puntata dinnanzi a sé, pronta a qualsiasi azione offensiva avrebbe portato alla salvezza. Abbassò la bacchetta prima che Narcissa Malfoy incrociasse il suo sguardo, con espressione algida e altera, le mani ben curate che reggevano la gonna della veste blu notte, per sollevarne l'orlo e permetterle una maggiore fluidità dei movimenti. Gli occhi scuri della donna si poggiarono sul volto della ragazza con un disprezzo che non fece nulla per nascondere; le labbra, tinte di acceso cremisi, erano strette in una morsa che sembrava l'eco della rabbia della sera prima. Giunta all'ultimo gradino, si fermò, guardandosi intorno come smarrita: anche in quel gesto era piena di dignità ed eleganza.
«Draco»chiamò a bassa voce, come se non avesse bisogno di alzare la voce per farsi obbedire. Hermione si voltò, e la madre del ragazzo seguì la traiettoria del suo sguardo con una certa, noncurante indifferenza. Vide la testa bionda del figlio comparire da dietro lo stipite della porta, subito seguita da un olezzo che le fece arricciare il naso più di quanto non lo facesse già la sua consueta, altezzosa espressione. Non appena il ragazzo vide la donna, uscì dal bagno mostrando gli abiti sudati e sospettosamente macchiati qua e là di qualcosa che somigliava in modo orrido a fango, ma che puzzava decisamente di più; Draco Malfoy si rese solo allora conto delle sue condizioni, e, cercando di darsi un contegno che in quel momento non aveva, scoccò un'occhiata carica d'odio e risentimento ad Hermione, la quale fu sorpassata con falcate eleganti da Narcissa, senza che questa desse minimamente l'impressione di averla anche solo vista. Si fermò davanti al figlio, e la sua espressione cambiò radicalmente quando lo guardò bene, e gli fu abbastanza vicina da sentirne il miasma.
«Che stavi facendo?»il suo sopracciglio si inarcò così tanto, per lo stupore e l'indignazione, che scomparve sotto un ciuffo di capelli biondi. Draco abbassò lo sguardo, con aria afflitta e sconsolata; strinse forte i pugni, ferito nell'orgoglio.
Hermione distolse lo sguardo da quella scena, e riprendendo tra le braccia il fagotto di lenzuola sporche, scese i gradini con silenziosa discrezione; solo allora si rese conto che la piccola Flika attendeva la sua padrona con aria un po' timorosa ai piedi delle scale. La ragazza superò l'ultimo gradino con un piccolo saltello aggraziato, e riemergendo dalla stoffa sudicia rivolse all'elfa domestica un sorriso allegro.
«Buongiorno» la salutò con cortesia, e non potè fare a meno di notare quanto quella fosse sorpresa di quella inaspettata educazione e gentilezza; Flika lanciò un'occhiata al piano superiore, e poi dedicò ad Hermione un sorriso che, seppur stentato, era comunque pregno di una delizioso garbo. Constatato che la sua padrona era immersa in una fitta discussione con il figlio, la piccola elfa domestica, dopo i primi minuti di timidezza, si lanciò in una fitta e ossequiosa conversazione con Hermione, rivelando un'animosità degna di una bambina, e una vivacità che Dobby avrebbe certamente gradito. La famiglia che serviva aveva solo affievolito la gentile esuberanza di Flika, ancora troppo giovane per lavorare a pieno ritmo: i suoi poteri le sfuggivano spesso di mano, provocando danni che, a suo dire, le costavano severe punizione.
«Oh, a proposito»la sua vocina acuta si interruppe in una risata stridula ma comunque allegra «non vi ho ancora ringraziato per quella volta»Gli occhi color nocciola della piccola elfa domestica erano sgranati dall'ammirazione. «Voi siete molto gentile con me»schioccò le dita, e i panni sporchi che Hermione reggeva tra le braccia volarono in quelle minuscole e magrissime della creatura «Flika ha incontrato pochi maghi gentili»Lanciò alle scale un'occhiata che strappò alla giovane strega un sorrisino. «E' stato molto carino da parte vostra prendervi la responsabilità del mio errore»Hermione era sorpresa dalla proprietà di linguaggio dimostrata dall'elfa, ma non lo diede a vedere; aveva studiato – naturalmente! – sull'argomento, e poteva in tutta certezza affermare che per quanto fossero intelligenti, gli elfi domestici non brillavano certo per ingegno; coraggio, forse, una buona dose di servilismo, ovviamente, discrete capacità magiche, una gentilezza dettata da anni di soprusi, e sicuramente un gigantesco masochismo; molti erano, in effetti, dediti alla pericolosa arte dell'autolesionismo. Non Flika, a quanto pareva, che sembrava essere la figlia nata sbagliata di un'aristocratica nobildonna.
