Cap. 3

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La mattina era sempre traumatizzante per Marinette.

Siccome il pomeriggio precedente aveva creato una decina di schizzi basati sull'ibisco, la sera dopo cena –creare e liberare la mente le fece riacquistare l'appetito– l'aveva passata a sistemare le sue creazioni, decidendo quale abito avrebbe riportato su manichino e quale sarebbe rimasto per sempre su carta.

Rimase in piedi fino alle due del mattino, finché crollò sulla scrivania, svegliata dal suono della sveglia del cellulare e ritrovandosi con un foglio appiccicato sulla guancia, i capelli spettinati e due occhiaie scure sotto gli occhi.

Era davvero uno straccio, pensò mentre si guardava alla toilette che aveva in camera.

Era troppo tardi per farsi una doccia, così, dopo aver preparato i vestiti sulla chaise longue, si fiondò in bagno per darsi una sciacquata veloce, uscendo soltanto dopo cinque minuti per tornare in camera –vestita dal suo accappatoio rosso– a prepararsi per la scuola.

Per sua fortuna i capelli erano ancora puliti, siccome se li era lavati prima di andare a cenare la sera precedente, e quella mattina doveva soltanto riprendersi un po' dalla stanchezza che la richiamava verso il letto o qualunque altra superficie morbida disponibile.

O almeno, provare a non addormentarsi in classe. Ancora.

La ragazza si pettinò in due minuti, raccogliendo i capelli nel suo solito paio di codini bassi; si mise un filo di eye-liner nero sulle palpebre, un po' di mascara alle ciglia e un correttore chiaro per le occhiaie.

Solitamente non lo usava, ma non le piaceva andare in giro con due sacchi della spesa sotto agli occhi!

Vestitasi con un paio di blue jeans ed una t-shirt nera, recuperò una felpa grigia, che si legò attorno alla vita, pronta da indossare in caso avesse avuto freddo, ed un paio di Converse totalmente nere.

Si ricordava quando fino a poco tempo prima, all'età di quattordici anni, stravedeva per il colore rosa e lo utilizzava in tutto: dai vestiti alle mura della camera. Poi crebbe ed la sua passione irrefrenabile per il colore e tutte le sue sfumature svanì poco a poco.

Certo, le piaceva ancora e lo usava spesso nei suoi bozzetti, ma si sentiva una bambina ad indossarne troppo e decise di usare colori più "maturi", soprattutto per la sua età.

Chiusa la botola che collegava il salotto a camera sua, scese le scale e girò verso la cucina, notando un foglietto scritto da sua madre:
"Cari Tom e Marinette,
Purtroppo sono stata chiamata stanotte per un'emergenza al lavoro e sono dovuta correre in ospedale. Tornerò stasera tardi, forse. Non aspettatemi per cena.
Sabine ♡"

La corvina, mentre leggeva, si versò un bicchiere di latte fresco e prese un croissant alla marmellata di albicocche che suo padre aveva portato dal negozio solo per lei per colazione, sorridendo quando la pasta del dolce si sciolse nella sua bocca e la confettura dava sapore.

Suo padre era davvero fantastico a cucinare i dolci, glielo diceva sempre.

La mattina era parecchio difficile fare colazione tutti assieme: sua madre, Sabine Cheng, era un chirurgo a l'Hôpital Saint-Louis, a qualche chilometro di distanza da casa loro, mentre suo padre, Tom Dupain, era uno dei più rinomati pasticceri di Parigi e lavorava nella boulangerie sotto casa per maggior parte del giorno.

E, ovviamente, chi non poteva nascere tra un pasticcere ed un chirurgo se non una ragazza sbadata amante della moda?

Certo, in cucina era abbastanza brava, poiché il padre le aveva insegnato parecchio, e di medicina sapeva soprattutto come curarsi durante un'influenza o cosa bisognava fare in caso di qualche incidente grazie alla madre, ma lei stessa si definiva "un ibrido mal riuscito di due geni", per poi pensare che anche lei, a modo suo, era un genio.

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