Cap. 17

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Marinette sibilò di dolore non appena il cotone imbevuto di disinfettante dal colore strano e dall'odore schifoso le sfiorò la guancia ferita.

«I graffi non sono molto profondi e non hai bisogno di punti, per fortuna.» disse Sabine, esaminando i tre segni rossi sul viso della figlia.

Marinette era incapace di guardare i genitori negli occhi, non volendo vedere paura o, addirittura, delusione sui loro volti.

Non aveva detto a nessuno, tranne che a Fu, che conosceva Chat Noir di persona; senza contare il fatto delle visite serali.

Odiava mentire, ma era per salvaguardare l'incolumità di un amico –oltre che la propria– e, magari, salvargli la vita.

Sabine guardò la figlia con espressione triste, per poi rimettersi dritta dopo aver trattato la guancia ferita di quest'ultima ed aprire la botola che conduceva verso il piano inferiore. «Vado a prendere del cicatrizzante.»

Una volta che si fu voltata, Marinette riuscì ad alzare il capo e vedere la schiena della donna, mentre Tom era seduto sulla chaise longue alla sua sinistra, mentre fissava il pavimento.

«Mi dispiace non essere potuto intervenire prima, ma non immaginavo che la Belva Nera si avvicinasse a mia figlia.» sospirò con tono leggermente scioccato, ancora incredulo dell'accaduto, ma sollevato del fatto che non era andata peggio.

Marinette aprì la bocca per dire qualcosa, per chiarire come stavano realmente le cose, ma, come prima cosa, non sapeva come spiegargli il fatto che Chat Noir si trovava sul suo attico, figuriamoci aggiungere il dettaglio del bacio che aveva interrotto.

A qual pensiero, la ragazza arrossì di colpo, portandosi le mani alle guance, per poi pentirsi immediatamente della sua azione, sibilando non appena la sua pelle entrò a contatto con i tagli freschi.

Tutta la faccenda doveva rimanere un segreto.

I suoi genitori non avrebbero capito. Nessuno avrebbe capito.

«È stato un miracolo il fatto che sia arrivato al momento giusto. Chissà cosa avrebbe potuto farti se non mi fossi chiesto se volevi giocare ai videogames.» ridacchiò nervoso, grattandosi il collo.
La ragazza sorrise forzatamente. «Sei il mio eroe papà.» mentì. «Ero pietrificata dalla paura ed ho pensato che se avessi urlato avrei peggiorato la situazione.» esclamò stringendo tra le mani il fazzoletto che sua madre le aveva prestato come tampone temporaneo per fermare l'afflusso di sangue, sporcandosi le mani di rosso.
Tom le sorrise. «Sei stata fortunata, tesoro. E non credevo che dopo quell'attacco al parco quel mostro sarebbe venuto a cercarti.»

Ancora quella parola. Mostro.

Quanto la detestava.

Una parola che, pronunciata da suo padre, racchiudeva tanto odio.

Odio per Chat Noir.

Odio per la sua natura distruttiva.

Odio per essere quello che non aveva scelto di diventare.

Marinette si morse il labbro e mandò giù quella definizione come un boccone amaro e annuì, ringraziando di nuovo il padre.

Sabine tornò con della crema cicatrizzante che usavano anche in ospedale e dei nuovi bendaggi, sistemandosi nuovamente davanti alla figlia per finire di curarla.

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