XXII - Alla triste fiamma (1)

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La malinconia era un fardello pesante sulle spalle di Roxanne.

Mentre ripercorreva il viaggio verso Detroit riusciva a rimembrare ogni singolo minuto della traversata iniziale: i ricordi erano vividi, reali e tridimensionali davanti ai suoi occhi stanchi. Su quello stesso ponte, poco più di sessanta giorni prima, mentre la banchina della sua città natale rimpiccioliva gradualmente, si era sentita per la prima volta in vita sua libera dalle restrizioni della sua famiglia. Il vento le scompigliava i capelli e le faceva aderire i vestiti leggeri al corpo. Aveva allargato le braccia e aveva permesso che l'aria la ripulisse da tutti i residui del passato. O almeno così aveva sperato.

C'erano voluti solo pochi mesi prima che il suo sangue la costringesse a tornare sui suoi passi. Ora il vento, più che sussurrarle promesse di indipendenza e autogestione, le stringeva un cappio attorno al collo, predicendo l'inizio del suo declino. Il sole non la scaldava più, l'odore dell'acqua non le risvegliava dentro emozioni sepolte, non ora, rinchiusa al di là di un vetro spesso dieci centimetri.

Il freddo canadese le irrigidiva i muscoli mentre si trovava costretta ad un tavolo tra John e suo cugino Marley, due degli uomini più fedeli di sua madre. John era alto e allampanato, un vero lampione di essere umano sormontato da un cespuglio di capelli rossi e crespi, unica e sola similitudine con Marley, che invece era basso, tarchiato e pieno di tatuaggi osceni. Era lui il cecchino che aveva quasi sparato ad Isaac attraverso lo spiraglio nella finestra. I due non la toccavano, non si sarebbero mai permessi di farlo, però la tenevano bloccata tra i loro corpi, stretta in una morsa fatta di carne e ossa. Christabelle la scrutava dall'altro lato del tavolo e dava l'impressione di essere particolarmente soddisfatta di se stessa: la stava riportando nella sua gabbia dorata. Roxanne non riusciva a sostenere il suo sguardo. Era furente, tutto il suo corpo si voleva ribellare a quella situazione, saltare giù in mezzo al fiume e tornare a nuoto sulla riva giusta. Sapeva che, se avesse incontrato i suoi occhi, le sarebbe saltata di nuovo alla gola, mettendo in scena un teatrino che avrebbe potuto costarle guai seri. Era già sotto scorta, ci mancava solo che desse a sua madre un motivo in più per punirla.

Si sistemò una ciocca ribelle dietro l'orecchio e lasciò che la mente vagasse un altro pochino, che si nascondesse nei brevi ricordi felici che il Male le aveva concesso. Fissò lo sguardo su dei ragazzini lì dietro, non arrivavano a più di dodici anni e si stavano divertendo come dei matti. Una dei quattro, una bambina dalle trecce bionde e il labbro spaccato, catturò i suoi occhi e le fece un breve e timoroso segno di saluto. Quando Christabelle parlò, fu così all'improvviso che per poco non fece un balzo dal divanetto.

<<Be'? Quand'è che hai deciso di perdonare il moccioso del traditore?>>

Alzò gli occhi al cielo. <<Prima che inizi con la tua solita tiritera: è una mia scelta. Mia la vendetta, mia la volontà di abbandonarla. Nè tu, nè papà potete farci nulla.>>

<<Oh, Dominic è così abbindolato dal tuo faccino che si farebbe andar bene qualunque cosa.>> Scosse una mano smaltata. <<Ma se pensi che io sia ingenua come lui, ti sbagli di grosso. Isaac Hale è pericoloso. Stai correndo un rischio troppo grande.>>

<<Isaac pericoloso? Ma ti ascolti quando parli? Pare che tu non l'abbia trattato come un figlio per buona parte della sua vita!>> sbottò.

Christabelle alzò uno dei suoi fini sopraccigli chiari. <<Questo era prima che lui e suo padre tradissero la nostra famiglia.>>

Sospirò, mentalmente esausta. <<Sono stanca di parlarne.>>

<<E invece devi. Dimmi almeno che non vi siete messi d'accordo per incontrarvi lì... sarebbe davvero inconcepibile.>>

Il cerchio del MaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora