II - Un' Inferno del Cielo

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Il tempo di finire la sigaretta che il telefono nella tasca anteriore dei jeans le vibrò. Un banner comparso sul blocco schermo mostrava il messaggio di Clarke.

Clarke Griffin: Scusami per prima, non avrei dovuto insistere. Sono uscita a comprare le lasagne per farmi perdonare. Non spaventarti quando rientri, il mio ragazzo è rimasto a casa. Spero non ti dispiaccia.<3 <3

Un angolo della bocca di Roxanne si sollevò involontariamente: era la ragazza più dolce e gentile che avesse mai avuto l'occasione di conoscere. Poteva anche essere un'impicciona indiscreta, ma si sentiva sollevata a condividere l'appartamento con una persona tanto premurosa. Almeno non avrebbero litigato ogni giorno come aveva previsto. Si ripromise di provare ad essere più gentile con lei e di non sbuffare più o di alzare gli occhi al cielo ogni volta che parlava di qualche argomento salottiero; lei non si meritava una coinquilina con un tale caratteraccio.

Si strofinò le mani sulle ginocchia e si mise in piedi, pronta per il suo veloce giro di ricognizione giornaliero. Percorse i sentieri adombrati come se frequentasse quel college da anni, ricordando a memoria ogni svolta e immagazzinando tutte le informazioni rilevanti. Incontrò varie coppiette appartate dietro un albero, sportivi nel bel mezzo della preparazione atletica e persino la squadra delle cheerleader. Arrivata davanti all'abitazione della confraternita Omicron -quella che le aveva destato più sospetti- incrociò un ragazzo dai capelli ricci e la pelle ambrata intento a scendere le scale. Aveva degli scatoloni tra le braccia, probabilmente residui del trasloco, che poggiò accanto al bidone della differenziata scoprendo il petto nudo. Apprezzamenti poco casti le frullarono per la mente. I ricci gli ricaddero sul viso mentre si abbassava, ma, quando si alzò, Roxanne notò che la stava guardando. Le sorrise e le rivolse un veloce cenno della mano. Sapeva che si stava rivolgendo a lei -se ci fosse stato qualcuno dietro di lei se ne sarebbe immediatamente accorta- e questo la lasciò alquanto stranita: come mai erano tutti così cordiali in quel posto? Abbozzò un sorriso incerto e accelerò il passo. Non le andava di farsi notare prima del dovuto. Il suo giro proseguì senza ulteriori intoppi o stranezze e, in una decina di minuti, si ritrovò di nuovo davanti al palazzone arancione del dormitorio. Salì languidamente le scale, immersa nei suoi turbolenti calcoli, e si ricordò di avere ospiti solo quando infilò la chiave nella serratura. La fece scattare con un piccolo sospiro: non era psicologicamente pronta ad incontrare il fidanzato di Clarke. Sperò che avesse lasciato l'appartamento o che, almeno, non fosse un altro a cui piacessero le domande. Aprì la porta.

Il primo segnale della sua presenza le arrivò in un modo tanto velato da non collegarlo immediatamente ad un possibile pericolo: in fondo, mica era l'unico sulla faccia della Terra ad utilizzare quel profumo da uomo. Era un'idea così assurda che la scacciò in un lampo, giustificandola come semplice paranoia. Il secondo fu meno discreto, ma comunque spiegabile come un'innocua combinazione: il ragazzo stava suonando alla chitarra un pezzo poco conosciuto dei Guns N' Roses, ma, di certo, lui non era il loro unico fan sfegatato. E poi la conferma arrivò quando la porta si chiuse con uno schiocco dentro di lei: sentì il ragazzo alzarsi e procedere a passi sicuri verso il corridoio.

<<Ciao.>> gridò per avvisarla della sua presenza. Ebbe un tuffo al cuore e la sua mano corse immediatamente alla pistola di piccolo calibro nascosta nel retro della cintura. Quella era la sua voce. Sbucò nel corridoio e, prima di bloccarsi, a dir poco scioccato alla sua vista, riuscì a dire: <<Sono Bel...>>.

Roxanne per poco non svenne. Davanti a lei, come sbucato fuori dai suoi incubi peggiori, si stagliava il suo più pericoloso e subdolo nemico.

Si stavano incontrando dopo almeno due anni, senza considerare quelle due o tre occasioni in cui aveva intravisto di sfuggita la sua ombra, ma si ricordava alla perfezione di lui, dei suoi occhi grigi, nei quali da bambina le piaceva perdersi, delle sue camicie sempre stirate alla perfezione e del suo cipiglio perenne. Di tutto il dolore che le aveva causato. Era più alto dall'ultima volta in cui l'aveva visto, ma la sensazione di smarrimento che la sua presenza le procurava era la stessa. Era come imbalsamata, congelata, inchiodata in quella posizione; i muscoli non rispondevano ai suoi comandi. Era certa di avere la bocca aperta e gli occhi sgranati ma non riusciva neanche a cambiare espressione. Le gambe le tremavano, ed era da tanto, tanto tempo che avevano smesso di farlo per qualcuno. Con uno sforzo immane riuscì a darsi un pizzicotto sul braccio, cercando invano di svegliarsi da quel terribile sogno ad occhi aperti, sperando quasi che la sua figura potesse dissolversi come torbida nebbia. Sfortunatamente, lui rimase lì in tutta la sua misteriosa ed oscura bellezza, saldo come solo la realtà sa essere. I suoi occhi chiari scivolarono su di lei, come se neanche lui potesse credere a ciò che vedeva, le labbra leggermente dischiuse, la fronte corrugata coperta da un paio dei suoi ricci bronzei. <<Roxanne?>> farfugliò disorientato. Non l'aveva mai visto così sorpreso in vita sua, lui non si lasciava mai prendere alla sprovvista da nulla, come se si scervellasse ogni singola volta a vagliare tutte le possibili varianti della giornata. Eppure, era una cosa tanto aberrante e lontana dalla concretezza, da non aver neanche sfiorato la mente di entrambi.

Il cerchio del MaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora