Cap. 43

3.8K 421 281
                                    

Chat Noir serrò gli occhi, aprendoli piano per far sì che la vista si abituasse alla forte luce bianca dopo svariati minuti di buio.

Erano giorni che non dormiva e credeva di essersi finalmente addormentato –anche se solo per cinque minuti— dopo che l'avevano portato in un'altra stanza.

Si guardò in torno incuriosito, notando davanti a sé un tavolo in metallo con appoggiato un registratore; sulla parete davanti a sé uno specchio dove, molto probabilmente, dall'altra parte vi erano delle persone che lo controllavano; sulla sua sinistra una porta in metallo e quattro mura grigie che lo circondavano; notò anche la telecamera nell'angolo in alto a destra, segno che lo tenevano d'occhio da ogni angolo.

Fissò le mani, accorgendosi in quel momento che le aveva incatenate ai braccioli della sedia, ed era anche abbastanza stretto per i suoi gusti, sentendo il sangue non fluire abbastanza nelle dita e procurandogli un senso di fastidio e formicolio.

Alzò il capo e rizzò le orecchie quando sentì la porta aprirsi cigolando e rivelando poco dopo il generale Roux e lo strano scienziato che, sorridendo, gli fece l'occhiolino.

La personalità di entrambi era parecchio contrastante: il generale serio, dimostrava compostezza ed una certa durezza, ma sicuramente manifestava odio nei suoi confronti; accanto a lui, invece, quel bambino dello scienziato, con il suo solito sorriso divertito sul svolto, che si avvicinava a lui con fare curioso.

«Mi piace troppo quando muovi le orecchie. Starei tutto il giorno a stimolartele solo per guardare.» esclamò, tastando con l'indice l'orecchio felino destro, mentre Chat Noir l'agitò dato che gli dava fastidio.

Non sapeva il perché, ma provava una sorta di simpatia per quell'uomo; certo, da quando era arrivato lo aveva sottoposto agli esami più strani e sfiancanti di tutta la sua vita, ma certe volte entrava nella cella con lui e parlava, rischiando quando gli portava del cibo o da bere per fargli recuperare le energie.

Nei suoi occhi vedeva del buono ed il sentimento di odio nei suoi confronti che provava all'inizio era del tutto sparito.

Certo, non lo considerava un amico, ma gli piaceva e gli ispirava simpatia.

Era il buffone del laboratorio: anche se era il capo, dotato di una grande intelligenza e di acume per tutto ciò che lo circondava, era solito fare scherzi ai suoi colleghi e fare battute pessime.

A volte lo faceva persino ridere, soprattutto quando entrava in cella con lui, dove gli raccontava qualche esperimento strano o mal riuscito, usando facili esempi per spiegargli determinati concetti.

Grazie a lui imparò a trovare la fisica ancora più interessante più di quel che già credeva, soprattutto dopo aver scoperto che si poteva creare un fulmine nel microonde con solo un acino d'uva.

Per la maggior parte del tempo parlava lo scienziato e lui stava zitto, ascoltandolo attentamente e parecchio incuriosito da quel mondo, usava la tastiera solo per porgli delle domande o per rispondere alle sue battute con altre che gli aveva insegnato Marinette.

Gli mancava. Parecchio anche.

Ad interrompere i suoi pensieri fu Roux, che si sedette dall'altra parte del tavolo e accese il registratore, mentre lo scienziato recuperò l'altra sedia e si spostò nell'angolo, appena sotto la telecamera, incrociando le braccia al petto e tenendo le gambe larghe, iniziando a giocherellare con una chiave legata ad una cordicella.

Molto probabilmente era la chiave della stanza.

«Allora, Chat Noir.» esclamò con disprezzo, poggiando le mani sul tavolo. «Dai test che ti hanno fatto risulta che sei un ragazzo come gli altri. Come hai fatto a finire in queste condizioni?» domandò, attendendo la risposta.

MonsterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora