Cap. 42

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Erano giorni ormai che era rinchiuso in quel posto, con cibo ed acqua razionati e con le braccia bucate per le flebo di quando lo sottoponevano a qualche esame.

Le energie scarseggiavano ogni giorno di più e, ormai, passava tutto il tempo che aveva a disposizione tra un esame e l'altro a dormire, l'unico modo che aveva per tentare di ricaricare le pile.

Eppure continuavano a dire che non c'era nulla di sbagliato in lui, che per la genetica e tutto il resto era un normale ragazzo: i valori erano tutti nella norma, tranne che per il battito cardiaco leggermente accelerato e la temperatura corporea più elevata.

«È un giovane in salute, anzi, più che in salute.» aveva risposto una delle assistenti dello scienziato. «Non c'è più bisogno di fare tutti quei test.»
«No, io voglio capire cosa è stato a renderlo così. Il generale Roux vuole che lo rinchiudiamo da qualche parte che gettiamo la chiave cosicché non possa più fare del male a nessuno, ma io ho seguito ogni suo minimo passo da quando è apparso e lui non vuole affatto fare del male alle persone.» spiegò l'uomo, spiando il ragazzo addormentato nella cella, rannicchiato sul letto e con la schiena contro il muro in posizione fetale. «Ti ricordi invece quando lo abbiamo portato qui? Io ero su quel furgone ad aspettare che i soldati facessero il loro lavoro, dato che l'emozione di poter incontrare la Belva Nera di persona mi elettrizzava un sacco. Poi ho visto gli occhi di quella ragazza mentre lo portavano via...»
«Vuole aiutarlo?!» domandò leggermente scioccata la sua assistente.
Lui annuì. «O almeno voglio provarci.»












—•—•—











Marinette fece rotolare la matita sul quaderno, nel mentre che fissava Fu intento a bere dalla tazza un po' del suo solito tè verde.

Le disse che le aveva raccontato tutto ciò che sapeva, eppure non era convinta di una cosa.

Forse chiederlo sarebbe stato un azzardo e non avrebbe dato alcuna risposta, ma come si suol dire: "tentar non nuoce".

«Una domanda.» esclamò ad un tratto, schiarendosi la gola per cercare le parole adatte. «Non ho potuto fare a meno di notare il suo comportamento durante il racconto della storia dell'ultimo Chat Noir. Mi sembrava che provasse una sorta di malinconia e tristezza, soprattutto i suoi occhi. Come mai?» domandò.

Fu fermò la tazza alle labbra, guardando la ragazza negli occhi; subito dopo sospirò, poggiando il recipiente sul tavolo.

«Era così evidente?» ridacchiò, grattandosi la nuca. «Era perché è accaduto nel mio paese d'origine ed era un mio parente. La mia famiglia è stata malvista dopo quell'episodio.» spiegò.

Marinette annuì, percependo della bugia in quella risposta, ma preferì non chiedere altro, volendo aspettare che fosse lui a dirle tutto.

«Vuoi un sorso anche tu?» domandò l'anziano poco dopo, indicandole un'altra tazza davanti a sé.

La ragazza annuì prendendo il contenitore in ceramica e bevendo un po' del contenuto, sentendo il tè caldo scenderle nello stomaco e scaldarla un po', contrastando l'umidità del luogo.

«So che io sono stato il primo a dirti che tra noi due deve esserci fiducia, –iniziò l'uomo, soffiando nella tazza– ed io ho fiducia in te...»
«Io rispetto le sue scelte.» lo interruppe, posando la tazza sul tavolo. «Come non ho forzato Chat Noir a dirmi chi era, ance se effettivamente l'ho scoperto perché sono un po' troppo curiosa, non forzerò lei a dirmi come stanno realmente le cose. La ringrazio per avermi raccontato tutto ciò che sa sui possessori dell'anello, per avermi mostrato questo posto e per aver sopportato la mia curiosità.» ridacchiò, tornando seria quasi subito. «Lei è l'unica persona che sento veramente vicina oltre a mia madre dopo che Chat è stato preso dai militari. La ringrazio davvero molto.»

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