Cap. 2

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Marinette fissò il piatto pieno di cibo senza dire nulla, facendo andare la piccola carota da destra a sinistra con la forchetta; sospirò, ignorando le formiche al polso con il quale si reggeva il viso.

«Marinette, stai bene?» domandò Sabine, sua madre, mettendosi accanto a lei. «Non hai toccato cibo. Ti sta per caso venendo la febbre?» continuò, premendo delicatamente le labbra sulla fronte della corvina per sentirne la temperatura.
«Sto bene mamma. E se non mangio non significa automaticamente che sto male. Non fare la dottoressa e fai la madre che mi da consigli e mi aiuta nella scuola.» sorrise, posando la forchetta sul tovagliolo e godendosi il caldo bacio della madre.
«Raccontami cosa ti affligge.» disse la donna, sedendosi accanto alla ragazza.

Marinette considerava sua mamma la sua migliore amica subito dopo Alya, anche se con Sabine si confidava più spesso.

Da quando —la sera precedente– aveva avuto quell'incontro ravvicinato con Chat Noir, aveva la mente invasa di domande senza risposta e con un peso sullo stomaco che le fece perdere completamente l'appetito.

«Mamma, se tu hai sempre avuto dei pregiudizi su una persona per via di quello che dicono gli altri e poi scopri che questa persona, in realtà, è totalmente l'opposto, che cosa faresti?» domandò, insicura.
«È un ragazzo?» sorrise Sabine, vedendo la figlia avvampare.
«S-Sì... Cioè, no... Insomma...» balbettò, capendo il senso della sua domanda. «Non è quel tipo di ragazzo, mamma. Non lo conosco nemmeno!» sospirò, toccandosi le guance per controllare se il rossore fosse sparito.

Era un'abitudine che aveva preso negli anni: sin da quand'era piccola, siccome aveva l'abitudine di negarlo, sua mamma le aveva sempre detto che poteva capire quando arrossiva toccandole le guance; crescendo, quest'abitudine l'aveva presa anche lei, tastandosi le gote per quando le capitava di arrossire.

«Spiegati meglio.» disse Sabine incuriosita.
Marinette rimuginò sulle parole da dire per non rivelare ciò che accadde la sera prima, dato che, sicuramente, avrebbe dato di matto. «Come ho già detto prima: questo ragazzo non lo conosco personalmente, ma so qualcosa di lui per le voci che girano -tutte molto negative-; ma mi ha aiutata e non credo che quello che si dice sul suo conto sia vero. O almeno non del tutto.» concluse, giocando con un ciuffo di capelli, sentendo le dita di Sabine scorrerle leggere tra la frangia, sistemandogliela.
Sabine sorrise. «Tesoro, io dico che le persone non si conoscono mai abbastanza.» la donna si alzò, camminando verso la lavastoviglie. «Ora finisci di mangiare.»
La ragazza si girò sulla sedia, guardando la madre e fingendosi offesa. «Quand'è che la smetterai di parlare come i foglietti nei biscotti della fortuna? Dovresti essere la mia psicologa personale!»
«Le psicologhe vengono pagate per risolvere i problemi dei propri pazienti. Finché tu non mi paghi, io non ti dico nulla direttamente.» ridacchiò la donna, mettendo la tazza dalla quale, poco prima, aveva bevuto il tè nella lavastoviglie.
«Ma sei mia madre! Dovresti darmi dei consigli gratis!»
«Potrei, vero.» rispose, tornando verso la figlia per baciarle nuovamente la fronte e prendendo il bicchiere dalla quale aveva bevuto. «Ma io sono un chirurgo, non una psicologa, quindi dovrai accontentarti dei miei consigli da biscotto della fortuna.»

Marinette le fece la linguaccia, alzandosi per aiutare la madre a sistemare le stoviglie, dicendole che avrebbe mangiato a cena, per poi andare in camera sua per liberare la mente nell'unico modo che conosceva: disegnare abiti.

Chiusa la botola che collegava la sua stanza al resto dell'appartamento, prese il suo blocco da disegno, matita e gomma, e salì sull'attico dal quale riusciva a vedere la cattedrale di Notre Dame.

Certo, non era per nulla paragonabile alla vista che c'era da in cima alla Tour Eiffel, da come vedeva dalle foto postate sui social, ma la cattedrale gotica era la sua principale fonte di ispirazione, che sia illuminata dai raggi del sole o dalla luna.

La corvina si sedette sulla sedia che aveva portato lì in cima, guardando la bellissima chiesa e sperando che il disegno la facesse rilassare, ma non le venne in mente nessuna nuova idea.

Sospirando, chiuse gli occhi per godere meglio della dolce brezza che la rinfrescava, volendo rilassarsi al meglio.

Presi dei respiri profondi, riaprì le palpebre, accortasi solo in quel momento della presenza di un fiore rosa sul suo blocco da disegno.

Era un fiore che aveva già visto prima. «Un ibisco.» sussurrò, riconoscendolo.

La ragazza si guardò attorno, chiedendosi come aveva fatto quel fiore ad arrivare sin lì: sicuramente non era stato il vento, poiché non soffiava abbastanza forte per far volare un fiore come quello; la seconda cosa che le venne in mente fu che si era staccato da una delle sue piante, ma non aveva piante di ibisco sul suo balcone.

Allora come aveva fatto a finire lì sopra un ibisco?

Alzando le spalle lo prese delicatamente con le dita, inspirando il suo dolce profumo, per poi sistemarselo tra i capelli.

La ragazza sorrise, guardando il foglio bianco; aveva appena avuto l'ispirazione.






—•—•—








Chat Noir rimase a guardare la ragazza dal tetto appena dietro l'attico sulla quale stava disegnando.

La osservò uscire dalla botola che, da quanto dedusse, era direttamente collegata con la sua camera.

Alla sola idea di avere la camera a sua portata di zampa arrossì: aveva visto la finestra rotonda, simile ad un rosone, e quella quadrata che erano abbastanza grandi da poterci guardare dentro, se non entrare, ma lui era un gentiluomo e non l'avrebbe mai fatto senza il suo permesso -se mai glielo avrebbe dato-

La osservò mentre si tamburellava le labbra con la matita, in cerca di qualche idea che, dedusse, non arrivava.

Ricordandosi il motivo per cui era lì, osservò il fiore che, delicatamente, teneva tra gli artigli del pollice e dell'indice, stando attento a non danneggiarlo.

Voleva metterlo in un luogo dove poteva trovarlo, ma non ne aveva trovato uno adatto, quindi, attese che fosse uscita lei.

Guardarla mentre cercava di concentrarsi per trovare l'ispirazione gli faceva battere forte il cuore: un po' perché era rimasto colpito da lei, e poi –soprattutto– perché pensava di essere scoperto mentre stava per fare ciò che aveva in mente.

Doveva aspettare il momento giusto, sarebbe stata solo questione di secondi.

Rizzando le orecchie percepì il suo respiro cambiare, divenendo più lento e profondo; sorridendo tra sé e sé, saltò sull'attico e poggiò il fiore sul suo blocco per gli appunti, per poi saltare nuovamente sul tetto alle sue spalle, guardando la sua reazione.

La vide prendere il fiore in mano, guardandolo.

«Un ibisco.» osservò, facendolo sorridere.

Aveva riconosciuto il fiore che le aveva regalato e questa cosa lo rendeva felice.

L'ibisco era un fiore che simboleggiava la bellezza fugace, l'incanto fuggevole di un istante, visto che, per la sua delicatezza, non sopravvive più di un giorno; allora perché regalare un fiore così fragile ad una ragazza come lei?

Lei era forte, l'aveva dimostrato in quel vicolo, anche se la paura l'aveva pietrificata, ma ciò che colpì di più Chat Noir fu la bellezza della corvina.

Bellezza che vide solo per un secondo, prima di fuggire nella notte.






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Secondo capitolo :D

Chat stalker e Sabine passione psicologa da biscotto della fortuna LOL

Eheheh dai dai che le cose si fanno tenere xD

A venerdì prossimo :D

FrancescaAbeni

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