La realtà era che un anno di convivenza con una donna che, nella sua altezzosa alterigia e nella sua frigida superbia, aveva fatto delle buone maniere la sua arma vincente, e che, come il suo nome e il suo sangue richiedevano, intratteneva rapporti costanti con l'alta società, avevano reso quell'elfa domestica incline alla parlantina; sentire discorsi elegantemente forgiati in un ambiente alto-borghese le aveva fatto venir voglia di esprimere il suo, di parere. Naturalmente, non se lo poteva permettere: l'unica volta che aveva osato prendere parola su un argomento durante un incontro di menti femminili indetto da Narcissa Malfoy, aveva ricevuto solo sguardo sconvolti, e una dose talmente cara di calci e Maledizioni Cruciatus, da farle perdere la voglia di parlare per almeno altri secoli. Anni. Forse mesi. Meglio giorni. In effetti, dopo qualche ora, la piccola Flika aveva ripreso a parlare, ma stavolta da sola; disquisiva con ogni granello di polvere, spesso con qualche ritratto – anche se i furono Malfoy e/o Black trovavano disdicevole la pratica, e la lasciavano parlare senza rispondere e senza nemmeno degnarsi di guardarla – talvolta con qualche mobile antiquato. Il fatto, poi, che fosse spesso intenta a sognare a occhi aperti ed esprimere pensieri ad alta voce, le costava molto spesso una goffaggine che si traduceva in disastri che nascondeva in modo altrettanto grossolano, tanto che Narcissa Malfoy declamava spesso la sua inettitudine, e non perdeva occasione per infliggerle severe punizioni, anche solo perché si permetteva di guardarla negli occhi. Vero è che, pur disprezzandola ed odiandola oltre ogni dire, Flika era, per quella donna, l'unica compagnia durante la notte: ma neanche le angherie a lei dedicate supplivano il vuoto del talamo. Alla donna non rimaneva altro da fare che richiamarla, insultarla e vessarla; trovava da ridire sul suo modo di spazzare, riordinare, e pulire, solo per il piacere di dar fiato alla bocca imbellettata. E la piccola Flika, non priva di intelligenza, la guardava con un certo compatimento, intuendo il travaglio interiore di una moglie privata del suo compagno, e di una madre derubata del suo unico figlio. Quando Narcissa Malfoy non la guardava, Flika sorrideva: e parlava al tappeto che stava percuotendo, o alla tenda che stava rattoppando, di quanto buon cuore fosse dotata la sua padrona. Persino le punizioni corporali che le dedicava risultavano gradite, se le permettevano di sfogare un'ansia repressa e il bisogno di un contatto fisico che non fosse quello del freddo letto vuoto. In ultima analisi, la piccola elfa domestica non solo possedeva un enorme cuore, ma anche una vispa intelligenza, e questo Hermione non mancò di notarlo.
«Naturalmente la padrona non parla mai con Flika»stava dicendo, mentre con uno schiocco delle dita sottili il divano del salone al piano di sotto tornava come nuovo. «Se non per dare ordini, o insultarla»Ridacchiò con quella sua acuta risatina da bimba. La ragazza le sorrise.
«Sai, Flika, conoscevo un elfo domestico a cui saresti certamente stata simpatica»dichiarò con una leggera tristezza nella voce. La creaturina non spostò lo sguardo su di lei, attenta com'era a riparare il tavolino accanto al sofà: schioccò le dita, l'espressione tanto concentrata che una piccola vena si delineò in mezzo agli occhi. Il risultato di quella maldestra magia fu che la gamba già pericolante del mobile si spezzò con un sonoro colpo, e l'oggetto rovinò per terra in uno schiocco di schegge e lamenti acuti. La donna che abitava il quadro sopra il camino scosse il capo, contrariata, ma non disse una parola. Hermione le lanciò un'occhiataccia, come a intimarle di perpetuare il suo silenzio, poi con un colpo di bacchetta e un sorriso riparò al danno della creaturina, che le rivolse un'espressione grata, gli occhioni luccicanti.
«Chi? Forse Flika lo conosce»solo allora rispose alla sua affermazione, già dedita ad altre pulizie.
«Dobby. Si chiamava Dobby»La piccola elfa domestica si rallegrò tutta nel sentire quel nome, e ignorando completamente i verbi al passato della giovane strega, prese a saltellarle intorno.
«Oh, Flika lo conosce, conosce Dobby, si si»batteva le manine, e sul volto aveva un sorriso che le andava da un orecchio all'altro; ridacchiava. «Erano amici quando Flika era ad Hogwarts»si fermò solo per guardarla, l'espressione euforica. Hermione inarcò un sopracciglio, sorpresa.
«Tu lavoravi ad Hogwarts?»domandò incredula. L'elfa si limitò ad annuire, le orecchie che sbatacchiavano sulla testolina calva.
