"La squadra"
Dal disperato messaggio di Hoseok lanciato nel cyberspazio era passata quasi una settimana e ormai la speranza di ricevere una risposta era diventata davvero labile. Non che non avesse messo in conto la cosa ma aveva puntato tutto sull'orgoglio dell'hacker.
E comunque è anche possibile che non abbia ancora visto il messaggio. Ripeteva tra sé e sé ad ogni fine giornata senza risposta, troppo testardo per ammettere la sconfitta.
In centrale, d'altro canto, le cose non andavano poi così bene, erano arrivati a distruggere il computer n° 7 e nessuno aveva la più pallida idea di come aprire quella dannata pendrive.
Non è che fossero rimasti con le mani in mano in attesa che V si facesse magicamente vivo e con una bacchetta magica risolvesse tutti i loro problemi, altri hacker erano stati contattati ovviamente, ma nessuno di loro sembrava essere in grado di bypassare il complicato algoritmo che proteggeva quel piccolo cuore di plastica.
Hoseok non sapeva nemmeno lui perché si fosse convinto che V potesse farlo, ma per adesso quella era la loro unica alternativa, le indagini erano bloccate ad un punto morto e l'unica prova che avevano era quella pendrive.
Park Jimin che era quello che più si era impegnato per riuscire a trarne fuori qualcosa, ormai se ne andava in giro con un paio di occhiaie violacee sotto gli occhi che sembravano dipinte tanto erano scure.
Con i capelli neri arruffati e i vestiti sgualciti ronzava intorno alla macchinetta automatica del caffè come uno zombie, facendo intenerire il cuore della gran parte del personale femminile della centrale. A causa del suo metro e settantacinque di altezza, sembrava sempre essere minuto e delicato se confrontato ai suoi colleghi ben più alti. A tale impressione contribuiva anche il suo viso: tratti delicati e guance morbide, occhi castani che scomparivano dietro le palpebre quando sorrideva e un'aura innocente che nascondeva una volontà ferrea.
Jimin ricordava uno dei dipinti del Caravaggio: Fanciullo con canestro di frutta. Un giovane uomo con lo sguardo languidamente posato sullo spettatore, sensuale e al contempo innocente, delicato ed etereo eppure, nella pelle scoperta del collo e delle spalle, nella muscolatura dipinta appena accennata, un'espressione di forza e di voluttà.
Il giovane analista operativo della stazione di polizia era un intricato mistero confezionato in un bel pacchetto con vaporosi fiocchi color pastello.
Il suo compito principale era quello di operare un'estrazione di conoscenza - intelligence pura - da semplici informazioni che venivano ignorate da gran parte della popolazione e di prevedere possibili scenari dai dati ricavati, quindi, aprire la pendrive non era proprio il suo usuale campo di lavoro ma la sua insaziabile curiosità non gli permetteva di lasciar perdere.
Caparbio e ostinato, non sarebbe riuscito a dormire decentemente se non avesse saputo che cosa conteneva.
Così, aveva passato le ultime notti davanti lo schermo del computer usando le sue conoscenze informatiche che non erano certamente da sottovalutare ma che, purtroppo, non erano comunque sufficienti alla risoluzione di quel l'intricato problema.
Jungkook, il giovane poliziotto che il capo Choi aveva assegnato alla squadra di Hoseok, veniva reclutato per qualsiasi tipo di commissione ci fosse da svolgere. Nell'obitorio non ne voleva sapere di tornarci e non è che in laboratorio fosse più utile di tanto. Era snervante vederlo correre avanti e indietro come un cucciolo che elemosinava qualcosa da fare.
Hoseok si sentiva inquietato dalla sua costante presenza accanto a sé, ogni volta che si muoveva si ritrovava i suoi imploranti occhi castani puntati addosso e il fatto che avesse un viso dai tratti fanciulleschi, a dispetto del suo fisico prestante, non faceva che far impegnare ulteriormente il capo detective nella ricerca di nuovi compiti da affidargli.
Kim Namjoon, il gigante buono della centrale, come lo chiamava Jimin, passava le giornate scartabellando tra vecchi casi alla ricerca di qualche similitudine che potesse aiutare a identificare l'assassino o la vittima, entrambi ancora senza nome.
Era uno dei migliori profiler in circolazione, la sua mente analitica e veloce era una risorsa indispensabile nella risoluzione dei casi.
Namjoon non aveva avuto infatti una normale formazione, laureato in psichiatria, si era specializzato sullo studio delle menti criminali e delle loro personalità con l'intento di capire cosa spingesse un uomo ad infrangere la legge.
Il suo aspetto fisico quasi mal combaciava con la sua personalità ottimista e allo stesso tempo seria. La statura imponente e l'espressione rigorosa che campeggiava sempre sul viso dai tratti scolpiti e definiti poteva incutere soggezione in principio, ma bastava passare qualche momento in sua compagnia per vederlo sciogliersi e fare un sorriso tutto guance e fossette.
L'ultimo componente della squadra, ma non il meno importante, era Min Yoongi il quale, dopo aver distrutto tre computer, aveva dato forfait e se n'era andato sulla scena del crimine per interrogare i negozianti e il vicinato portandosi dietro il moccioso, nome con cui indicava poco felicemente Jungkook.
Alto bene o male quanto Jimin, non sortiva certo lo stesso effetto nel cuore della gente. Irascibile e poco disponibile al dialogo, era il peggior incubo dei criminali durante gli interrogatori. Solo Jin aveva il coraggio di strapazzarlo, il resto della centrale di polizia era troppo spaventata anche per starnutirgli accanto. Eppure, a guardarlo sembrava così innocente con la pelle pallida e perfetta, gli occhi che si increspavano agli angoli quando sorrideva e le labbra sottili e perennemente arrossate per la sua abitudine di morderle e torturarle coi denti.
Hoseok che pur si fidava pienamente della sua squadra, guardandosi intorno si rendeva perfettamente conto che erano in alto mare, senza contare che il capo della polizia iniziava a fare pressioni.
Dai numeri sulle ossa non ne avevano ricavato nulla e il codice a barre tatuato sotto il piede in coreano non aveva alcun senso.
Si appoggiò al muro sospirando mentre si prendeva un attimo di pausa sorseggiando il pessimo caffè della stazione di polizia. L'unica soluzione che vedeva era quella di sbloccare la pendrive, ma il problema era che quel maledetto aggeggio friggeva ogni computer a cui veniva collegata.
Durante il tempo in cui la sua mente divaga in cerca di soluzioni improbabili, dal suo cellulare arrivò il suono di una notifica.
Un messaggio da un numero sconosciuto.
Sorrise vedendo quello che c'era scritto.
Alla fine V si era fatto vivo.
Sdolcinato quanto una dichiarazione scritta sulla porta del cesso da un nerd in cerca di attenzioni.
V
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HACKER ➥ [Vhope]
FanfictionUna serie di omicidi sconvolge Seoul, al detective Jung Hoseok e alla sua squadra viene affidato il delicato compito di catturare il colpevole. Il killer però si rivela una preda difficile e la sua cattura richiede abilità particolari, tanto da con...