Capitolo 31: "Il cambiamento"

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Quel pomeriggio il signor McCardue doveva andare alla P.C.A. per incontrare suo figlio e per parlargli di quella spinosa questione che ormai gli occupava pensieri e sogni da ben quattro giorni.
Non poteva fare a meno di rigirarsi nel letto e di rimuginare su quella storia.
La donna che tanto aveva amato ora lo torturava.
Sapeva di essere stato un pessimo marito e un pessimo padre e probabilmente si meritava tutto quello.
Lui era pronto ad accettare tutto, il divorzio, il processo, i cambiamenti.
Ma lo stesso non si poteva dire di Alex.
Lui era ancora giovane e aveva vissuto una vita orrenda, a causa sua, e ora soffriva, sempre a causa sua.
Aveva anche pensato che sarebbe stato meglio sparire dalla vita del figlio, che forse così facendo avrebbe vissuto meglio.
Ma non ce la faceva, ora l'idea di poter dire "Alex McCardue è mio figlio e io sono suo padre." era l'unica che gli faceva desiderare di vivere ancora.
Ma tutto quello gli si stava lentamente sgretolando fra le dita.
Alex poteva non essere suo figlio.
Non aveva mai neanche pensato a questa eventualità, era sempre astato sicuro che quegli occhi profondi fossero i suoi e che quella carnagione fosse la stessa che vedeva sulla propria pelle.
Ma sua moglie aveva messo in dubbio anche quello.
Probabilmente quando era nato Alex già lo tradiva e odiava il pensiero che quel bambino che aveva imparato ad amare a distanza non fosse suo.
Avrebbe voluto correre da suo figlio ed andare insieme a lui alla prima clinica per fare dei test, sperando in un risultato che gli avrebbe fatto tirare un sospiro di sollievo.
Ma se non fosse stato così?
Se Alex non fosse suo figlio?
Cosa avrebbe fatto?
Oliver non voleva neanche pensare ad un'eventualità del genere, lui dentro di se ne era sempre stato sicuro.
"Alex è mio figlio."
In quei giorni quella frase era diventato come un mantra.
Per un uomo che aveva perso tutto, il pensiero di poter perdere anche l'ultima cosa che aveva era struggente.
Forse non era un padre perfetto, forse avrebbe potuto essere una persona migliore. Indubbiamente.
Ma quando non hai ragioni per continuare a vivere e ogni notte vai a dormire con l'idea che non sarebbe tanto male non risvegliarsi più, allora capisci che hai bisogno di qualcosa per andare avanti.
E quel qualcosa era l'idea che suo figlio non lo odiasse e che Alex lo chiamasse "papà".
E cosa avrebbe potuto fare se il destino gli avesse tolto anche la sua ultima speranza di vita?
Continuava a pensare, incessantemente.
Però appena vide il suo amato figlio, mano nella mano con un ragazzo che lo faceva sorridere più di quanto chiunque altro sarebbe mai stato capace, capì che tutto sarebbe andato meglio.
Quei due ragazzi non si erano accorti dell'uomo che li osservava da lontano.
Solo in quel momento Oliver si accorse quanto poco conoscesse suo figlio e la sua vita.
E proprio con questa consapevolezza, si ripromise di essere più presente d'ora in poi, nella vita di suo figlio.
Cameron era sorridente e solare, quello di sui aveva bisogno Alex.
La vita di quel ragazzo era sempre stata piena di tristezza e buio, trovare una persona come Cameron, era indubbiamente la cosa migliore che potesse succedere.
"Papà!"
Alex si era girato e appena aveva visto suo padre sorridere felice, nonostante tutto quello che gli stava capitando, lo fece quasi commuovere.
L'uomo si avvicinò al figlio che lo guardava con i suoi stessi occhi.
Un cosa che Oliver non sapeva era che Alex ormai non aveva più bisogno solo dell'amore di Cameron, ma anche il suo.
Un amore paterno che sapeva di nostalgico, che non aveva mai avuto ma che non vedeva l'ora di assaporare e di sperimentare.
Forse c'era voluto del tempo, forse avevano ancora da imparare, come padre e figlio.
Ma oramai non c'era più nessuno a dividerli, non più.

"Allora, si può sapere perché mi hai chiesto di vederci? E poi perché dietro ai campi da tennis?!"
Michael era a dir poco arrabbiato.
Non perché non gli piacesse la compagnia di Chris, ma avrebbero potuto stare tranquillamente seduti in camera sua, al posto di andare vicino a uno di quei campi per sedersi su una ghiaia polverosa che di certo glia avrebbe fatto sporcare tutti i pantaloni nuovi.
"Scusa."
Ma per quanto Michael fosse una persona dura, non poteva fare a meno di sciogliersi davanti a quegli occhioni da cucciolo che lo invitavano a sedersi di fianco a Christopher.
E così dopo un lungo sospiro esasperato il ragazzo si chinò e si rassegnò a dover poi lavare quei pantaloni nuovi.
"Cosa succede?" chiese quasi gentilmente il moro.
Era raro sentire così tanto silenzio da parte di Christopher, di solito parlava molto.
Michael iniziò a preoccuparsi dopo quasi un minuto intero che Chris faceva scena muta.
Il volto del biondo era triste e sconsolato, come se stesse lottando per qualcosa, ma si fosse accorto che quel qualcosa era irraggiungibile.
Michael pensò per qualche istante ma non si ricordava di un momento particolarmente triste in quelle ultime settimane, sembrava filare tutto liscio come l'olio, ma probabilmente per Chris non era così.
"C'è qualcosa che Austin non mi vuole dire."
Una catastrofe naturale.
Un virus letale.
L'arrivo di una lettera che invitava alla partecipazione di una scuola di maghi e streghe in un altro mondo sconosciuto a noi babbani.
Un'invasione zombie che avrebbe portato il mondo al declino.
L'avvistamento di uno scimmione gigante sull'Empire State Building.
Un'invasione aliena, nella quale degli esserini verdi avrebbero preso il comando del nostro pianeta ed avrebbero esportato il cervello ad ogni essere vivente.
La presenza si un uomo volante dai capelli laccati in tutina aderente e mantello rosso che sorvolava i celi.
Davvero, si sarebbe aspetto davvero qualsiasi cosa.
Ma non qualcosa di così tanto stupido.
"Sei un'idiota."
Michael non era in grado di dire altro al suo amico.
Era ovvio che ci fossero cose che in una relazione non si dicevano, ovviamente se era qualcosa di grave se ne doveva parlare insieme.
Ma soprattutto, perché lo stava dicendo a lui e non era andato direttamente da Austin?!
"E tu sei un pessimo amico... Io ci sto male..." disse il biondo portandosi le gambe al petto ed abbracciandole.
E quello era a dir poco evidente.
Era incredibile quanto potesse essere fragile Chris, ogni piccola cosa poteva farlo saltare di gioia, come avrebbe potuto anche farlo piangere dalla tristezza come un bambino.
Ma purtroppo non ci si poteva far niente e questo era anche una delle cose che del biondo gli piacevano di più.
"Allora perché ne parli con me e non con lui?" chiese schietto Michael guardando interrogativo l'amico.
"Non lo so, ma ho paura che la risposta non mi piacerebbe. Magari mi vuole lasciare! Oddio no!"
Già si stava disperando quando Michael gli aveva passato una mano sulla schiena per calmarlo.
"Non è possibile, vi amate più di ogni altra cosa, probabilmente è solo una tua impressione, io ti consiglio di parlarci e se non funziona sei autorizzato a tirarmi un pugno!" disse Michael ricevendo subito una gomitata nelle costole.
Beh, magari era un pessimo amico, ma almeno lo aveva fatto ridere.

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