«I miei genitori, è lì che si sono conosciuti; ed è lì che io sono nata. Albus Silente, quello sì che è un grand'uomo»l'espressione mutò per un attimo: gli occhi si fecero vitrei, e un po' tristi. Forse, anche se era nella sua spensierata giovinezza, Flika si era appena ricordata che Albus Silente era un grand'uomo. «Bè, mi ha permesso di rimanere a Hogwarts, anche se sono agli inizi, con la magia»Fece spallucce, e sotto la pelle grigiastra sembrò arrossire un poco. «Non è facile per un'elfa giovane gestire i suoi poteri»aggiunse con un sorrisino imbarazzato. «Poi è arrivato quell'uomo» scosse il capo, come orripilata solo all'idea, eppure in fondo allo sguardo aveva un pizzico di ammirazione latente, e un qualcosa che somigliava all'incertezza di un giudizio troppo frettoloso. «Flika gli avrebbe volentieri fatto uno shampoo»Gli occhioni color nocciola si posarono con ingenuità su Hermione, che scoppiò a ridere, ben intuendo il personaggio di cui stava parlando. «E mi ha venduto alla mia padrona» Schioccò le dita ancora una volta, e tutte le finestre tornarono integre, e perfettamente lucide: la luce del sole, prima opaca, ora risplendeva nel pieno del suo accecante calore. Flika tacque per un attimo, cosa insolita, per lei: la giovane strega si era abituata al piacevole chiacchiericcio di quella voce infantile e sveglia. Approfittò di quel momentaneo silenzio per muovere qualche veloce gesto con la bacchetta, gli incantesimi appena sussurrati sulla punta delle labbra, che fluivano dolcemente come la magia dalle sue dita: via la polvere, rammendate le tende, rimessi a nuovo i preziosi lampadari.
«Come sta?»domandò dopo qualche minuto di quiete la piccola elfa domestica, avvicinandosi ad Hermione, sul volto un sorriso: si era evidentemente ricordata solo ora il punto principale della questione, e le chiacchiere in cui si era persa erano già state dissolte in una nuvola di confidenza privata e tutta femminile. La guardava con sincera ammirazione, ma nel suo sguardo non c'era il servilismo di Dobby, né l'indignazione di Kreacher, o la soggezione di Winky: la guardava come si guarda un pari. Cosa insolita, per un elfo domestico, abituato a servire ed essere soggetto di vessazioni e prepotenze, soprusi e profondo disprezzo; ma Hermione aveva già capito che Flika era diversa: non solo sveglia per la sua razza, ma matura per la sua età.
«Chi?»rispose la ragazza, perplessa, sbattendo le palpebre con incertezza. La creaturina rise, una mano sottile davanti la boccuccia.
«Ma Dobby, naturalmente!»sospirò, e senza attendere la sua risposta andò verso le scale: fece apparire dal nulla una scopa, che nel suo intento evidentemente doveva cominciare a spolverare i gradini; ma quella, ribelle, aveva cominciato ad inseguirla e prenderla a randellate, in modo davvero molto scortese. Hermione la bloccò con un incantesimo abile e rapido, facendola infine assolvere al suo compito con mesta pignoleria. Un sospiro triste abbandonò le sue labbra, e Flika parve notarlo: la guardò con perplessa e genuina curiosità, domandandosi cosa mai di sbagliato ci fosse nella sua domanda. Naturalmente, essendo stata privata da Hogwarts appena agli inizi della presidenza di Severus Piton, non aveva più avuto notizie di Dobby; dubitava che sapesse scrivere, e se anche così fosse stato, Hermione pensò che non era proprio degli elfi domestici scambiarsi una corrispondenza epistolare; l'amicizia degli elfi domestici si limitava probabilmente a scambiarsi le ultime novità in fatto di pulizia, o, nel caso di Flika e Dobby, le ultime tendenze in fatto di moda, rivolte, scioperi e quant'altro. Insomma, la piccola elfa non sapeva dell'eroica dipartita di Dobby, così come, con ogni probabilità, non era a conoscenza del fatto che, seppur per pochi minuti, lo stesso era stato sotto il suo stesso tetto. La ragazza era certa che qualsiasi notizia circa la fuga dei prigionieri a opera di un ingegnoso elfo domestico fosse stata, abilmente e meschinamente, messa a tacere.
«Sta bene»mormorò vaga, senza nemmeno avere il coraggio di guardarla negli occhi. Forse Dobby non meritava questo; forse lanciarsi in un accalorato racconto circa il suo eroismo e la sua prontezza di spirito, sarebbe stato meglio di tacere quel fatto, nascondendo gloriose gesta dietro tristi menzogne. Ma Hermione non voleva certo essere l'artefice di inutili lacrime, e far scontrare un'adolescente elfa domestica con la cruda realtà del mondo non era tra i suoi piani migliori.
Flika sorrise, rincuorata da quella notizia. «Dobby non era molto contento quando ha saputo che sarei venuta a servire i Malfoy» la voce vispa e allegra divenne un sussurro; la creaturina si guardò intorno come se si sentisse spiata, e mettendo le manine a coppa davanti la boccuccia, esalò quattro, semplici parole. «Brutta gente, dice lui» Lanciò qualche altra occhiata a destra e sinistra, poi tornò a raccontare con la vivacità di sempre, ad alta voce. «Allora, Flika pensa: se la Signorina passa da Hogwarts, magari può portare a Dobby i saluti di Flika. E fargli sapere che qui non si sta poi tanto male.»pigolò soddisfatta, schioccando le dita verso la scopa, con il chiaro intento di farla smettere. Hermione osservò con una certa, velata tristezza – nonché uno spiccato senso di colpa – il bastone che calava duramente sulla testolina di Flika.

IL FANTE DI PICCHE E LA DAMA DI CUORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora