capitolo 10

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Gaston iniziava a spazientirsi.
Benché fosse giugno infatti, la sera il vento non risparmiava di certo le campagne francesi.
Lui e LeTont stavano seguendo Moris da ormai un paio d'ore all'interno del bosco dove il vecchio diceva si nascondesse un castello incantato e in esso una terribile Bestia che teneva prigioniera sua figlia.
Gaston sapeva che quel vecchio stava dicendo una marea di menzogne ma il bottino che egli auspicava all'inizio gli aveva fatto chiudere gli occhi.
Ora invece quasi rimpiangeva di aver abbandonato il vivido calore della locanda di Polinne soprattutto perchè era stanco, affamato e seguitava un vecchio imbecille.
LeTont al suo fianco lo teneva constantemente a portata di vista. L'uomo infatti sapeva che il suo padrone era ben lungi dal concedere favori senza ricevere ricompensa e quindi aspettava il momento opportuno in cui egli gli avrebbe dato l'ordine di intervenire per mettere fuori gioco Moris.
Un po' gli dispiaceva far fuori quel poveretto, in particolar modo perchè quest'ultimo pareva sinceramente preoccupato per la sorte della figlia ma LeTont non avrebbe mai fatto un torto al suo adorato signore, anche a costo di compiere un gesto peccaminoso come quello.
<< Allora vecchio >> ruggì Gaston arrestando il proprio cavallo << Dov'è questo castello? >>
Moris, che invece proseguiva a piedi, si portò una mano alla milza dolorante e disse con affanno << Sono sicuro che sia di qua >> balbettò aggirandosi verso un cespuglio << da qui è sbucato un lupo, io e Phelipe siamo corsi via da quella parte >> continuò imitando i movimenti di due sere prima sotto l'occhiata arcigna del colonnello << e lì... Lì c'era un albero abbattuto da un fulmine... Il... Il sentiero... >> ma a Moris morirono le parole in bocca.
Proprio dove doveva esserci infatti quel tronco scavato dal temporale, si ergeva un bellissimo faggio.
Il vecchio inventore deglutì con la gola secca e provò a circuirlo a piedi.
Doveva essere stata un'opera di stregoneria, senza ombra di dubbio.
Infatti non solo era cresiuto un nuovo albero ma era scomparso anche quel sentiero innevato che gli aveva salvato la vita ma che aveva inghiottito quella della figlia.
In quell'attimo di incertezza Gaston perse del tutto la pazienza << Mi stai prendendo in giro? Io non vedo nulla! Qui non c'è niente! >> urlò adirato smontando da cavallo.
Si avvicinò come un bufalo a Moris e il povero inventore indietreggiò di un passo intimorito.
LeTont preoccupato seguitò il suo padrone.
<< No. No. Lo giuro. C'era davvero. Ha preso Belle >> disse sconnessamente mentre dava le spalle all'uomo spregevole che avanzava.
Gaston, preso dall'ira, lo spinse e per poco Moris non cadde in avanti ruzzolando su una piccola scarpata << Dov'è Belle? Dimmelo! >> gridò di nuovo << Anzi no. Sei solo un folle. Sicuramente tua figlia sarà a casa mentre tu sfarfalli di Bestie e Castelli incantati. Ti farò rintanare in un ospedale >> sputò con il volto deformato dalla rabbia.
LeTont che fino ad ora era rimasto in silenzio pronto ad intervenire al momento opportuno, provò quasi pena per l'inventore << Ma, padrone... >>
<< Taci! >> lo interruppe Gaston avvicinandosi pericolosamente al leccapiedi << o farò rinchiudere anche te >>
LeTont tacque completamente impietrito.
Odiava Gaston quando egli si comportava come un viscido, arrogante, presuntuoso.
Fu Moris, finalmente rialzatosi da terra, a intervenire.
L'uomo si ricordò infatti delle parole disgustate della figlia.
Quel pazzo violento del colonnello la voleva per se, ecco perchè faceva tutto questo.
In un moto di rabbia e di amore paterno, Moris sbottò << Tu non sposerai mai mia figlia >>
Gaston rimase senza parole davanti a quello sguardo serio e di malcelato disgusto.
Come aveva osato?
Lui otteneva sempre ciò che voleva, anche a costo di sporcarsi le mani.
<< Questo lo dici tu >> sputò e poi fece una cosa infima anche per una persona come lui: colpì Moris con un pugno secco in pieno viso.
Il vecchio inventore fu colto del tutto alla sprovvista quando il colpo lo raggiunse.
Cadde svenuto ancor prima di rendersene conto.
<< Gaston >> esclamò LeTont completamente sotto shock.
Aveva picchiato un uomo anziano e indifeso.
Si sentì male per lui.
<< Legalo a quell'albero >> disse il suo padrone senza scomporsi lanciandogli delle funi << Se non ci penseranno i lupi a ucciderlo, lo farà il tempo >>
L'ometto panciuto raccolse la corda con mano tremante.
Lanciò una sola occhiata al corpo incosciente steso al suolo e poi senza concedersi spazio a sentimentalismi, obbedì al suo padrone.

Stava albeggiando.
L'uomo riusciva a vedere un candido color pesca del sole acerbo penetrare dal fogliame.
Per un attimo aveva pensato di essere in punto di morte e di stare sulla soglia del Paradiso, ma il vivido dolore al viso e alla povera schiena lo dissuase.
Non si poteva soffrire da morti.
Aveva le labbra secche e la bocca arida.
Erano passate tre ore da quando era rinvenuto, legato come un animale ad un albero.
Non poteva muoversi.
Aveva gambe e piedi del tutto intorpiditi. L'unico movimento che gli concedeva quell'assurda posizione era il lento ondeggiare della testa.
Non era morto, si ripetè. Ma presto lo sarebbe stato.
Si stupì anzi che non fosse ancora stato trovato dai lupi.
Belle.
Pensò a lei.
A quanto somigliasse a Rose, a sua madre.
E lui non le aveva mai detto nulla.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal canto degli uccelli.
Non era pazzo.
C'era davvero quella Bestia.
Lui l'aveva vista.
Strinse la mascella per non cedere alla debolezza delle lacrime.
Non sarebbe servito a nulla piangere.
Comparve in un attimo.
Una donna dall'aspetto angelico si manifestò come una fata ai suoi piedi.
Era circondata da talmente tanta luce che Moris pensò fosse il sole in persona << Aiutami >> sussurrò esausto.
E lei lo fece.

la Bella e la BestiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora