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"Un cuore di plastica"

Jung Hoseok, detective della polizia di Seoul, percorse il lungo corridoio dell'ospedale universitario che portava dritto verso l'obitorio.

L'unico rumore udibile erano i suoi passi sul pavimento rivestito in linoleum che rimbombavano tra le pareti bianche e spoglie.

Non era la prima volta che si trovava a far visita a gente... diversamente viva.

Come detective della sezione omicidi e figli di un poliziotto, quel mondo non gli era per nulla estraneo, anzi, si poteva dire che fosse la norma.

Si passò una mano tra i folti capelli neri scompigliando ulteriormente quel informe cespuglio che aveva in testa. Era reduce da un turno massacrante e aveva dovuto fare a meno del suo giorno libero per recarsi lì. Due evidenti occhiaie facevano da contraltare agli occhi castani arrossati e leggermente incurvati verso il basso, il viso, dai lineamenti marcati e affilati, era tirato e leggermente pallido; decisamente quella non era la sua giornata migliore.

Storse la bocca al pensiero del suo letto vuoto che lo aspettava a casa e arricciò il naso per la puzza che infestava in corridoio. Due fossette spuntarono ai due lati e il suo viso sembrò improvvisamente diventare quello di un ragazzino, smentendo i suoi trent'anni.

L'odore di disinfettante e di morte impregnava l'aria e anticipava quello che c'era ad aspettarlo dietro la porta bianca dall'aspetto anonimo di fronte a sé.

Quanto odiava quel posto.

Prima di entrare si infilò una caramella in bocca, sapeva che era un tentativo vano di smorzare l'odore che ristagnava nell'aria, ma gli dava comunque l'impressione di fare qualcosa di concreto.

Se la fece rotolare sulla lingua, assaporando il gusto fresco della menta, e si ficcò l'involucro di carta vuoto nella tasca dei pantaloni del completo nero.

Non era certo del motivo per cui si trovasse lì, sapeva solo che quella mattina il capo della polizia l'aveva convocato e gli aveva ordinato di porta le chiappe all'ospedale.

Nonostante Hoseok non fosse di turno quel giorno, si era comunque recato sul posto, sapendo che se il capo si era scomodato a chiamarlo personalmente, la questione doveva essere delicata.

Al suo lieve bussare rispose immediatamente una voce che gli disse di entrare. Si sentì sollevato quando capì che a pronunciare quelle parole era stato Jin, suo amico da tempo immemore e uno dei migliori medici legali di Seoul, almeno a suo parere.

D'altronde, non era per nulla facile far ridere qualcuno davanti un corpo senza testa e lui aveva l'innata dote di renderlo possibile.

Aprì la porta ed entrò. La stanza, asettica e pulita, era fredda e pregna dell'odore di morte, ancora più intenso. Jin e Choi, il capo della polizia, erano in piedi vicino al tavolo per le autopsie sul quale era disteso un corpo ricoperto da un telo bianco, unica parte visibile erano le punte dei piedi a cui era legato un cartellino identificativo. Hoseok, che era stato molte volte a contatto con la morte, aveva sempre pensato che quel modo di identificare i cadaveri fosse alquanto svilente, quasi fossero pezzi di carne da etichettare appena usciti dal macello.

Salutò i due uomini senza perdersi in troppe formalità e si avvicinò al tavolo.

«Non che disprezzi il fatto che abbiate pensato a me» disse per smorzare la tensione nella stanza «ma a cosa devo l'invito?».

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