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" Il popolo della Valacchia era terrorizzato dagli ultimi, quanto raccapriccianti, avvenimenti occorsi in quella terra dimenticata da Dio.
Le giovani ed i piccoli scomparivano, venendo poi ritrovati in fosse comuni.
Ma non era questo a scioccare le menti degli abitanti.
Ma la peculiarità delle morti.
I corpi, infatti, erano orrendamente mutilati.
Le teste recise e separate dal corpo, ma non dalle spade, dalle asce.
Sembravano essere state strappate a morsi.
I corpi esangui, senza più una goccia di fluido sanguigno.
E se già si mormoravano storie a mezza voce, dopo i ritrovamenti si parlava di vere e proprie leggende.
Dettero la colpa agli animali, feroci predatori in seno alla foresta, sterminandoli uno dopo l'altro.
Ma a nulla servì, dato che le morti si susseguirono con regolare costanza.
Uno tra loro disse, quasi senza crederci lui stesso, che vi fosse un pazzo, una sorta di squilibrato sadico, che operava nella notte.
Si gridò all'assassino e si fecero ronde, composte dai più valorosi combattenti.
Ma a nulla portarono.
Passò così del tempo, fino a quella notte, che segnò la svolta.
Il giovane Ion, volle andare nel bosco.
Ancora sconvolto dalla prematura dipartita della giovane sorella.
Volle in ogni modo cercare il carnefice.
Era un ragazzo molto alto, per la sua età, con spalle possenti, busto espanso e lunghe e muscolose gambe.
Sgattaiolò fuori la sua stanza, scendendo piano le scale in legno ammuffito.
Nessun rumore doveva destare i genitori.
Altrimenti...
Prese un soprabito nero, un po' logoro ma ottimo per scaldarsi.
La torcia e un'acciarino per dargli fuoco.
Uscì svelto, coperto dal mantello e dalla coltre notturna.
Pochi passi servirono al giovane per addentrarsi nella cupa foresta, che costeggiava i Carpazi.
Notò subito che qualcosa era fuori posto, mentre dava fuoco alla stoffa intrisa di olio.
La luce, tuttavia, rischiarava appena.
Come se anch'essa si rifiutasse di ottemperare alla ricerca di quell'abominio.
Si inoltrò nel fitto, rendendosi conto della mancanza di animali.
Gufi, civette ed ogni genere di creatura notturna.
Solo alcuni pipistrelli giravano in circolo, in un punto preciso distante pochi metri.
Abbassò la torcia, per aver maggiore chiarezza del cammino.
Onde evitare rumori che lo potessero far scovare.
Avanzò ancora di qualche passo, poi spense la fiamma.
Aveva visto qualcosa, un'ombra, muoversi veloce.
Così veloce da non essere umana, ma ben si reggeva su due gambe.
Una nuova forza penetrò in lui, dandogli ragione di continuare.
Corse, dimentico di ogni più piccolo accorgimento, verso un rumore che sembrò riempire il silenzio.
Un gorgogliio, misto ad un affanno.
Arrivato in prossimità del suono, si mise dietro un tronco ad osservare.
Quasi come se anche la luna volesse renderlo partecipe, decise di fare capolino tra le nubi, rischiarando tutto il tratto visivo.
La pallida luce gettò un'aurea di sconforto e gelo, non appena Ion vide.
Un giovane, il giovane, teneva tra le braccia il corpo inerme di Alina, la locandiera.
La bocca sul suo collo, dal quale succhiava il nettare vitale.
Un verso strozzato sfuggì al suo controllo, quando posò gli occhi sulla moltitudine di cadaveri ai piedi della creatura.
Colui che dispensava morte, voltò la testa con scatto inumano.
Ion era raggelato, immobile come una statua.
L'altro scattò, per poi emettere un grido disumano, non appena i suoi occhi si imbatterono nel crocifisso che pendeva dal suo collo.
Puro argento.
Riconobbe il volto, quel volto che tanto era amato in paese, e disse:
<<Questa è la tua ultima notte, principe Tepes.
Ti daranno la caccia come ad un animale. L'ira di Dio si abbatterà su di te, essere infernale>>
Non aggiunse altro, ma camminando all'indietro, si dileguò svelto.
Rientrò nel villaggio, urlando con quanto più fiato aveva.
Gli uomini accorsero e lui raccontò tutto.
Quel che aveva visto, i cadaveri e...
Tepes.
Dapprima furono scettici, credendo che qualche strano maleficio avesse insudiciato le meningi del giovane.
Poi l'urlo.
Ancestrale, disumano.
Le donne corsero in casa, gli uomini invece andarono nel solo luogo in cui il mostro era bandito.
La chiesa del villaggio.
Cercarono padre Alban, lo trovarono e dissero.
Egli non perse tempo, rientrò nel suo talamo e scrisse.
Uscì dopo molto dalla camera, con una pergamena arrotolata, recante il sigillo che apparteneva a quel sacro luogo.
Prese il giovane Dimitru e solenne disse:
<<Alle pendici della foresta, troverai una casa.
Ti sembrerà vuota, diroccata e disabitata.
Non lo è!
Trova l'uomo, quello con la barba bianca e dagli questa.
Difendila a costo della vita!
Poi, resta lì, al sicuro>> lo sospinse, la premura incombeva.
Il giovane fu condotto alla stalla, ove dormicchiavano i migliori cavalli di tutta la regione.
Sellarono il più resistente e ve lo misero sopra.
<<Và ora, non c'è un minuto da perdere>> una pacca alle possenti zampe e via, di corsa.
<<Padre Alban, da chi lo avete condotto?>> Domandò il più vicino.
<<Dall'unico uomo in grado di aiutarci.
Colui che ha il favore di Dio>> esclamò fiero.
Molte paia di occhi si fissarono su di lui in una muta domanda.
<<Abraham Van Helsing.>>
E badate bene, fu allora e solo allora, che tutto ebbe inizio.
La più sanguinaria caccia mai vista.
Fu allora e solo allora, che la leggenda nacque.
Il mito...
Dracula. 

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