Cap. 36

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Chat Noir saltò tra i tetti di Parigi in direzione della camera di Marinette.

Seppur avesse una semplice influenza era preoccupato per lei, soprattutto dopo la storia di sua madre.

Con un agile balzo e con estrema grazia, atterrò sull'attico della ragazza, sbirciando dalla botola che dava sul letto per controllare che non ci fosse nessuno: la luce era spenta e solo il display del cellulare della ragazza gli fece capire che era ancora sveglia.

Aprì la botola, e scivolò accanto alla corvina, che lo accolse con un caloroso sorriso e qualche carezza sulla testa.

Erano passati cinque giorni da quando Marinette si era ammalata e stava molto meglio rispetto a qualche giorno prima: le felpe erano diminuite –ora era solo una, seppur pesante– e la sua tomba di fazzoletti usati, come l'aveva chiamata lei, era diminuita di volume, così come gli starnuti e la tosse.

Sabine diceva che si era ripresa grazie alle cure amorevoli di Chat, che le faceva visita ogni giorno e le teneva compagnia quando riposava, non lasciandola mai sola e prendendole tutto ciò di cui aveva bisogno, ovviamente senza farsi vedere da Tom, il quale lo aveva quasi scoperto in seguito ad una sua visita di controllo, ma Marinette finse di dormire abbracciata ad un cuscino sotto le coperte.

Quella volta, Adrien aveva pensato che se non l'avesse ucciso l'asfissia, lo avrebbe fatto il padre dell'amica, ma per sua fortuna scese non appena notò la figlia "addormentata".

Dopo quella volta aveva imparato a distinguere bene i passi dei due adulti: quelli di Sabine erano leggeri e delicati, mentre quelli di Tom erano leggermente più pesanti.

Leggermente, aveva specificato. Non era per essere cattivo, ma era l'unico aggettivo che gli era venuto in mente.

Quando la ragazza smise di fargli i buffetti sulla testa, Chat Noir appoggiò la testa sulla sua spalla, scrivendo sul suo quaderno –aiutato dalla torcia del cellulare di Marinette–

"Come ti senti? Ho visto che hai diminuito gli strati di felpe"

La giovane ridacchiò, tossendo un paio di volte prima di rispondere. «Sto già meglio, grazie. La febbre è quasi scesa completamente, ho solo ancora un po' di tosse. Anche i fazzoletti sono diminuiti.» rispose, prendendone uno. «Ho persino imparato l'angolazione perfetta per fare canestro nel cestino.» esclamò, lanciando il pezzo di carta e facendolo rimbalzare sul bordo del cestino, per poi vederlo cadere a terra. «Beh, non ho detto che lo faccio sempre però.» aggiunse nervosa, facendo sorridere divertito il felino.

"L'importante è che tu guarisca al meglio" lesse lei, prendendogli la mano ed intrecciando le dita con le sue, vedendosi ricambiata il gesto.

Sapeva quanto fosse spaventato malgrado si trattasse di una banalissima influenza; si ricordava la storia che le aveva raccontato, di come sua madre fosse morta, il tutto partito da un male di testa che ha rifiutato di far controllare per non far spaventare suo figlio.

Non voleva farlo preoccupare ulteriormente e vederla stare meglio ogni giorno che passava lo faceva sentire più sollevato.

«Oggi ho anche aiutato mia mamma a cucinare. Certo, non sono usciti come li faccio di solito, ma ti ho preparato dei "Sandwich alla Marinette". Sono sulla scrivania se vuoi.» disse, facendogli un cenno con la testa.

Come se avesse sentito, lo stomaco del ragazzo brontolò e lui arrossì; l'ultima volta che aveva mangiato fu la sera prima, dato che aveva promesso alla sua amica che non avrebbe più rubato dai venditori per sfamarsi, e dato che lei era inchiodata a letto e lui poteva farle visita solo la sera, i suoi pasti si erano ridotti ad uno al giorno.

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